“I grandi eretici che hanno cambiato la storia” di Michele Pellegrini e Roberto Roveda

Dott. Michele Pellegrini, Lei è autore con Roberto Roveda del libro I grandi eretici che hanno cambiato la storia, edito da Newton Compton: quando nasce l’eresia?
I grandi eretici che hanno cambiato la storia, Michele Pellegrini, Roberto RovedaDal punto di vista etimologico il termine deriva dal greco e significa “scelta”. Chi compie un atto eretico oppure esprime opinioni eretiche fa una scelta, né positiva, né negativa. Su un qualsiasi dizionario la definizione di eresia è: “Dottrina che si oppone a una verità rivelata e proposta come tale dalla Chiesa cattolica e, per estensione, alla teologia di qualsiasi Chiesa o sistema religioso, considerati come ortodossi”. Possiamo dire che da questa definizione deriva l’idea che l’eresia sia una idea “sbagliata” e gli eretici persone che errano. Come si è arrivati a questo punto? Il processo non è stato lineare e indolore: nei primi secoli dell’era cristiana, la lenta definizione dogmatica del cristianesimo porta all’individuazione di un dogma e alla condanna dell’idea sconfitta esclusivamente sul piano dottrinale; in buona sostanza, l’eresia, potremmo dire, è essenzialmente un crimine di coscienza. La prospettiva cambia radicalmente nei secoli centrali del Medioevo, quando la Chiesa di Roma nega qualsivoglia forma di dissenso dogmatico o morale equiparando l’eresia al più grave dei crimini politici, quello di lesa maestà, e avviando un progressivo processo di demonizzazione dell’eretico che diventa, al pari dell’infedele, uno strumento del Male nel mondo; su questo processo tornerò a breve; basta qua notare che questa concezione dell’eresia attraversa buona parte della storia del cristianesimo e ha portato a profonde divisioni e lotte all’interno del mondo europeo che si riconosceva nella dottrina cristiana. La repressione dell’eresia non si limitò a pene canoniche, ma proprio in considerazione di quanto detto si manifestò nella progressiva definizione di speciali tribunali per processare e condannare il dissenso, spesso anche con la pena di morte. Alla luce di queste considerazioni, il libro mio e di Roberto Roveda pubblicato da Newton&Compton evidenzia domande scomode che hanno risposte scomode, destinate a far riflettere: come ha potuto la religione nuova, dell’Amore di Dio testimoniato dal sacrificio di Cristo messo a morte come bestemmiatore e ribelle da autorità religiose trasformarsi in carnefice di uomini e donne testimoni di una religiosità “diversa”? Chi erano gli eretici e le eretiche?

Quale processo di demonizzazione dell’eretico si sviluppò durante i secoli centrali del Medioevo?
Per la Chiesa di Roma fondamentale per tutelare la società cristiana dall’eresia è stato fissare lo stereotipo che lega gli eretici al Diavolo, prototipo del Male, tentatore di Adamo ed Eva, dello stesso Cristo nel deserto e di tutta l’umanità. Gli eretici sono definiti «membra del diavolo», «ministri del diavolo», «messi del diavolo» e viene loro attribuita ogni depravazione e pratica (anche sessuale) perversa. Significativo è un testo scritto nel 1220 dal monaco cistercense Cesario da Heisterbach per i novizi del suo ordine. L’opera si situa cronologicamente in un momento decisivo dello scontro tra la Chiesa e i movimenti ereticali: quando cioè si vanno definendo gli strumenti giuridici e operativi della lotta e la cultura chiericale definisce gli stereotipi della polemica contro gli eretici. Nel suo Dialogus miracolorum egli vuole mostrare ai giovani futuri monaci i miracoli che avvengono ogni giorno, e nel capitolo De daemonibus propone esempi della malvagia opera del Diavolo e dei demoni sull’uomo. È ancora l’eterno gioco tra Bene e Male, nel quotidiano cammino che conduce alla dannazione o alla salvezza. In questa lotta ciascuno è accompagnato dalla presenza costante di un angelo dedito alla custodia e di un angelo decaduto dedito alla tentazion. Perché il premio eterno deve essere meritato facendo prevalere le virtù sui vizi e i demoni sfidano, esercitano l’uomo in funzione della salvezza. Per Cesario il Diavolo è come il leone o l’orso alla catena, si viene morsi solamente se si entra nello spazio in cui la fiera è costretta; così perché l’uomo sia dannato serve la duplice volontà dell’uomo e del demonio.

