“I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia” di Claudia Tripodi

Dott.ssa Claudia Tripodi, Lei è autrice del libro I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia edito da DIARKOS: qual è l’importanza storica della casata fiorentina?
I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia, Claudia TripodiAllora.. l’importanza storica della casa Medici – e sottolineerei la scelta del termine casata perché i Medici, per lo meno alle origini, furono più una casata che non una dinastia (termine che pure è stato scelto per il titolo del libro) – è molteplice. Una delle sue maggiori peculiarità certamente risiede nel fatto che la famiglia Medici ha mantenuto nel governo di Firenze, e di conseguenza nel panorama internazionale con cui la città interagiva, un ruolo primario per una durata temporale straordinariamente lunga. Cosimo il Vecchio, il nonno di Lorenzo il Magnifico, sebbene non fosse insignito di alcun titolo ufficiale (Firenze era una repubblica), era già riconosciuto, negli anni Trenta del Quattrocento, come uno degli uomini più potenti della città. Forse non il più potente in assoluto, ma di certo quello il cui potere personale era più temibile. L’ultimo Medici che regnò sul trono di Toscana, e con un titolo istituzionale, il granduca Giangastone nato dalla infelicissima unione tra Cosimo III e la sua moglie francese Maddalena d’Orléans, si spense nel 1737. I tre secoli trascorsi tra Cosimo il Vecchio e Giangastone videro – se pure a diverso titolo– una presenza continua e quasi ininterrotta di membri della famiglia Medici ai vertici del governo della città. Ecco. Basterebbe soltanto questo dato – trecento anni di quasi ininterrotta continuità nell’esercizio della leadership – a dare l’idea dell’importanza della casata, almeno quanto a solidità di tenuta nella gestione del potere e del consenso. Si tratta ovviamente di un potere che ebbe delle vistose evoluzioni, che ebbe alle origini dimensione locale (cittadina prima, regionale poi), che emanava da una casa la cui influenza politica si era fatta spazio tra le fessure di un sistema repubblicano a base oligarchica, ben diverso da quei regimi signorili accentrati tipici del Nord Italia, ma che nel giro di pochi decenni seppe cogliere l’occasione per “dinastizzarsi” e acquisire un ruolo internazionale tale da poter dialogare con i più importanti stati sovrani d’Europa.

Certamente, anche al di là della continuità temporale nell’esercizio del potere, l’impatto che i Medici ebbero sulla storia di Firenze e sulla storia della modernità occidentale è vastissimo: penso all’enorme contributo dato allo sviluppo della città in termini di arte e architettura, alla ristrutturazione e al potenziamento urbanistico di certe realtà toscane voluti dai primi granduchi, alle politiche sul territorio, alla promozione della ricerca scientifica, e via dicendo.

A quando risalgono le origini della famiglia?
Rispondere con precisione documentaria a questa domanda non è semplice, anche perché le origini dei Medici sono, forse, l’aspetto della loro storia che è stato approfondito e indagato meno. Non sappiamo con esattezza a quando risalgano le origini della famiglia, non sappiamo cioè chi fu il primo ad insediarsi in città dal vicino Mugello, loro area di provenienza, ma sappiamo che i Medici non figurano tra le grandi casate fiorentine dell’età di Dante. La loro fortuna come famiglia di prestatori e banchieri di rilievo è di qualche anno più tarda e risale alla metà del Trecento. Il Medici più risalente del quale si ha notizia in città nel XIII secolo, nel Duecento insomma, pare sia stato un certo Bonagiunta i cui nipoti, alla fine dello stesso secolo, ebbero accesso per la prima volta nella storia della casata, alle maggiori cariche pubbliche. Questo non deve però trarre in inganno: per ricoprire incarichi pubblici bastava essere residenti in città e in regola col pagamento delle tasse. Al tempo si trattava, insomma, di una comune famiglia di cittadini dallo status sociale ancora piuttosto modesto.

