
Ogni epoca ha avuto il suo nemico: in che modo i nemici hanno scandito la storia del nostro Paese?
Se lei avesse voglia di leggere un giornalino simpatico che veniva pubblicato negli anni Trenta del Novecento – e che aveva tra i suoi principali redattori colui che fu a lungo nel dopoguerra il segretario del partito neofascista italiano, l’MSI, Giorgio Almirante – dal titolo La difesa della razza, nel primo numero scoprirebbe che gli Italiani avrebbero una loro salda identità razziale perché, secondo loro, gli unici nemici provenienti da fuori che avrebbero scandito la storia della nostra Penisola erano stati solo i Barbari distruttori dell’impero romano, con gli epigoni Longobardi. Dopo di che, l’Italia si sarebbe chiusa ad ogni invasore, in una sorta di recinto razziale impermeabile alle influenze esterne. Si renderà conto che si tratta di una visione delle cose italiane ridicola, che fa oltraggio alla verità, del tutto ideologica, pretestuosa e antistorica. Pensi solo alla storia d’Italia medievale, quanto è piena di nemici, di invasori: i Franchi guidati da Pipino e poi ancor più duramente da Carlomagno che distruggono i Longobardi i quali praticamente è come se scomparissero, con le teorie di profughi che si accalcano verso i santuari longobardi del sud Italia, di Benevento e di Salerno. Poi ci sono gli invasori ungari e i raids costieri saraceni, nel X secolo. i Normanni calati dal nord Europa, nell’XI e XII. O i Germanici a seguito degli Hohenstaufen. Gli Angioini, che diventano signori del sud Italia. Aragonesi e Catalani subito dopo. I Francesi di Carlo VIII per chiudere con la data del 1494. Una ridda complessa, dove ognuno marca con la sua presenza un pezzo della storia d’Italia, con mille sfaccettature che restano impresse costituendo la nostra articolata ingegneria identitaria.
Una cosa, inoltre, va posta in risalto: che nella cultura italiana il mito del nemico si lega quasi sempre e indissolubilmente all’uso della parola “barbaro”. Il nemico viene sempre rappresentato così, diverso da noi, incolto, incivile, pagano, violento, irrecuperabile. E la categoria che si usa per rappresentarlo è sempre la stessa, mutuata da una lunghissima tradizione, quella appunto di barbaro. Anche in tempi vicini a noi, si è usata sempre questa stessa parola. Senza infingimenti. I Francesi che arrivano con Napoleone portano con sé la barbarie. Gli Austriaci, nemici da sempre degli italiani, nel corso di quella che veniva definita la quarta guerra d’indipendenza – la guerra ’15-’18 – sono barbari spietati, apportatori di sciagure, di violenze e di sventure simili a quelle apportate dai loro antenati barbari. E c’è tutta una pubblicistica in proposito. Non parliamo poi di tempi più vicini a noi. Ha mai pensato quanto sia stata e sia forte l’influenza degli americani nelle nostre vite? Eppure, se avesse parlato con un fascista nel 1942 nel rappresentare l’Americano avrebbe tirato fuori i più triti luoghi comuni di, cito, una cultura negroide, legata solo al dio danaro, priva di consistenza spirituale, irretita da danze e musiche selvagge come il jazz, paese guidato da Ebrei e da un presidente mezzo sciancato, alleato di altri barbari, i bolscevichi sovietici, senza dio e spregiatori della patria, e degli inglesi, il popolo dei cinque pasti al giorno, che, come sosteneva Mussolini, neanche duemila anni di civiltà romana e cristiana erano riusciti a liberarli dalla loro primitività, dalla loro barbarie. Per poi accorgerci, dal 1943 che quei barbari americani ci avrebbero cambiato la vita, trasformandosi da nemici in alleati preziosi.
L’elenco di chi ha tentato di invadere, conquistare, saccheggiare, tiranneggiare l’Italia sembra infinito: per quali ragioni il dominio del nostro Paese è stato così agognato?
