
di Giovanni Pinna
Editoriale Jaca Book
«Ciò che colpisce nell’affrontare un discorso sui musei è che, sebbene esista una letteratura relativamente ampia sull’argomento, questa è frutto di un dibattito che nella maggior parte dei casi si è svolto al di fuori delle mura di queste istituzioni, fra persone dai più diversi interessi culturali, che non sempre hanno avuto un’esperienza diretta nella creazione, nella conduzione o nell’organizzazione di un museo. […]
Proprio perché non è alimentato dall’apporto diretto dei museologi, in questi ultimi trent’anni il dibattito sui musei è stato caratterizzato da una sostanziale diffidenza nei confronti di queste istituzioni, che nel migliore dei casi si è concretizzata nella ricerca, spesso teorica, di nuovi ruoli e di nuovi modi di operare, e che nei casi estremi è giunta a chiedere, come attorno alla fine degli anni Sessanta, la distruzione dei musei e la loro sostituzione con strutture culturali alternative. […]
L’approccio negativo al museo, caratteristico di quanti discutono di queste istituzioni ma non hanno mai operato al loro interno, deriva dal fatto che il museo, indipendentemente dal suo stato giuridico, è un’istituzione con un’alta incidenza sociale che genera una forte valenza politica in quanto, come ha asserito Stephen Weil, esso può essere utilizzato come strumento ideologico dello Stato. Ciò significa […] che nel migliore dei casi queste istituzioni rispecchiano la struttura politica delle società cui appartengono; ma ciò vuole anche dire che un governo nel caso di un museo pubblico, o una qualsiasi organizzazione nel caso di un museo privato, possono utilizzare i musei per imporre la propria ideologia, spingendo così queste istituzioni al centro della conflittualità politica. […]
Molte società democratiche hanno rinunciato a utilizzare il valore sociale ed educativo del museo, cosicché queste loro istituzioni hanno perso di vista l’importanza del ruolo di rappresentanza e di insegnamento, e si sono trasformate da istituzioni dalle attività e dai significati vivi e imprevedibili in istituzioni prevedibili, sempre uguali, meccanicamente ripetitive. Da questo punto di vista la crisi dei musei, con la conseguente e quasi ossessiva ricerca di istituzioni alternative, è solo colpa dei governi che non hanno sempre compreso quale sia il valore di queste istituzioni nei confronti delle comunità.
Anche molti musei di storia naturale hanno perso la consapevolezza di quale debba essere il loro ruolo nella società. Ciò è tanto più grave, in quanto tali istituzioni sembrano essere più libere di altre dai condizionamenti politici e di potere. Infatti, sebbene esista sempre la possibilità che la scienza e i musei che ne sono gli interpreti siano utilizzati per fini politici […], in linea generale i musei scientifici sono più liberi di altre tipologie museali, soprattutto nei regimi democratici in cui è diffusa una più o meno giustificata certezza nell’obiettività della scienza. Nonostante questa libertà, che teoricamente permetterebbe loro un’agibilità che altri musei non hanno, molti musei di storia naturale che producono una propria cultura attraverso la ricerca (quando questa è effettuata) non sono in grado di divulgarla. Molti musei si racchiudono in un’area di ricerca pura dalla quale non vogliono essere distolti, e delegano perciò la comunicazione pubblica a persone o a organizzazioni estranee alla produzione culturale del museo; cosicché le loro esposizioni divengono stereotipi sempre uguali, ripetitive, prive di originalità e della capacità di rappresentare l’istituzione che le propone. O ancor peggio, alcuni musei hanno accettato di ospitare senza discutere esposizioni su teorie scientifiche non elaborate (e forse non universalmente condivise) dallo staff scientifico del museo, ma che potenzialmente producono un impatto emotivo molto forte, poiché, spesso, sono facili da raccontare.
Il caso più evidente è stato quello della teoria sull’estinzione di massa avvenuta alla fine del periodo Cretacico (65 milioni di anni fa) elaborata da Walter Álvarez e da suo padre Luis, Nobel per la fisica, resa pubblica nel 1980. In estrema sintesi […], secondo i due Álvarez l’estinzione sarebbe stata causata da un grande meteorite che, colpendo la terra nell’odierno golfo del Messico 65 milioni di anni fa, avrebbe sollevato una grande nube capace di oscurare il cielo su tutta la terra, conducendo così all’estinzione i dinosauri e altri gruppi di organismi, come plesiosauri, rettili volanti e ammoniti, ecc. L’ipotesi dei due Álvarez aprì un serrato dibattito fra i sostenitori del meteorite (la cui unica traccia è una concentrazione eccezionalmente alta di iridio, minerale di cui sono ricche le meteoriti, nelle rocce che segnano il passaggio dal Cretacico al Terziario K/T) e i contrari. […] Il dibattito sulla crisi biologica della fine del Cretacico rimane aperto e le ipotesi si susseguono. Ora sta prendendo piede l’idea che la crisi biologica K/T sia avvenuta per fenomeni ambientali legati alla deriva dei continenti […]. Tuttavia l’ipotesi del meteorite […] è affascinante e facile da illustrare, ed è divenuta perciò il cavallo di battaglia di molti musei, che l’hanno adottata anche nella sua incertezza evanescente senza un’indagine scientifica, ma solo perché facilmente assimilabile da un pubblico non acculturato nella materia.»