Nel xiii secolo si rispolverano tutte le armi della polemistica antiereticale; negli eretici il demonio opera ancora più intensamente che negli ossessi e le loro idee e i loro comportamenti sono il prodotto dello speciale rapporto che essi hanno con il diavolo. Non seguendo la legge divina gli eretici infrangono l’ordinamento morale e il disordine che la loro azione provoca rischia di travolgere anche la vita sociale. L’eresia condivide con il demoniaco una potenzialità destrutturante che rischia di farsi azione disgregatrice se non intervengono le energie della cristianità ad arginarla. L’equiparazione eretici-demoni motiva ampiamente la paura e l’intolleranza degli uomini di Chiesa verso i dissidenti: l’enormità del pericolo rende impossibile sforzarsi di comprendere esperienze religiose differenti. Da questo punto di vista gli eretici diventano persino utili nel processo di conferma dell’autorità e della supremazia ecclesiastica.

Qualcosa di simile accade anche all’inizio dell’età Moderna quando l’Europa attraversa una lunga crisi segnata da carestie, pestilenze e guerre, che produce un clima di generale incertezza e alimenta paure individuali e collettive. Intenzionata a ricondurre la cristianità all’uniformità religiosa, la Chiesa reagisce piegando all’ortodossia valdesi e hussiti, imponendo la conversione o l’allontanamento degli ebrei e soprattutto rintracciando ed estirpando il temibile complotto di streghe e stregoni a danno dei buoni cristiani. A partire dal xiv secolo, gli inquisitori cominciano a perseguire come sospette di eresia le pratiche magiche e stregonesche e agli inizi del Quattrocento giudici e inquisitori “scoprono” il sabba nelle Alpi occidentali. Frammenti di pratiche folkloriche, di medicina popolare e di credenze naturistiche vengono sistematizzate dalla cultura clericale e trasformate in un sistema religioso antagonistico. L’inimicizia del Diavolo contro gli uomini e le loro comunità offre un’efficace spiegazione ai mali quotidiani: si individua nelle streghe, operatrici nel mondo istigate dai demoni, le responsabili delle disgrazie individuali e collettive di un’epoca di crisi. Non è un caso se l’immaginario del sabba ottiene un duraturo favore nella società europea del tardo medioevo e dell’età moderna. L’elaborazione culturale che conduce alla definizione dell’immaginario del sabba si comprende considerando che tra xiv e xv secolo la cultura clericale vuole costruire un modello che spieghi i mali concreti della comunità: la stregoneria diventa un complotto intentato dal Diavolo contro l’umanità attraverso streghe e stregoni al suo servizio. È questo il modo in cui Satana si oppone al disegno salvifico di Dio infliggendo mali individuali e collettivi tramite i suoi agenti nel mondo; l’inquisizione in questa prospettiva è chiamata a intervenire non più solo contro chi sostiene una dottrina condannata dalla Chiesa, ma contro adoratori del diavolo, nemici della vera fede, di Dio e di tutta l’umanità.

Quali sono state le più influenti eresie di sempre?
Potremmo dire forse che alcune tra le eresie più influenti sono quelle che sono divenute a loro volta dogma.

Innanzitutto, il cristianesimo stesso che nasce come movimento minoritario e per certi versi dissidente se non addirittura in aperto contrasto con l’ebraismo. Tra il iii e il vi secolo il cristianesimo muta progressivamente da movimento religioso senza alcuna forma di organizzazione, se non la comune fede che prometteva una vita oltre la morte, in un’istituzione consacrata dalla solennità del rito e guidata da una gerarchia sacerdotale che ne ha progressivamente definito i contenuti dogmatici.