No, non lo trovo tanto infinito. È abbastanza delimitato. Lo scopo è unico: l’Italia è una terra ricca. Climaticamente favorita. Naturalmente prospera. Che da lungo tempo ha ospitato una civiltà urbana, il che significava anche commerci, vita mercantile, reti di relazione. Userei, me lo permetta, una parola antica: nel complesso ubertosa. Pensi ancora agli invasori normanni dell’XI, XII secolo. Quando pensano al sud Italia mica immaginano una terra arretrata, economicamente sottosviluppata. Tutt’altro! Loro vengono da un ambiente sottosviluppato e arretrato e il sud Italia, la Sicilia soprattutto, risulta davvero essere ai loro occhi la terra del latte e del miele. L’Eldorado. E non solo per i Normanni: il fenomeno forse meno conosciuto ma più straordinario fu l’emigrazione allora di masse di gente dal nord Italia e dalla Pianura Padana verso la Sicilia alla conquista di terre ricche da strappare ai legittimi proprietari musulmani. Si scappava da un nord povero per trovare nuove possibilità di vita nel ricco Mezzogiorno.
Quali tra i popoli nemici hanno maggiormente segnato e condizionato la nostra storia?
Alcuni hanno avuto una pregnanza e un’influenza più incisiva rispetto ad altri. I Romani, ad esempio. Potrà sembrarle paradossale ma, a ragionarci bene, sono stati i primi grandi nemici degli Italiani. Etruschi, Oschi, Sanniti, Celti della Pianura Padana, gente cittadina della Magna Grecia ecc. hanno dovuto tutti subire la violenza dell’aggressione romana. Di che cosa provassero queste popolazioni, cosa sentissero, in che maniera reagissero è difficile saperlo. Le fonti sono pressoché mute sulle loro reazioni e sui loro stati d’animo. D’altronde, le testimonianze che possediamo sono tutte di matrice romano, cioè scritte dalla penna dei vincitori. Solo talvolta emerge il pianto, il lamento, la persuasione di essere stati distrutti da una potenza impietosa come fu quella romana. D’altronde, questa invasione romana mette in luce un altro aspetto che scaturisce in maniera vibrante dal nostro libro: che è quello dell’amalgama. I romani invasero ma subirono a loro volta un’invasione, spiegata meravigliosamente da un verso di Orazio, secondo il quale Roma conquistatrice fu a sua volta conquistata dalla cultura greca. L’invasore divenne a sua volta l’invaso, con la creazione di quella magnifica fusione che fu la civiltà latino-greca-mediterranea.
Nel corso della storia alla conquista è poi seguita l’integrazione, in un susseguirsi secolare di nuovi invasori e nuove minacce alle proprie tradizioni e alla propria identità: l’amalgama di razze e popoli è nel nostro DNA?
Assolutamente si. Basti pensare a quanto è forte l’influenza di questi apporti nel nostro linguaggio. Quante parole mutuate dal longobardo? Tante, del nostro linguaggio comune, comunissimo, anche il più volgare. Panca, guancia, zaino, stamberga, scaffale, schiena, milza… Stronzo… solo per ricordarne qualcuna. O quelle provenienti dall’arabo o dal turco: ammiraglio, fondaco, zenit, divano… Poi a guardare i colori dei nostri occhi, la misura di un nostro femore, la forma di un nostro braccio o altro si scoprirà facilmente che questo siamo: il frutto di una fusione. Ma attenzione: non si trattò mai di una scelta condivisa, ponderata e felice. L’amalgama fu il più delle volte estorto con la forza, con l’utilizzo della violenza. E la fusione fu frutto del tempo con un accatastamento che assomiglia, per semplificare, alle onde del mare e alla risacca: prima gli uni, poi gli altri che arrivano, poi altra ancora che si insediano al posto dei primi, poi altri ancora che si ammassano e occupano e fanno da signori sostituiti poi da altri e da altri ancora. Un processo che naturalmente non spiega tutta la storia d’Italia, sarebbe impossibile. Ma parla di una storia che è appartenuta al nostro Paese e che ne ha condizionato per molti versi l’esistenza.
Amedeo Feniello insegna Storia medievale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila. Ha svolto attività didattica e di ricerca all’EHESS di Parigi e alla Northwestern University di Evanston, Chicago. Per Laterza è autore, tra l’altro, di Sotto il segno del leone. Storia dell’Italia musulmana (2011) e Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca (2013). Sempre per Laterza, con Alessandro Vanoli è autore del volume Storia del Mediterraneo in 20 oggetti (2018) e con Francesca Canale Cama e Luigi Mascilli Migliorini ha pubblicato il volume Storia del Mondo. Dall’anno Mille ai giorni nostri (2019). Nel 2019 ha pubblicato per le Edition du Seuil il libro Naples 1343.