I Medici, prima che signori di Firenze, furono ricchi banchieri: come nacque e si sviluppò la loro fortuna?
Allora, qui devo fare una precisazione per correttezza. In senso stretto i Medici, prima di ottenere il titolo ducale, non furono mai signori di Firenze. Per lo meno non lo furono nel senso in cui i Visconti furono signori di Milano o i Gonzaga di Mantova, perché a Firenze non vigeva un regime signorile bensì un governo repubblicano dove gli ufficiali (tra cui i Priori o Signori, appunto) venivano eletti a rotazione. Li si estraeva infatti da sacche (le cosiddette borse) che contenevano i nomi dei cittadini eleggibili (gli imborsati) e il loro mandato aveva una durata limitata a pochi mesi. I Medici, però, dal tempo di Cosimo in avanti operarono –grazie alla loro leadership informale e alla loro influenza– per modificare i meccanismi elettorali, controllare i nomi degli eleggibili, allontanare gli eventuali avversari ed esercitare una stretta sorveglianza sulle elezioni, in modo da poter sempre contare su ufficiali che fossero loro sostenitori e partigiani. Ma fino agli inizi del Cinquecento Firenze rimase, per lo meno nella forma, una città dal governo repubblicano e non fu mai dichiaratamente una signoria.

Detto questo, sì, è vero che prima di essere leader politici, i Medici furono operatori economici e banchieri. Del resto Firenze era fin dal Duecento una città dalla solida tradizione bancaria e mercantile, e arricchirsi attraverso il prestito e il cambio di denaro, oltre che con il commercio, non era affatto inconsueto. Secondo la testimonianza del cronista Giovanni Villani, negli anni Trenta del Trecento a Firenze vi erano circa 80 banchi di cambiatori di denaro, numero che si ridusse a poco meno di 60 dopo la peste del 1348.

Alle origini della fortuna dei Medici come banchieri vi fu non Giovanni di Bicci (Averardo), il padre di Cosimo il Vecchio, ma un suo lontano parente, Vieri di Cambio dei Medici, che fu il primo grande banchiere della casa titolare di una azienda che presto costituì distaccamenti anche altrove. Giovanni di Bicci inizialmente impiegato, fattore e poi socio dell’attività di Vieri come responsabile della filiale romana, tornato a Firenze si mise in società con i Bardi (noti banchieri fiorentini fin dal XIII secolo) dando ulteriore implemento alla sua attività e alle sue ricchezze. Quando Giovanni di Bicci, ormai anziano, si ritirò dagli affari, l’azienda che contava sulle tre importanti filiali di Firenze, Venezia e della curia romana, passò nelle mani del suo figlio primogenito Cosimo che già aveva mostrato di essere portato per il mestiere del padre. Sulle vicende del banco che io ho esageratamente semplificato, il lettore interessato potrà trovare approfondimenti e adeguato chiarimento nell’opera di Raymond de Roover (Il banco Medici dalle origini al declino) che resta a tutt’oggi il più analitico strumento di studio delle origini e dell’evoluzione dell’azienda medicea.

Quale importanza ebbe, per la storia della famiglia, Cosimo il Vecchio?
A Cosimo il Vecchio si fa risalire l’origine del potere della famiglia e del prestigio politico dei Medici. Cosimo fu un accorto uomo politico, un patrocinatore della cultura e delle arti, e anche un abile tessitore di reti clientelari e di alleanze. Ma prima ancora di essere tutto questo, Cosimo fu soprattutto un banchiere, e non un banchiere qualunque: Cosimo era il banchiere del papa. Era quello, cioè, che prestava soldi alla curia, “la più colossale organizzazione multinazionale esistente al mondo” come la definisce Alessandro Barbero nel suo recentissimo libro su Dante. Insomma, Cosimo fu il primo vero uomo di potere della casa Medici. Un potere che gli derivava certo dalla sua abilità finanziaria ma anche dal suo carisma, dalla sua autorevolezza, dalla capacità di ispirare fiducia nel prossimo e garantire il benessere di chi lo sosteneva. Cosimo era un individuo che sapeva creare consenso, si direbbe oggi. Era autorevole e misurato, uno sulla cui parola si poteva contare. Ma, in quanto uomo di potere, era anche uno che conosceva il valore del rischio e non aveva timore di scommettere quando il gioco, come si usa dire, iniziava a farsi duro. Si racconta che quando nel 1433 i suoi avversari, contando su un governo temporaneamente antimediceo, lo fecero imprigionare, Cosimo sia riuscito a liberarsi e fuggire a Venezia offrendo del denaro ai suoi carcerieri. Lo racconta lui stesso (in un suo memoriale) quando ormai l’opposizione è fugata e il suo potere sembra forte più che mai, e con disinvoltura quasi si rammarica dell’incapacità di osare dei suoi carcerieri, a cui avrebbe dato qualunque cosa in cambio della libertà. Ecco, Cosimo fu anche questo.