Nei secoli centrali del medioevo varrebbe la pena di ricordare i catari. Da un certo punto di vista essi sono l’unica “vera” eresia medievale perché sono gli unici a proporre una teologia manichea alternativa a quella cattolica giungendo all’inizio del XIII secolo ad avere anche una struttura ecclesiastica alternativa a quella cattolica. In Linguadoca queste chiese catare diventano egemoniche rispetto a quella cattolica. Questa la ragione di fondo che spinge Innocenzo iii a bandire la crociata nel Mezzogiorno di Francia contro i catari, che vengono in quella circostanza anche definiti come albigesi (dalla città di Albi). È una “guerra santa” fatta di violenze e stragi che determina anche la scomparsa della cultura provenzale.

In ultimo vorrei ricordare la riforma protestante. Oggi i rapporti tra le Chiese protestanti e quella cattolica sono guidati dal reciproco rispetto e dal dialogo ecumenico, ma in passato non era così: la riforma protestante si presenta come un movimento religioso e culturale che investe tutto il continente organizzandosi, nell’Europa centrale e settentrionale, in Chiese stabili e durature che rompono definitivamente l’unità della cristianità occidentale. Lo scontro è inevitabilmente violentissimo: Lutero sostiene che il papa è l’Anticristo annunciato dall’Apocalisse; la Chiesa di Roma risponde contrastando la Riforma con ogni arma e avviando dall’interno un processo di rinnovamento iniziato negli ordini religiosi e proseguito, con maggior lentezza, nel clero diocesano.

Giovanna d’Arco ha vissuto una parabola che l’ha condotta dalla morte sul rogo alla gloria degli altari: come si è svolta la sua incredibile vicenda?
Giovanna d’Arco è forse uno dei personaggi più noti del medioevo occidentale: guerriera, eretica, martire e santa, è entrata a far parte della cultura popolare. Ma chi è Giovanna d’Arco? Appare nelle cronache nel 1428, dopo il suo incontro con il capitano Robert de Baudricourt, a Vaucouleurs. È la figlia più giovane di un coltivatore di Domrémy, villaggio del baliato di Chaumont nella Champagne, al confine tra Regno di Francia e Lorena. Riceve forse un’educazione religiosa, come sembrano mostrare le sue deposizioni nel processo che costituisce anche la fonte principale per conoscere la sua storia. Nella Francia travagliata dalla guerra dei Cent’anni, occupata dagli eserciti del re d’Inghilterra, Giovanna afferma di essere spinta dalle voci a battersi contro gli inglesi e a liberare Orléans sotto assedio, e convince Baudricourt a inviarla da Carlo di Valois, il re senza corona pretendente al trono di Francia. Una serie di vittorie dell’esercito guidato da Giovanna d’Arco porta all’incoronazione di Carlo di Valois ma la ragazza è fatta prigioniera e consegnata a Giovanni, duca di Bedford e reggente del reame di Francia a nome di Enrico vi, in cambio di una somma di diecimila lire d’oro. Gli inglesi vogliono processarla per eresia e magia perché la condanna ne avrebbe distrutto l’ascendente sul popolo francese e avrebbe messo in discussione la legittimità dell’incoronazione di Carlo vii, sostenuto e consigliato da un’eretica manifesta. Tutte le forme legali sono rispettate e la ragazza è interrogata sulla sua vita, sulla fede e sulle voci provenienti da Dio con la mediazione di santa Caterina e santa Margherita che l’hanno spinta a prendere le armi. Viene anche interrogata su una sorgente magica, il vicino albero delle fate e i riti che vi si praticavano, suggerendo una sua credenza al riguardo. Negli altri interrogatori le domande sulla fede sono messe in secondo piano rispetto a quelle su magia e stregoneria: Giovanna risponde negando ma perdendo via via la sicurezza iniziale. È una diciannovenne sola e disperata: giunse al punto di tentare di uccidersi ma non si piega mai ai giudici nonostante la minaccia di tortura.

Alla fine nel maggio 1431 le sono letti i dodici capi di accusa secondo cui è idolatra, invocatrice di demoni, apostata ed eretica, e anche l’indossare abiti maschili è visto come una bestemmia contro la legge naturale di Dio. Giovanna accetta di abiurare e viene condannata al carcere perpetuo. È facile immaginare che gli inglesi non siano soddisfatti della sentenza e tre giorni dopo, in circostanze non chiare, trovano Giovanna nuovamente vestita con abiti maschili. A quel punto la ragazza rinnega anche la precedente confessione e il 30 maggio viene arsa sul rogo a Rouen dopo essersi confessata e comunicata, tenendo tra le mani una croce fatta da un soldato inglese con due pezzi di legno.

