
Come può un delitto influire sulla storia? Semplice, quante volte vi sarete chiesti come sarebbero andate le cose nell’antica Roma se Giulio Cesare non fosse morto? Questa semplice domanda è sufficiente a spiegare quanto un delitto possa cambiare il corso della storia. Effettivamente se Cesare non fosse morto avrebbe potuto portare a termine l’impresa che stava progettando quando fu assassinato: la conquista del regno dei Parti, ma chissà.
Un delitto è un’azione come tante e come ogni azione determina un qualche cambiamento nel percorso intrapreso. Eliminare una persona, specie se si tratta di un personaggio influente a livello politico, è come arrivare a un bivio e scegliere una delle due strade, quella scelta sarà determinante e provocherà un effetto domino. Pensate solo a cosa sarebbe accaduto se i nipoti di Ottaviano fossero sopravvissuti, non tutti ma almeno uno. Tanto per cominciare Tiberio quasi sicuramente non sarebbe mai diventato imperatore e la storia di Roma avrebbe potuto essere radicalmente diversa.
Per quanto possibile ho cercato di presentare i vari delitti seguendo un ordine cronologico anche per cercare di rilevare come sia cambiato, col passare del tempo, il rapporto tra gli uomini e la violenza. Delitti che in una determinata epoca vengono considerati come “normali” o comunque nell’ordine delle cose, come un fratricidio, a un certo punto non lo sono più. La storia dell’uccisione di Remo da parte di Romolo, infatti, in epoca augustea viene notevolmente edulcorata perché, se nel VII secolo a.C. uccidere un fratello che infrange una regola è tollerato, non lo è più nel I secolo a.C. Quindi anche la violenza o meglio la sua percezione cambia.
La scomparsa improvvisa di Romolo è da sempre avvolta nel mistero e da molti viene considerata uno dei più oscuri crimini irrisolti dell’antichità: quali ipotesi si possono fare al riguardo?
Non potevo non iniziare questo saggio con la storia di Romolo e Remo, il primo delitto della storia di Roma. Però non ho voluto fermarmi al famoso fratricidio e ho deciso di avventurarmi in un’altra inchiesta, quella relativa alla morte di Romolo. Perché? Perché come saprete Romolo, così come gli altri re di Roma, è quasi sicuramente un personaggio creato ad hoc per colmare un vuoto nella storia dell’Urbe. Proviamo a immaginare gli storici di epoca repubblicana che cercano di rimettere insieme i pezzi della fase più antica della storia della città senza troppo successo. Prima del periodo repubblicano non venivano tenuti elenchi di magistrati e sovrani o annali con gli eventi più significativi. Le storie si trasmettevano oralmente e così piano piano, col passare del tempo, si sono definite sette figure alle quali sono state attribuite tutte le riforme approvate durante la prima fase di vita dell’Urbe. Figure che hanno finito per somigliare molto alle riforme approvate. Romolo è quello che ha fondato l’esercito ed è dunque quello violento, Numa Pompilio invece è quello saggio, quello delle riforme legate all’ambito religioso.
Romolo, dunque, è molto probabilmente un eroe eponimo. Vi chiederete a questo punto perché ci interessa tanto la morte di un personaggio che quasi sicuramente non è esistito, o almeno non nei termini in cui ne parlano le fonti? Perché ci permette di comprendere meglio la storia di Roma. Stando alle leggende popolari Romolo non morì ma fu rapito dal padre Marte durante una tempesta e portato nell’Olimpo. Livio e Dionigi, che sono le nostre fonti principali per il periodo monarchico, ricordano però un’altra versione, molto più plausibile della prima. I due storici, infatti, ci parlano di un re assassinato dai senatori del senato da lui stesso fondato e fatto sparire in maniera alquanto singolare. La morte di Romolo, più che la morte di un singolo sovrano, diventa un esempio di come dovevano andare le cose in epoca monarchica. Un re e il suo senato, due forze contrapposte che potevano arrivare a scontrarsi anche violentemente. Quell’omicidio diventa un esempio insomma della politica in età monarchica.