Il suo ritorno in città dall’esilio nel 1434 fu coronato dal successo anche in virtù del sostegno dei suoi partigiani che gli erano legati da interessi economici, politici, familiari, clientelari e che in lui vedevano l’autorevolezza e la capacità necessarie per conservare il proprio benessere (in termini non solo economici o politici ma anche di visibilità sociale) e garantire quello della città intera. Nella storia della famiglia Cosimo esercitò un ruolo analogo: il network di alleanze personali che aveva messo in piedi, anche attraverso la promozione di gente nuova, elargendo e garantendo favori in cambio del loro appoggio incondizionato fu all’origine del forte peso individuale che i suoi discendenti, il figlio Piero ma soprattutto il nipote Lorenzo (il Magnifico), continuarono ad esercitare in una città che ancora formalmente si configurava come una Repubblica. In aggiunta a questo Cosimo che, forse proprio perché uomo d’affari, possedeva una grande lungimiranza anche sul piano culturale e artistico, seppe dare impulso all’umanesimo civile patrocinando l’attività di intellettuali e filosofi (Marsilio Ficino per citare il più noto), promuovendo la riscoperta della cultura greca ed ebraica, finanziando il collezionismo e la ricerca di manoscritti. Non fu da meno sul piano della committenza artistico-architettonica (si pensi al convento di San Marco o alla Cappella dei Magi). Tutte attività, queste, che i suoi eredi (e “ufficiosi” successori) avrebbero avuto cura di portare avanti con altrettanti entusiasmo e dedizione, per la gloria della città oltre che della famiglia, ma che fu lui il primo ad avviare.

Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico è forse la figura più nota e affascinante del casato: qual era la sua personalità?
Lorenzo il Magnifico è un personaggio storico che è stato straordinariamente studiato, su cui possediamo molta documentazione e su cui è stato scritto tantissimo. Lo conosciamo come uomo politico, come stratega (il famoso “ago della bilancia”), come diplomatico e come bersaglio dei suoi nemici, ma anche come uomo di mondo, poeta, amante delle donne e seduttore (si pensi ai molti flirt che gli sono stati attribuiti: Lucrezia Donati, Simonetta Vespucci, ecc.). Ciò nonostante resta sempre difficile pensare di poter definire la personalità di qualcuno così lontano nel tempo e che non si è conosciuto di persona. Sicuramente l’impressione che si ha di Lorenzo è che fosse un uomo naturalmente versato per la leadership e cresciuto in fretta: un giovane maturo, molto abile nel comprendere da che parte tirasse il vento e come sfruttarlo a suo favore. Lorenzo, non dobbiamo dimenticarlo, muore ad appena 43 anni e muore dopo aver messo a segno diverse vittorie: è scampato miracolosamente a un temibile attentato, ha messo ferocemente a tacere i suoi avversari (più di uno lo ha fatto eliminare fisicamente con una certa ferocia), ha conservato la leadership cittadina ed è riuscito a ricucire i rapporti col papa che dopo la congiura dei Pazzi parevano definitivamente compromessi. Ha perfino instradato il suo secondogenito sul trono di Pietro. A descriverlo così, in effetti, il Magnifico sembra quasi un super-eroe, e in questo mito c’è senz’altro il forte peso della molta letteratura storica che su di lui si è accumulata. Più realisticamente, Lorenzo fu un uomo provvisto di molti talenti che le circostanze (la morte del padre, l’influenza del nonno, l’ambizione personale, il contesto storico cittadino) avevano destinato fin da giovanissimo a un ruolo di governo. Ma, probabilmente, fu anche un individuo segnato da una forte coscienza della precarietà del potere e della vita umana, come si avverte persino in quel suo notissimo e celebre ritornello “chi vuol esser lieto sia, del doman non vi è certezza”. Un messaggio che allude, in fondo, a una spensieratezza coatta, forzata dalla realistica consapevolezza di non poter mai davvero sorvegliare a pieno l’andamento delle cose, del tempo, degli eventi. Lorenzo questa consapevolezza sembra averla avuta fortissima e, al contempo, sembra averla combattuta con tutti gli strumenti (intellettuali e materiali) di cui disponeva.

