
di Giovanni Marginesu
Giulio Einaudi editore
«Perché la contabilità è tanto importante nel regime democratico ateniese dell’aurea età periclea? In parte, certo, perché la dimostrazione pratica, aritmetica, di aver condotto gli affari di stato in modo corretto poteva evitare o sventare eventuali accuse. Tuttavia, la correttezza era anche un valore tout court, intimamente connesso all’etica, tanto che un’amministrazione adamantina era di per sé specchio dei principî formali e sostanziali del regime democratico.
Nell’amministrazione dei beni privati, l’obiettivo è quello di accrescere la ricchezza: si tratta di un accrescimento che spesso presuppone la violazione egoistica e personalistica delle regole comunitarie di «giustizia» (dike). Al contrario, nella gestione del denaro pubblico, lo scopo non è il guadagno (kerdos), bensì il rispetto delle regole e la difesa dei fondi ricevuti in gestione. Quindi tra le doti di chi maneggia denaro della polis vi sono agganci espliciti alla sfera della giustizia (dikaiosyne), al tema della correttezza, e a quello della suprema etica della bontà/bellezza. Mai all’abilità e alla furbizia. L’amministrazione del denaro pubblico non deve essere insomma avida, ma corretta, giusta, buona, diritta: in altri termini “felice”. Ma che relazione intrattengono l’estrema correttezza formale e la severità contabile con questa felicità, che è poi semplicemente l’obbedienza alle regole?
La precisione infinitesimale assume un significato peculiare, nel senso che veicola nel comportamento contabile l’etica della perfezione che permea, mutuata da contesti più ampi, anche diverse espressioni della politica democratica, specialmente periclea. Il confronto con altri campi di applicazione nell’Atene del v secolo a. C. può risultare particolarmente prezioso. Per fare un solo esempio, i monumenti dell’età di Pericle dimostrano che le maestranze operarono con un cura maniacale per il dettaglio. Un’attenzione sottile e raffinata su ordini di grandezza massimi e minimi, sorprendente considerando i mezzi tecnici dell’epoca, eppure del tutto in linea con l’idea che un servizio per la polis, o per i suoi dèi, dovesse mirare a un’ideale di perfezione, etica in quanto estetica.
La concentrazione di manualità e intelligenza usata nel campo dell’arte è un ottimo confronto per comprendere che le stesse virtù potevano essere esplicate nella contabilità. Che era a sua volta un’arte nella quale operavano in maniera consustanziale la manualità, intesa come una sequenza di gesti ormai codificati, simbolo e pietra angolare di regole auree e universali, e l’intelligenza del calcolo.
La democrazia, insomma, impone un’etica della precisione messa in scena come un esercizio formale, estetico, del corretto risultato, e la contabilità è un campo in cui l’efficacia e l’utilità di quest’etica risultano di primaria importanza per la sopravvivenza della polis.
Ecco perché Pericle, anima e simbolo della democrazia, amava essere ritratto mentre faceva di conto. Ecco perché quella sua tanto sottolineata avarizia, forse antipatica tra le mura domestiche, divenne una virtù olimpica, sotto il nome di acribia. Ecco perché, quando il grande stratego prendeva la parola in assemblea, le monete, indisciplinate e riottose quasi come gli uomini, si disponevano quasi magicamente a dare ordinata ragione ai suoi discorsi.»