
Qual era la personalità di Ignazio di Loyola e in che modo questa si riverberò sull’ordine?
Ignazio di Loyola era un cavaliere basco il quale, dopo essere stato ferito nell’assedio di Pamplona (1521), fu protagonista di una vera e propria esperienza di conversione. Il suo percorso spirituale lo portò ad avere alcune visioni mistiche, in seguito alle quali si convinse di doversi votare alla vita religiosa. Fu allora che iniziò a comporre gli Esercizi spirituali, una sorta di metodo per incamminarsi lungo la via della perfezione spirituale. Ignazio sosteneva una tecnica chiamata “composizione visiva dei luoghi” che portava a rappresentarsi la vita di Cristo per immagini. La modernità della proposta degli Esercizi consistette nel fatto che l’esercitante, una volta compiuto questo percorso, non doveva rinchiudersi in un convento ma piuttosto vivere nel mondo il suo stato di elezione. Gli Esercizi attirarono l’attenzione dell’inquisizione spagnola e Ignazio subì più di un processo, uscendone però indenne. I processi furono interpretati dai gesuiti come altrettante persecuzioni, subite da Ignazio prima di fondare l’ordine; studi recenti hanno però messo in risalto come la sua figura si muovesse sui confini dell’ortodossia e molti suoi contatti facessero parte di quel mondo eterodosso alumbrado, una corrente di pensiero mistica, composta soprattutto da convertiti dall’ebraismo al cattolicesimo (conversos), che proponeva un rapporto diretto tra Dio e gli uomini soprattutto attraverso l’orazione mentale, un terreno d’incontro con Ignazio e i primi gesuiti. In ogni caso, i processi inquisitoriali convinsero Loyola ad approfondire la propria istruzione per tenere testa ai suoi avversari nelle dispute teologiche e partì così per Parigi, dove fondò insieme ad alcuni altri studenti il primo nucleo della Compagnia di Gesù (1534). Ignazio, dunque, inizialmente non fu una figura integrata nell’ortodossia romana, a differenza di quanto ha voluto sostenere una certa vulgata storiografica.
Come si sviluppano i primi anni di vita della Compagnia?
Nel 1534 a Montmartre Ignazio e i primi gesuiti decisero di fondare una nuova congregazione, dedicata al nome di Gesù, che si sarebbe dovuta consacrare alle missioni in Terra Santa. Presto però si resero conto che era altra la direzione che doveva prendere il nuovo ordine. I primi gesuiti riuscirono dunque a ottenere dal papa –Paolo III Farnese – il riconoscimento del nuovo ordine, cosa che fra l’altro permise loro di sfuggire a ulteriori attacchi inquisitoriali. Prima ancora della bolla Regimini militantis Ecclesiæ (1540) che formalizzò il riconoscimento della Compagnia di Gesù, Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, s’imbarcò dal Portogallo verso l’India dando inizio a quella vocazione universalistica che sarà uno degli aspetti identitari dell’ordine. Accanto all’evangelizzazione delle quattro parti del mondo la Compagnia di Gesù si specializzò nell’educazione delle classi dirigenti. Inizialmente Ignazio si era mostrato restio ad aprire i seminari ai laici. Il suo intento primario era quello di educare infatti gli stessi gesuiti, negli anni in cui anche il concilio di Trento riconosceva la necessità di migliorare l’istruzione del clero. Il sistema pedagogico gesuita suscitò però una grande attenzione da parte della società del tempo perché univa l’educazione umanistica alla scelta di dividere gli studenti in classi così come avveniva alla Sorbona (il cosiddetto modus parisiensis) e, soprattutto, prevedeva un’educazione a tutto tondo degli studenti, con corsi di scherma, teatro, danza. In Italia e in Europa, su richiesta di nobili e comunità cittadine, si moltiplicarono dunque i collegi della Compagnia, anche in quelle zone di frontiera in cui più palpabile era il rischio di un passaggio alla riforma protestante. Tutto questo portò all’identificazione della Compagnia di Gesù con la controriforma cattolica ma in realtà l’ordine era assai più poliedrico e non sempre le scelte strategiche delle Chiesa di Roma coincisero con quelle dei gesuiti.
In che modo i Gesuiti assursero alla dimensione di influenti e temuti attori sociali?
