“I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento” di Luca Sarzi Amadè

Sarzi Amadè, Lei è autore del libro I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento edito da Laterza: perché la dinastia dei Gonzaga è importante?
I Gonzaga. Una dinastia tra Medioevo e Rinascimento, Luca Sarzi AmadèPerché, tra le maggiori dinastie italiane, è stata una delle più longeve. Bisogna pensare che in un’Italia perennemente sconvolta da guerre, i Gonzaga rimasero in sella per quasi quattro secoli, più del doppio dei Visconti, addirittura il triplo degli Sforza! Diedero dieci cardinali alla Chiesa, superando di netto le famiglie di molti pontefici. E ciò, curiosamente, senza aver mai dato neppure un papa. Diedero un numero infinito di religiosi, tra vescovi, abati, asceti, e perfino uno dei santi più popolari in assoluto: san Luigi, patrono della gioventù. Si imparentarono con dinastie regnanti (numerosi i matrimoni con gli Asburgo), al punto che due donne di casa Gonzaga diventarono imperatrici, e una terza perfino regina di Polonia. Infine, per farla breve, essi ebbero un ruolo trainante nel Rinascimento, nella storia della letteratura italiana e in quella dell’arte mondiale. Ma come fu possibile tutto ciò? Laterza mi ha chiesto di raccontare questo con parole semplici, perché tutti noi (il turista come lo studioso) abbiamo bisogno di un quadro di insieme aggiornato e comprensibile.

Nel libro Lei parla curiosamente anche della bandiera italiana. È vero che i Gonzaga innalzarono il Tricolore fin dal medioevo?
Pochi, visitando la Sala del Pisanello (1430 circa), una delle più note del Palazzo Ducale, notano un interessante dettaglio, finora non valorizzato, che raffigura già la bandiera che conosciamo oggi come italiana. Si tratta dei colori araldici della Dinastia: essi simboleggiano le virtù teologali, legate al Sangue di Cristo. È noto che la bandiera italiana nacque a Reggio Emilia in epoca napoleonica. Non tutti però ricordano che proprio i Gonzaga nel Medioevo erano stati signori anche di Reggio, dove avevano costruito un’importante cittadella, sopravvissuta fino all’800 (ben oltre quindi la caduta di Napoleone!). Le ipotesi di un legame sorgono dunque spontanee. Non è documentata però una discendenza “diretta”.

In che modo i Gonzaga hanno avuto un ruolo nella storia dell’arte mondiale?
Perché il Rinascimento è passato attraverso di loro. Pensiamo alla Camera degli Sposi di Andrea Mantegna, con il primo, vero ritratto di famiglia, e la prima prospettiva a cielo aperto. Oppure alla basilica di S. Andrea, primo edificio che replicò le forme e la maestà di quelli dell’età imperiale. Non dimentichiamo poi la prima stamperia ebraica, la prima donna al mondo curatrice di libri che si conosca (anche se, si sa, è sempre arduo dire una parola definitiva). E mi fermo perché gli elenchi non rendono merito. L’epopea dei Gonzaga corre a doppio filo tra abbazie, papato e impero, tra guelfi e ghibellini, tra Italia e Germania. I Gonzaga sono forse la dinastia più idonea a farci capire come è nato lo Stato, il concetto di Città Ideale (che ha informato l’Umanesimo, e l’urbanistica in Europa dei secoli successivi). Le loro opere urbanistiche ebbero un effetto trainante: pensiamo alle città stato da loro create (Guastalla, Sabbioneta). Perfino la celebre Addizione Erculea (il raddoppio della città di Ferrara pensato a fine ‘400 da Ercole I d’Este) ebbe, a mio avviso, un precedente, anche se meno evoluto, a Mantova, città antagonista.