Nel libro ho analizzato questo omicidio esattamente come ho fatto con gli altri, partendo da elementi fondamentali per lo svolgimento di un’inchiesta: data e luogo del delitto, possibili indagati e arma del delitto. Là dove questi tre elementi sono noti è possibile procedere, nel caso di Romolo è tutto molto complicato.
Dietro l’assassinio dei fratelli Gracchi si cela uno dei conflitti che più a lungo hanno accompagnato la storia di Roma, quello tra patrizi e plebei: quali vicende accompagnarono l’omicidio dei due tribuni della plebe?
Esordiamo facendo un chiarimento, i patrizi e i plebei non sono i ricchi e i poveri. Quella che però fa da sfondo all’omicidio dei fratelli Gracco, e forse anche quello del cognato dei due Scipione l’Emiliano, è proprio la contrapposizione tra ricchi e poveri. Il conflitto tra patrizi e plebei riguarda la fase iniziale della repubblica e vide contrapposte per lo più famiglie ricche, alcune delle quali, avendo partecipato alla fondazione della città (le patrizie) pretendevano di vantare più diritti rispetto alle altre subentrate in un secondo momento (le plebee). Il famosissimo discorso di me e io Agrippa tende a fuorviare dato che si parla di stomaco e membra ma in realtà la situazione era più complessa di quanto potesse sembrare. I plebei volevano poter accedere alle magistrature romane ma come saprete non si percepiva uno stipendio una volta eletti dunque chi poteva essere eletto? Chi era abbastanza ricco da poter affrontare una campagna elettorale e un anno di lavoro non retribuito. Si tratta quindi di plebei sì ma pur sempre plebei ricchi che in virtù del loro status vogliono godere degli stessi diritti dei ricchi patrizi.
Tiberio è Gaio Gracco, invece, cercarono, con le loro leggi agrarie di sottrarre ai ricchi, a prescindere dal fatto che fossero patrizi o plebei, delle terre da poter distribuire ai più poveri e ai nullatenenti. Tanto per capirci, l’anno della morte di Tiberio Gracco era console Lucio Calpurnio Pisone Frugi, e la gens Calpurnia è una gens plebea che però, come molte altre, faceva ormai parte dell’aristocrazia senatoria, che poi era quella che Tiberio attaccava. Quindi una cosa sono i plebei ed altra la plebe.
Tiberio e suo fratello Caio avevano cercato di intaccare quei privilegi cui l’aristocrazia senatoria era molto legata, come ad esempio il possesso delle fertilissime terre campane. La Campania era nota per la sua ricchezza ed era diventata una specie di dominio esclusivo dei senatori. Basti ricordare che ancora in età Augustea poteva vantare una posizione di privilegio facendo parte, insieme al Lazio, della regio I.
I fratelli Gracco volevano distribuire le terre che secondo loro erano state occupate “abusivamente” sai senatori in Campania alla plebe e la cosa non andò giù praticamente a nessuno. È in un ambiente così teso che maturano questi delitti. Due delitti ai quali si affianca, come dicevamo, quello di Scipione l’Emiliano che dovete assolutamente approfondire.
Il delitto che forse più di tutti ha segnato la storia di Roma è stato quello di Giulio Cesare: in quale contesto maturò e chi ne furono i mandanti?
L’omicidio di Cesare è stato il delitto che mi ha occupata più a lungo. L’inchiesta è stata facile, del resto i nomi degli assassini sono noti da tempo, si trattava solo di capire che fine avessero fatto. Quello che di questo omicidio mi ha sempre incuriosita molto è il testamento. Per un appassionato di gialli, come lo sono io, il testamento di Cesare crea non pochi problemi. Di solito il testamento è quel documento che, specie di fronte alla morte violenta di un uomo ricco e potente, ci permette di rispondere alla domanda fondamentale di ogni delitto: cui prodest? Chi ci guadagna da quella morte?