Le nuove congregazioni nate intorno alla metà del Cinquecento ebbero come caratteristica principale quella di vivere nella società e di non rinchiudersi all’interno di chiostri e monasteri. I gesuiti sposarono questo modus vivendi con più convinzione e tale atteggiamento li portò a interloquire con le istituzioni secolari, nonostante a più riprese i generali dell’ordine raccomandassero di non assumere incarichi che potessero in qualche modo limitare la loro autonomia. È indubbio che il ruolo assunto dai collegi della Compagnia fu determinante per consolidare la fama dei padri e accrescere la loro influenza, ma ogni contesto va giudicato a sé e le dinamiche sociali e politiche furono influenzate dai tanti “ministeri” (così chiamavamo i gesuiti le loro funzioni) che essi riuscirono a tenere insieme: quello assistenziale, quello educativo, quello spirituale, quello missionario – che in Europa si rivolse alle cosiddette “missioni interne”, cioè quelle missioni rivolte a luoghi periferici, da tempo abbandonati a se stessi dalla Chiesa. In qualche modo possiamo dire che i gesuiti assunsero un ruolo di supplenza in molti ambiti dove latitavano attori sociali di riferimento in grado di assumere decisioni per la comunità. Ad esempio, nel corso delle missioni interne si trovarono a svolgere compiti di arbitrato tra le famiglie, sforzandosi di sedare liti e comporre dissidi ma anche nelle più lontane missioni i gesuiti si trovarono a sovrapporre ruoli differenti presso quei gruppi di convertiti che spesso non avevano alcun riferimento se non i missionari. Ugualmente importante fu la relazione che molti padri instaurarono con le donne: se da una parte Ignazio di Loyola non permise la nascita di un ramo femminile dell’ordine, dall’altra inaugurò lui stesso una fitta rete di rapporti con alcune nobildonne e la direzione spirituale delle donne fu una caratteristica di lungo periodo della Compagnia, anche in questo caso non solo in Europa ma anche in una dimensione globale.
Come si articolò la strategia culturale e missionaria dell’ordine?
La Compagnia di Gesù fu in grado di interpretare come un unicum strategia missionaria e strategia culturale. «La nostra casa è il mondo» scriveva Jerónimo Nadal, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola. L’orizzonte missionario della Compagnia riguardò tanto l’Europa, dove i padri furono coinvolti nel tentativo della Chiesa cattolica di contenere l’eresia protestante, quanto nel Nuovo Mondo e in Asia dove i gesuiti s’impegnarono nell’evangelizzazione di popolazioni molto diverse tra loro. José de Acosta, uno dei missionari attivi in Perù scrisse una Historia natural y moral de las Indias nella quale proponeva una visione gerarchica dei popoli allora conosciuti, verso i quali si dovevano attuare strategie di evangelizzazione differenti: i popoli orientali, caratterizzati da tradizioni religiose e culturali millenarie, non potevano essere trattati alla stregua degli indigeni americani, pagani e idolatrici. Se questi ultimi potevano essere convertiti anche con la forza, nei confronti, ad esempio, dei cinesi era necessario adottare una strategia che tenesse conto del confucianesimo che era tratto identitario ineludibile. La chiave di lettura che consente di comprendere il perché del successo dei gesuiti si trova nel concetto di accomodatio (adattamento), noto soprattutto per quanto concerne le missioni in Oriente, dove fu introdotto da Alessandro Valignano e poi applicato in maniera convinta da Matteo Ricci in Cina e da Roberto Nobili in India. Secondo Valignano, attivo in Giappone, era necessario che i missionari si ponessero con un atteggiamento di rispetto di fronte alle altre civiltà, adattandosi alle regole della vita sociale giapponese in ciò che non era contrario ai principi evangelici. Tale strategia nel tempo attirò molte critiche nei confronti dei gesuiti specie in Cina dove si permise ai convertiti di mantenere alcuni riti confuciani (riti cinesi) e in India alcune pratiche induiste (riti malabarici).
Per tutti questi motivi i collegi della Compagnia ebbero scopi molteplici. Abbiamo già detto dell’impegno pedagogico nell’istruire la classe dirigente degli stati europei, questo compito si legò nelle terre di confine con i protestanti, alla necessità di contrastare anche da un punto di vista teologico le nuove idee della Riforma. I collegi, soprattutto quelli delle potenze iberiche ma non solo, furono inoltre luogo di formazione per gli stessi missionari che, soprattutto nei territori extra-europei (pensiamo a Goa, a Macao, ma anche al Brasile e al Perù), si impegnarono nell’apprendere le lingue del luogo. Era stato lo stesso Francesco Saverio in una lettera a Ignazio di Loyola del 1552 a insistere affinché venissero mandati in Giappone missionari «letterati, per rispondere alle molte domande che fanno i Giapponesi [e] […] per pigliare nelle dispute i giapponesi in contraddizione». È evidente però, ed è bene ribadirlo, che i due fenomeni dell’evangelizzazione e della colonizzazione vanno sempre studiati nel loro intreccio e dunque non esiste un’evangelizzazione “buona” in Oriente e una “cattiva” nel Nuovo Mondo. Esistono semplicemente diversi rapporti di forza, per cui, laddove i missionari si dovettero confrontare con imperi ben strutturati e non poterono confidare nell’appoggio delle potenze coloniali europee, la loro strategia dell’adattamento fu in qualche modo una necessità, laddove invece evangelizzazione e colonizzazione si saldarono più strettamente come in America il grado di violenza raggiunto nelle conversioni fu più evidente.