Mantova è una cittadina, non ha il mare, né le grandi vie di comunicazione. Come ha potuto avere tanto successo?
In realtà già nel Medioevo Mantova controllava il tratto più importante del Po, che allora era un po’ l’autostrada commerciale tra l’alta Italia e Venezia, dunque il mare, l’oriente. A ciò si aggiunse la reliquia del Sangue di Cristo, custodita nella basilica di S. Andrea. Il che ne fece un luogo di sosta obbligato, non solo per i pellegrini diretti a Roma, ma anche per i re carolingi prima, e per gl’imperatori tedeschi poi, ad esempio quando si recavano dal papa a farsi incoronare. Attorno al fenomeno fiorì anche il legame della Casata con la Chiesa, con i movimenti religiosi tipici dei periodi più tormentati del Medioevo (che in questo modo riconobbero nei Gonzaga elementi attivi). Fu così che Mantova ospitò diversi papi. La reliquia giustifica anche il legame con un grande mito dell’immaginario medioevale, quello del Sacro Graal, e dunque con il ciclo arturiano. Non a caso proprio a quest’ultimo fu appunto dedicata la famosa Sala del Pisanello (1430 circa), il più grande pittore allora sulla scena.

Sui Gonzaga si è scritto già tanto. Perché allora questo libro?
Tanto? Si va dai libri di intrattenimento (pensati per il turista, in chiave spesso commerciale), ai tomi di grande valore scientifico, spesso poco pratici da consultare. Una letteratura, va detto, a volte di grande interesse per tutti noi, ma che nell’insieme ha il difetto di essere dispersiva. Anche i pochissimi “classici” alla portata del lettore medio (il più celebre: la Bellonci), sono ormai superati da nuove ricerche e nuove scoperte. Pensiamo anche solo all’eterno gioiello dei Gonzaga, la celebre Camera degli Sposi. Voi credete che chi vi entra si renda davvero conto delle cose? Una guida turistica enumera dati, elementi. Ma è la storia che ha prodotto il dipinto, e la storia va raccontata, altrimenti è incomprensibile: scivola via dalla mente. Io stesso ho dovuto faticare a lungo per focalizzare, ed essere poi in grado di “raccontare” agli altri ciò che effettivamente si conosce di preciso solo su questa Camera (sicuramente la più nota e la più studiata in assoluto della reggia). Troppi gli studiosi che se ne occupano, troppa la fretta di porsi in mostra con una “scoperta” o un’attribuzione, spesso astruso il linguaggio. Parlare di un’opera giova al turismo, ma in questo modo si crea confusione.

L’eccesso di pubblicazioni è dunque un problema?
Paradossalmente anche la mancanza. Per esempio un secolo come il 1300, basilare per comprendere la Dinastia, ci ha lasciato pochissimi documenti. Come atti notarili, forse neppure il 5% di tutti quelli rogati. Come è possibile ricostruire la storia se la documentazione diretta è tanto limitata (e gli studi -parlo di quelli seri- di conseguenza)? Per fortuna ci hanno preceduto gli “storici” dei secoli scorsi. Ma non sempre sono affidabili, e per il 1300 a Mantova la fonte prevalente rimane un poeta nato alla metà di quel secolo. Chiunque può ben comprendere le difficoltà che ciò comporta.

Il suo libro, pur offrendo un volto leggibile al lettore comune, propone al tempo stesso elementi sconosciuti agli specialisti. Ci fa qualche esempio?
Mi ha colpito il caso di una congiura (una delle tante per la verità) interna alla famiglia Gonzaga, svoltasi nel 1367. Alcuni saggi ne accennano a malapena, senza acclarare le esatte parentele (considerate spesso un dettaglio ozioso, e che invece nel caso sono rivelatrici). Ho dovuto faticare molto sulle pergamene dell’epoca (per fortuna, come dicevo, poche!) anche per accertare solo luoghi e modalità in cui si svolse l’intrigo. Non sempre è facile decifrare un toponimo o addirittura un indirizzo (che però può assumere una valenza chiave nella comprensione della vicenda). Bisogna poi anche districarsi tra “abbagli” propri (d’acchito inevitabili a chiunque) e sviste di studiosi pur encomiabili.