Tommaso Campanella si sottrasse alla condanna a morte come eretico fingendosi pazzo: di cos’era accusato il frate calabrese?
La resistenza di Tommaso Campanella e la sua astuta tattica per sopravvivere all’Inquisizione hanno dell’incredibile. Vediamo la sua vicenda. Giovan Domenico Campanella nasce a Stilo, nel Regno di Napoli, nel 1568; nei primi anni Ottanta entra nell’ordine domenicano assumendo il nome di Tommaso. Studia in diversi conventi calabresi e infine nel grande studio di Cosenza, per compiere la formazione teologica di carattere tomistico caratteristica dell’ordine. Campanella ben presto si avvicina alla filosofia della Natura di Bernardino Telesio, di cui sposa il naturalismo. Nel 1589 si trasferisce a Napoli presso il convento di San Domenico. Sottoposto a procedimento interno all’ordine per l’adesione alla filosofia telesiana e invitato a tornare in Calabria, parte invece in direzione opposta, giunge a Padova e frequenta ambienti ebraici ed eterodossi. Nel 1594 è arrestato dall’inquisizione con accuse di eresia e ateismo; a seguito di un fallito tentativo di evasione, è estradato a Roma e rinchiuso nelle carceri del Sant’Uffizio dove conosce Francesco Pucci. Da lui assorbe un vasto complesso teologico e profetico di origine anabattistica relativo al ruolo di Cristo come restauratore dell’innocenza primitiva. Il processo si conclude con un’abiura, seguita dalla condanna dei suoi scritti e da una reclusione durata fino alla fine del 1597. Rimandato in Calabria, Campanella continua a scrivere ed è il principale responsabile di una vasta congiura che mira a creare nella sua terra una repubblica comunistica che conduca a una nuova età dell’oro annunciata da previsioni astrologiche e segni profetici. Nel 1599 i congiurati vengono traditi e Campanella è arrestato e nuovamente processato a Napoli per eresia ma il papa conduce una politica antispagnola e sceglie uomini che trattino con clemenza frate Tommaso. In febbraio, sotto tortura, Campanella confessa la propria eresia: è relapso e quindi passabile della sentenza capitale. Due mesi più tardi i suoi carcerieri lo trovano delirante nella sua cella dove ha appiccato il fuoco al pagliericcio: il filosofo è improvvisamente impazzito! In luglio è sottoposto di nuovo a tortura per fargli confessare la simulazione, ma egli canta, dice cose senza senso, risponde da pazzo. Frate Tommaso cerca in questo modo di salvarsi la vita, visto che il Sant’Uffizio non metteva a morte gli insani di mente. Nel 1601 viene sottoposto alla prova definitiva detta della «veglia»: trentasei ore di tortura tra corda e cavalletto con tre brevi interruzioni. Campanella continua a fingere squilibri psichici e i giudici, pur sospettando la simulazione ma non avendone prove certe, si attengono alla normativa e lo dichiarano giuridicamente pazzo. Dopo essere rimasto in sospeso tra la vita e la morte per sei mesi, i giudici di fede lo condannano al carcere perpetuo irremissibile, in quanto eretico recidivo e confesso ma folle.

A seguito di questi fatti, Campanella rimane sotto la giurisdizione del Sant’Uffizio nelle carceri di Napoli per ventisette anni, durante i quali scrive molti testi, tra cui il suo capolavoro La città del sole. Nel 1626 viene scarcerato dalle autorità spagnole e infine condotto a Roma per volere della Congregazione. Anche se si trova nuovamente sottoposto a indagine per le vecchie accuse, la sua attività intellettuale non si interrompe. Viene definitivamente liberato nel 1634, quando un giovane domenicano del convento di Napoli è processato e ucciso per una nuova congiura antispagnola: a quel punto il papa stesso organizza la fuga in Francia del filosofo che tra Marsiglia e Parigi vive i suoi ultimi anni.