Il cesaricidio però non ha come movente i soldi, quindi il testamento dovrebbe interessaci relativamente poco e invece no, perché ci aiuta a capire alcune cose riguardo la vittima. C’è chi ha sostenuto, non pochi, che Cesare volesse morire. Il fatto che avesse rinunciato alla sua scorta e che fosse andato così ingenuamente incontro alla morte ha destabilizzato molti che, volendo vedere in lui un personaggio infallibile, hanno cercato di giustificare in qualche modo questo scivolone. Eppure se prendiamo in considerazione il testamento a tutto verrebbe da pensare meno che a un Cesare con le manie suicide. Perché lasciare la guida del proprio partito e i suoi averi a un ragazzino che non ha ancora alcuna esperienza politica e militare? Forse perché pensava di avere tutto il tempo di addestrarlo a dovere portandolo con se durante la campagna conto i Parti? La scelta di un erede così giovane lascia pensare a un uomo che ha tutta l’intenzione di vivere ancora a lungo. Dunque bisogna accettare l’idea di un Cesare, che ormai sentendosi il padrone del mondo, ha, ahinoi, abbassato la guardia un po’ troppo.
Altra incognita di questo celebre delitto è sicuramente quella di Marco Antonio? Sapeva? E se sapeva perché non ha avvisato il suo superiore? Nel libro ho cercato di analizzare la questione ma non è facile quando non puoi interrogare i testimoni e quelli che invece sono disposti a parlare lo hanno fatto quasi duemila anni fa.
Il delitto di Cesare è forse il più spettacolare dell’antichità per la quantità di dettagli che ci sono pervenuti, inclusa la sequenza dei colpi inferti al dittatore.
Quali aspetti della vita quotidiana nell’antica Roma ci rivelano i crimini più celebri avvenuti dalla sua fondazione fino alla caduta dell’Impero?
Analizzando i delitti perpetrati nell’antica Roma dalla fondazione alla caduta dell’impero quello che appare più evidente è che le cose, nonostante siano passati duemila anni, non sono cambiate poi tanto. L’omicidio è ancora oggi un’arma usata in ambito politico, forse non tanto in Europa ma in altri paesi sì. Il femminicidio è ancora un problema irrisolto. Ci sono ancora molti delitti commessi per questioni religiose e l’avvelenamento è ancora oggi considerata un’arma prettamente femminile. Del resto ci siamo dati delle regole per frenare la tendenza all’uso della violenza che purtroppo è tipica della nostra razza e non solo quindi non potevamo aspettarci niente di diverso. Alla fine dei conti la gente non è cambiata poi tanto. Sono cambiati i tipi di armi usate, è cambiata la morale, sono cambiate le pene inferte a chi commette certi tipi di reati ma tutto il resto non è cambiato. Soprattutto il movente. Le cause che possono scatenare la furia omicida sono più o meno sempre le stesse: sete di ricchezza e gloria, gelosia, rabbia e vendetta. Per ognuno dei delitti descritti nel saggio si potrebbe quindi trovare un equivalente moderno.
Sono Sara Prossomariti e sono nata a Caserta il 19 marzo del 1984. Ho scoperto, drammaticamente, alla veneranda età di 10 anni, che il 19 marzo tutta l’Italia celebrava la festa del papà e non il mio genetliaco. Nella ridente e ormai nota Mondragone, il mio ego si è espanso a dismisura come l’universo e ha trovato rifugio nei libri. Facile alla noia, ho scoperto che solo i libri e i viaggi potevano movimentarmi la vita. Ognuno diverso dall’altro e alla fine di un’avventura subito una nuova pronta ad essere vissuta. Mi sono trasferita a Napoli nel lontano 2002 e ho conseguito due lauree, una in Storia Antica e l’altra in Archeologia. Ho svolto anche un periodo di studi all’estero, ad Atene per la precisione. Qui ho riscoperto le mie origini greche e soprattutto lo splendido legame che lega la mia città alla Grecia, dialetto incluso. Tendenzialmente sediziosa e polemica, nonché dotata di un certo sarcasmo, che di certo non vi sarà sfuggito, caratteristica tipicamente napoletana del resto, sono da anni una saggista della casa editrice Newton Compton con la quale ho pubblicato diversi libri come I personaggi più Malvagi dell’Antica Roma, I Signori di Napoli, Le Grandi Famiglie dell’Antica Roma, Il secolo d’Oro dell’Antica Grecia, Il Secolo d’Oro dell’antica Roma.