I Medici diedero alla Chiesa anche diversi papi: in che modo incisero sulla storia della Chiesa, in particolare Leone X?
I Medici diedero alla Chiesa due papi, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Leone X che fu papa dal 1513 al 1521 e Clemente VII, papa dal 1523 al 1534.

Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici figlio di Lorenzo il Magnifico, fu il primo della famiglia Medici a sedere sul soglio pontificio per quasi un decennio dal 1513 fino alla morte. Più in generale, Leone X fu il primo della famiglia Medici a rivestire un ruolo di potere istituzionale in una sede universalmente riconosciuta. Lo stesso Lorenzo suo padre, a Firenze, per quanto agisse come un signore di fatto, restava sulla carta un cittadino alla pari di molti altri di alto livello. Lorenzo era un primus inter pares, e sebbene godesse in pratica di una libertà d’azione quasi illimitata, non possedeva alcun titolo che lo riconoscesse formalmente come signore di Firenze. Il fatto che suo figlio avesse conquistato il trono di Pietro certamente conferì alla famiglia un prestigio straordinario e offrì a Leone X la possibilità di intervenire su un teatro politico molto più ampio di quanto non fosse già accaduto ai suoi famigliari. Forse l’aspetto più rappresentativo del suo pontificato in relazione alla storia di Roma e della Chiesa risiede nell’opulenza, nella magnificenza e nella alta committenza artistica. Nonostante, infatti, proprio in quegli anni iniziassero a delinearsi i primi segnali di turbativa – l’avvio della riforma luterana, della rivalità con l’Impero e delle guerre di religione – che avrebbero finito per scardinare gli equilibri europei, la politica di Leone X riuscì a non farsene schiacciare. Diversamente, il pontificato del cugino Clemente VII (eletto nel 1523, a due soli anni di distanza dalla morte di Leone X) fu travolto in pieno dalle conseguenze più drammatiche delle pressioni scismatiche (la questione luterana, lo scisma anglicano) e della politica di alterne alleanze con Francia e Impero, che compromisero l’equilibrio della Chiesa. Un episodio per tutti: il sacco di Roma nel 1527, quando le truppe mercenarie dell’imperatore misero la città santa a ferro e a fuoco compiendo atti di vandalismo e inaudita violenza e lasciarono la popolazione decimata.