Galileo Galilei si trovò, suo malgrado, a dover rispondere di eresia ed esser costretto all’abiura: perché le sue ricerche vennero tacciate di eresia?
Tra Cinquecento e Seicento l’inquisizione interviene anche nell’ambito dell’alta cultura e del pensiero astratto; non tanto perché in questo contesto siano formulate dottrine eretiche, quanto perché la nuova filosofia si pone in contrasto con le verità di fede proponendo concezioni della realtà, dell’assoluto, dell’universo che minano le basi concettuali della teologia.

La vicenda di Galilei mostra come le nuove scoperte scientifiche che sconvolgevano la tradizionale visione del mondo sono viste con sospetto dalla Chiesa. Dopo le scoperte astronomiche del 1609-1610 ottenute grazie al telescopio, Galileo afferma in modo via via più esplicito la realtà del sistema del mondo copernicano; si situa così tra i matematici che già nel Cinquecento infrangono la tradizionale gerarchia dei saperi e rifiutano la subordinazione della loro disciplina alla filosofia naturale, estendendo la propria competenza allo studio dei fenomeni fisici. Nel mondo intellettuale italiano di allora, la scelta di Galilei lo espone ad attacchi su due fronti: al risentimento dei filosofi aristotelici, si aggiunge l’ostilità dei teologi che hanno fatto dell’aristotelismo il loro dogma.

Nel 1610 cominciano a circolare accuse contro di lui e le sue idee da parte degli ambienti universitari più conservatori e di alcuni ordini religiosi. Il matematico cerca di rispondere mettendo in evidenza che la Bibbia insegna come salvarsi, non come è fatto il mondo da un punto di vista naturale; pertanto, l’interpretazione dei riferimenti cosmologici della Bibbia deve fondarsi sulle scoperte degli scienziati. A Roma è in atto in quegli anni un più ampio dibattito in merito all’eliocentrismo e sul geocentrismo biblico che i conservatori vogliono materia di fede. Solo in questo caso, in effetti, era possibile infliggere le pene degli eretici al filosofo o al matematico che avesse sostenuto tesi cosmologiche contrarie alla dottrina. Sentito il parere di una commissione di consultori, nel febbraio 1616 il papa stabilisce che le posizioni copernicane vengano condannate e che il cardinale Roberto Bellarmino ammonisca personalmente Galilei, imponendogli di abbandonare l’eliocentrismo.

Nel 1623 ascende al soglio pontificio Maffeo Barberini col nome di Urbano viii, uomo di cultura e ammiratore di Galilei che gli dedica Il Saggiatore. Il nuovo papa sembra apprezzare e a quel punto il matematico, terminato il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo in cui confronta il sistema tolemaico e quello copernicano, chiede a Urbano viii di poterlo pubblicare. Il papa accorda il permesso a patto che il movimento della Terra sia proposto come pura ipotesi di calcolo matematico e non come realtà fisica, ma in seguito si accorge che contiene una chiara apologia del sistema copernicano e cerca di impedirne la diffusione. L’irrigidimento di Urbano viii ha molteplici spiegazioni, non ultima l’irritazione per quello che considera un tradimento dell’accordo e un affronto diretto alla sua persona. Galilei viene citato dalla Congregazione alla fine del 1632 e si reca a Roma nel febbraio successivo; incarcerato per poco tempo, è interrogato e ammette il suo errore. Date l’età e la salute malferma, gli è concesso il domicilio coatto presso l’ambasciatore toscano con l’obbligo del silenzio. In giugno il papa emette la sentenza di condanna vincolata alla verifica dell’adesione cosciente di Galilei all’eresia; lo scienziato è esaminato in merito all’intenzionalità sotto la minaccia della tortura. Il 22 giugno 1633 viene pubblicata la sentenza e l’imputato abiura davanti ai cardinali inquisitori e ai consultori.

Michele Pellegrini (Milano 1981) laureato in Storia all’Università degli Studi di Milano, è dottore di ricerca in Storia del Cristianesimo e delle Chiese cristiane. Insegna in un centro di formazione professionale; è curatore di libri di testo per la scuola. Tra le sue monografie: L’ordo maior della Chiesa di Milano (1166- 1230); Il confine occidentale. Dalla langue d’oc al movimento No Tav; Il confine settentrionale. Austria e Svizzera alle porte d’Italia; con L. Bertolo, F. Bertolo, I miei giorni da partigiano.

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