Come mai è stato scelto Lei?
Frequento l’Archivio Gonzaga fin dall’età di 16 anni. In vari decenni ho pubblicato solo due biografie sui Gonzaga: su Scipione, il cardinale, e soprattutto su Vespasiano. Il libro “Il duca di Sabbioneta, guerre e amori di un europeo errante” ha ottenuto il premio internazionale di letteratura Città di Milano. Vede, Mantova, come città di provincia, soffre ancora oggi di una certa tendenza “provinciale” a presentare i signori del luogo come dei modelli, ripulendoli degli aspetti conturbanti (o trasformando i loro “peccati” in un richiamo turistico, dunque redditizio). In questo modo sono spesso finiti in seconda luce congiure e intrighi, quali il colpo di Stato tentato nel ‘300 a Verona proprio dai signori di Mantova. Un aspetto già noto, ma che ho voluto approfondire (per quel che si può, dopo sei secoli). Ho però voluto anche focalizzare il tentativo di annettersi, sin dagli inizi della signoria, anche Cremona. Vi basta? E invece no. I documenti dell’epoca sembrano prefigurare un analogo progetto su Pisa, che forse sarebbe riuscito se non si fossero messi di mezzo i soliti Visconti, notoriamente i veri antagonisti, il vero incubo dei Gonzaga. A mio avviso la storia della Casata va un po’ ripensata nel suo insieme.

In che senso la storia dei Gonzaga va ripensata nel suo insieme?
Prendiamo ad esempio il celebre colpo di Stato del 1328 (che portò la Dinastia al potere). Finora è stato trascurato proprio il fattore a mio avviso scatenante: la terribile carestia di quegli anni. Come è possibile, vi chiederete, che nessuno se ne sia mai accorto? E c’è di più. Come noto, Cangrande della Scala, illuso di annettere Mantova a Verona, appoggiò il colpo di Stato, ma morì subito dopo, ora sappiamo tutti avvelenato. Dettaglio curioso, no? Ma, come molti altri, a mio avviso sottovalutato. Sulla Magna Curia del 1340 è uscito qualche anno fa uno dei più alti contributi scientifici mai visti a Mantova. Ma anche qui, pare nessuno abbia notato che la grande festa dinastica (con cibo, vino, divertimenti a volontà) coincise con un’altra memorabile carestia. Spesso agli studiosi sfugge proprio l’elemento principale: in questo caso la fame, la più grande attrice della storia umana (basti pensare al fenomeno dei migranti). Semplicemente perché noi non la conosciamo. Eppure le favole che ascoltavamo da bambini ce ne parlano eccome! Pensiamo poi alla nota vicenda di Agnese Visconti, decapitata per adulterio nel 1391. Sulla sventurata moglie di Francesco I Gonzaga, negli ultimi due secoli sono usciti drammi teatrali, saggi storici, biografie, romanzi, ignorando però il dettaglio più evidente; e cioè che la poveretta fu processata la settimana di carnevale e decapitata in pubblico proprio il martedì grasso, dunque davanti al popolo in maschera. Un aspetto di profondo valore antropologico.

Sarzi Amadè, ha accennato ai migranti. Pensa che la storia sia una chiave per leggere il mondo attuale?
Credo (e spero) lo abbiano capito in molti. La storia dei Gonzaga, da come la vedo io, aiuta a capire i grandi cambiamenti dell’Italia dall’epoca delle abbazie, a quella dei liberi comuni, all’ascesa delle signorie, al grande fenomeno che fu il Rinascimento. Fenomeno non solo artistico e letterario, come spesso lo pensiamo, ma innanzitutto demografico ed economico. Ritroviamo così molti aspetti dell’età contemporanea: l’Europa unita (nel Sacro Romano Impero), la preponderanza della Germania, la vivacità ma anche la frammentazione dell’Italia, la ricerca di una democrazia, l’instabilità e l’affermazione di un regime…dittatoriale. I Gonzaga appunto.

Luca Sarzi Amadè a vent’anni teneva una rubrica sulle pagine milanesi di Repubblica. In seguito ha collaborato con la Rai, il Giorno, Paese Sera, ecc. Tra i suoi libri ricordiamo: Milano fuori di mano (con prefazione di Enzo Jannacci) e Milano in periferia editi da Mursia. Il duca di Sabbioneta, guerre e amori di un europeo errante (SugarCo 1990, Mimesis 2013). Nel settore della manualistica, L’antenato nel cassetto. Manuale di scienza genealogica (con prefazione di Franco Cardini, Mimesis 2015) è ora testo di riferimento nel campo delle ricerche storico-anagrafiche.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link