Quale evoluzione subì la signoria medicea con la nascita del Granducato?
L’evoluzione e il cambiamento nel passaggio dalla leadership medicea de facto al granducato fu abbastanza vistosa. Ripeto che perfino un personaggio come Lorenzo dei Medici se pure riconosciuto come un leader cittadino non aveva formalmente nessun titolo che lo qualificasse come signore di Firenze. Col passaggio al ducato (e poi al granducato) si ebbe invece una formalizzazione di questa supremazia (la concessione imperiale del titolo di duca) e un’operazione di accentramento del potere e irrobustimento dello stato. A Cosimo I, il primo granduca, si deve infatti il progresso nella centralizzazione dello stato, l’accorpamento degli uffici, il controllo del territorio e la sua valorizzazione (per esempio le prime operazioni di bonifica nelle zone del sud della Toscana), l’ampliamento dei confini del “regno”, il dialogo alla pari con altri potentati locali, ma anche -a livello più strettamente cittadino- i molti interventi urbanistici, la scelta di una residenza adeguata (prima Palazzo Vecchio, poi Palazzo Pitti), la progressiva proiezione verso un sistema di corte che avrebbe trovato la sua più completa espressione con i suoi eredi. Fu un passaggio non solo tra due sistemi di governo profondamente diversi ma anche tra due ere storiche segnate da una diversa identità: se la leadership medicea a Firenze era stata per tutto il Quattrocento qualcosa che Cosimo e i suoi eredi avevano saputo mettere in piedi, manovrare e conservare con cura, in epoca granducale divenne un’acquisizione effettiva. E se non si correva più il rischio di congiure, sovvertimenti di potere o mutazioni di regime, c’era però, fortissima, la responsabilità di un ruolo la cui visibilità era ormai di dimensione europea: si pensi alle due regine di Francia, Caterina dei Medici prima e poi Maria dei Medici, o alle alleanze matrimoniali strette con le eredi di Francia o della casa degli Asburgo, o ancora al continuo dialogo con il papato.

Come si spense la storia della famiglia?
Potrei dirle che la storia della famiglia non si è mai spenta, come dimostra il fatto che ancora oggi, che sui Medici si ritiene di conoscere praticamente tutto, si continua a scrivere libri e a organizzare convegni, a celebrarne centenari e ricorrenze e perfino a trasformare i suoi più celebri esponenti in protagonisti di fiction romanzesche di improbabile avvenenza. Si continua insomma a tenerli in vita. D’altronde, proprio prendendo a pretesto la celebrità televisiva a cui, in tempi recenti, il pater patriae e i suoi eredi hanno finito, loro malgrado, per approdare, basterà pensare ai loro spazi di azione: il Duomo, piazza della Signoria, piazza San Marco, Palazzo Vecchio, piazza Santo Spirito, per dirne solo alcuni. Ancora oggi i luoghi che caratterizzano il centro storico e il cuore culturale di Firenze (non solo la Firenze museale o ad uso turistico ma anche la Firenze dei suoi residenti) sono spesso luoghi “medicei”. È molto difficile, cioè, camminare per il centro della città senza imbattersi in un dettaglio più o meno vistoso che richiami alla mente la presenza medicea, così come per estensione è difficile girare per la Toscana senza incappare in una villa o in uno stemma della famiglia o in un palazzo appartenuto a qualche loro sodale, o in un intervento urbanistico voluto dai primi granduchi, o in un prodotto dell’arte, dell’ingegno o della scienza che non abbia ricevuto il loro benestare. In questo senso la continuità di tre secoli di cui dicevo all’inizio e una certa coerenza nella gestione dello stato hanno contribuito a creare un mix di storia e memoria diffuso in maniera capillare e duratura.

In termini strettamente dinastici, invece, la storia dei granduchi Medici si esaurì nella maniera più banale: per estinzione biologica. Tutti i figli di Cosimo III e della Orléans (l’ultimo granduca, Giangastone, ma anche i suoi fratelli Ferdinando e Anna Maria Luisa) morirono senza eredi, fatto che decretò il passaggio del trono di Toscana, attraverso un complicato gioco di alleanze su scala europea, nelle mani della dinastia dei Lorena.

Claudia Tripodi è ricercatrice di storia medievale e collabora attualmente con le Università di Chicago e di Firenze. Studia la società fiorentina del ‘400 e la storia della famiglia. Oltre a saggi in riviste e miscellanee, è autrice di: Gli Spini tra XIV e XV secolo. Il declino di un antico casato fiorentino (Olschki, 2013); Vespucci, Firenze e le Americhe (con Giuliano Pinto e Leonardo Rombai, Olschki, 2014); Prima di Amerigo. I Vespucci da Peretola a Firenze alle Americhe (Viella 2018) e Giovanni di Pagolo Morelli. Ricordi e nuova edizione storica (FUP, 2019).

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