Quale legame coltivò la Compagnia con il potere politico?
Per lo stesso motivo per cui i gesuiti si trovarono a vivere nel mondo e a entrare in contatto con le élites del tempo nel corso della prima età moderna i gesuiti si trovarono spesso a essere consiglieri di sovrani e attivi nel mondo delle corti. Nonostante Ignazio di Loyola fosse stato molto restio a far accettare ai gesuiti l’incarico di confessori del principe, atteggiamento ribadito alla fine del Cinquecento da un altro influente generale, Claudio Acquaviva, furono molti i gesuiti a esercitare la funzione di direttori spirituali. Non bisogna però indulgere in uno dei classici stereotipi dell’anti-gesuitismo e cioè che vi fosse una “politica dei gesuiti”, una strategia dell’ordine nel controllare i sovrani europei per i propri fini e per quelli della Santa Sede, con la quale peraltro la Compagnia non ebbe sempre rapporti facili. Si può dire al contrario che in più occasioni gli interessi nazionali (o regionali) delle rispettive casate di riferimento portarono gruppi di gesuiti o singole figure a confliggere tra loro, entrando anche in contrasto con il volere di Roma. Ogni contesto geografico e ogni specifico periodo storico va dunque studiato nelle sue peculiarità.
Quali vicende condussero alla soppressione della Compagnia?
A partire dagli anni Quaranta del Settecento gli equilibri tra la Chiesa di Roma e gli stati europei cominciarono a modificarsi sensibilmente. Questi ultimi erano sempre più restii a continuare ad affidare alle chiese confessionali (la cattolica, ma anche le protestanti) ambiti che erano loro tradizionalmente appartenuti, in primo luogo l’istruzione. In quello stesso torno di anni la Compagnia di Gesù aveva inoltre subito una serie di attacchi in merito alla strategia missionaria dell’adattamento, vista con sempre maggiore sospetto dalle congregazioni romane (in primis Sant’Uffizio e Propaganda fide). Quel sottile discrimine tra ortodossia ed eterodossia, che aveva caratterizzato l’evangelizzazione gesuitica soprattutto in Oriente nell’accettare forme d’ibridazione tra cristianesimo e induismo e confucianesimo, si considerò oltrepassato e i gesuiti furono richiamati a una più stretta osservanza alle direttive romane. Questo insieme di cause si saldò, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, con gli attacchi portati alla Compagnia dal movimento illuminista. Specie all’interno delle monarchie borboniche essa fu considerata la longa manus della Chiesa di Roma. Le accuse si moltiplicarono fino all’espulsione dei padri dall’impero portoghese (1759), dalla Francia (1764) e dall’impero spagnolo (1767). La debolezza del papato e il suo sentirsi sotto attacco portarono Clemente XIV a cedere alle richieste degli stati europei sopprimendo l’ordine nel 1773, nella speranza che la condanna della Compagnia potesse salvare la chiesa dagli assalti delle potenze secolari. In realtà sacrificare la Compagnia non servì allo scopo e l’avvio del movimento rivoluzionario segnò una profonda crisi per la Chiesa di Roma.
Sabina Pavone insegna Storia moderna e Storia della globalizzazione all’Università di Macerata. Le sue ricerche si situano all’incrocio tra storia religiosa, storia delle istituzioni e storia culturale. Si è occupata di storia della Compagnia di Gesù, di anti-gesuitismo, di Inquisizione romana con particolare riguardo alle politiche missionarie e sta ora lavorando sul tema delle conversioni al cattolicesimo in età moderna. Tra le sue pubblicazioni: Le astuzie dei gesuiti. Le false Istruzioni segrete della Compagnia di Gesù e la polemica antigesuita nei secoli XVII e XVIII, (2000, ed. inglese: The Wily Jesuits, 2005); I gesuiti. Dalle origini alla soppressione 1540-1773 (2004, nuova ed. 2021); Una strana alleanza. La Compagnia di Gesù in Russia dal 1772 al 1820 (2010); Missioni, saperi e adattamento tra Europa e imperi non cristiani – Coed. con V. Lavenia (2015); Compel People to Come In Violence and Catholic Conversions in the non-European World, coed. con V. Lavenia, S. Pastore, C. Petrolini (2018).