“I frontalieri in Europa. Un quadro storico” di Paolo Barcella

I frontalieri in Europa. Un quadro storico, Paolo BarcellaDott. Paolo Barcella, Lei è autore del libro I frontalieri in Europa. Un quadro storico edito da Biblion: chi sono i frontalieri?
Il lavoro frontaliero europeo novecentesco rappresenta una forma del pendolarismo internazionale di breve raggio, ossia è il prodotto dell’osmosi, della circolazione di forza lavoro tra regioni adiacenti divise da un confine politico. I frontalieri, percorrendo il tragitto che separa casa dal luogo di lavoro, devono attraversare una frontiera di stato, che, a seconda dei casi, può costituire anche un confine economico e linguistico: in questo modo, i frontalieri vivono alcune delle esperienze caratteristiche dei migranti, pur non essendo migranti in senso stretto. I frontalieri, infatti, non si trasferiscono da un paese a un altro per ragioni che incidano tanto sulla loro vita professionale, quanto su quella familiare, sociale, culturale: infatti, mantengono nel paese d’origine il “fuoco acceso”, cioè la famiglia, i legami sociali extraprofessionali, la gran parte dei luoghi di consumo culturale, i rapporti con le istituzioni sanitarie, scolastiche e con tutti i rami della pubblica amministrazione. Per i frontalieri non si pongono questioni di integrazione, se non nel ristretto ambito delle problematiche di pertinenza lavorativa, come non si pone il tema della cittadinanza cui ambire nel breve o nel lungo periodo. Non a caso le organizzazioni dei lavoratori europee sono state le prime a occuparsi in modo approfondito dei frontalieri, sia in prospettiva sindacale che di ricerca storica e sociologica. Si pensi che i primi studi di una certa consistenza dedicati al frontalierato sono opera Simmon Kessler, militante e attivista sindacale della regione Alto Reno/Savoia, e fondatore dell’Union Européenne des Frontaliers.

Qual è lo statuto giuridico dei frontalieri?
Nel 1931 la Confederazione Elvetica adottò Legge federale concernente la dimora e il domicilio degli stranieri, con la quale si definivano gli statuti delle varie tipologie di forza lavoro migrante autorizzate a operare nel paese, distinte sulla base dei tempi di permanenza e dei diritti riconosciuti ai singoli lavoratori. Si delineava proprio qui, per la prima volta, lo statuto dei frontalieri, poi diventato modello anche per gli altri paesi europei e in seguito per la Comunità europea. In sostanza si affermava che i lavoratori residenti nella fascia di confine avrebbero potuto ottenere un contratto di lavoro e un permesso che consentiva loro di entrare quotidianamente in Svizzera per lavorare, ma li obbligava a rientrare la sera al paese d’origine. Se, in generale, con quella legge la Confederazione elvetica stava definendo una politica migratoria che concepiva i migranti come “lavoratori ospiti” (gastarbeiter) i frontalieri rappresentavano la quintessenza di quel modello, essendo persone autorizzate ad entrare in Svizzera solo durante l’orario di lavoro. All’epoca, la fascia di frontiera venne calcolata in 20 chilometri (ridotti a 10 per alcuni cantoni), tenendo conto del tempo di percorrenza sostenibile quotidianamente per un lavoratore che ci si immaginava potesse spostarsi a piedi o in bicicletta. L’evoluzione tecnologica e dei trasporti è del resto fondamentale per chi voglia intendere il fenomeno del frontalierato e la sua evoluzione, essendo la sua natura variabile proprio in relazione alla velocità e al potenziale dei mezzi di trasporto. Se il modello di lavoratore frontaliero descritto con riferimento alla citata Legge del 1931 vale in generale, le cose sono poi evolute, lungo le diverse frontiere e nel corso dei decenni, in parallelo con i processi politici ed economici che hanno coinvolto il continente, primo tra tutti il processo di integrazione europea. Rimane il fatto che il lavoro frontaliero necessita sempre accordi bilaterali tra stati confinanti per definire gli aspetti fiscali: il prelievo delle imposte sui salari deve essere in qualche misura diviso tra due stati, dal momento che il lavoratore usufruisce di servizi nel paese in cui risiede e non in quello in cui lavora.

Quanto è diffuso in Europa il fenomeno del frontalierato?
Il fenomeno del frontalierato è diffuso lungo tutte le frontiere europee in modo molto variabile dal punto di vista quantitativo. Le ragioni per cui alcune regioni contano più frontalieri di altre dipendono da storie specifiche di legami e scambi transfrontalieri regionali – come quelli che caratterizzano alcune aree della regione pirenaica, tra Francia e Spagna – oppure dallo scarto tra le variabili economiche di due regioni divise da un confine: maggiore è la differenza nei salari e nel costo della vita, maggiore può essere conveniente praticare il frontalierato, dal paese in cui la vita costa meno, verso quello in cui i salari sono più alti. In questo quadro Lussemburgo e Svizzera sono i due paesi che conoscono il fenomeno in modo massiccio: in alcune singole località di confine i frontalieri possono raggiungere il 60-70% della forza lavoro impiegata localmente.

Quali problemi di natura sociale genera il frontalierato?
A seconda delle regioni e delle congiunture economiche, i frontalieri possono rappresentare una quota di lavoratori bene integrata nel mercato del lavoro – in alcune aree si sono sviluppati storicamente dei distretti industriali transfrontalieri, dove dai due lati della frontiera tutti contano sulla mobilità dei lavoratori a cavallo dei confini – e quindi poco conflittuale, oppure, al contrario, possono diventare un fattore di grande innalzamento della tensione sociale. Talvolta, infatti, i frontalieri sono usati come strumento di pressione al ribasso sui salari dei lavoratori locali, stimolando di conseguenza la cosiddetta “xenofobia operaia”. Il Canton Ticino, in anni recenti, sta vivendo questa dinamica: i frontalieri italiani sono considerati dalle forze della destra xenofoba locale come un fattore problematico e pericoloso per l’economica e la società ticinese.

Quale periodizzazione che consenta di cogliere l’evoluzione e gli sviluppi del fenomeno è possibile definire?
Come accennato, la storia delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto ha inciso profondamente sulla natura del frontalierato che, essendo mobilità da lavoro, cambia evidentemente volto a seconda delle condizioni della mobilità nel tempo. Per questo, il frontalierato europeo novecentesco si distingue dal pendolarismo internazionale di breve raggio già esistente nell’età moderna, quando disponeva di caratteristiche diverse proprio in ragione dei diversi mezzi e condizioni del trasporto umano. La rivoluzione dei trasporti, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ha impresso una prima trasformazione, i cui esiti vennero fissati proprio dalla definizione giuridica elvetica del 1931. In seguito, nella seconda metà del Novecento, si ebbe un’ulteriore evoluzione grazie alla diffusione dell’automobile. Le automobili sono diventate il mezzo di trasporto per eccellenza dei frontalieri, con tutte le ricadute del caso sul traffico e le infrastrutture stradali nelle aree di confine. Oggi, come spiego nell’ultimo capitolo del libro, l’ulteriore cambiamento nel mondo della mobilità (si pensi ai voli low cost e ai treni ad alta velocità) e la rivoluzione informatica stanno avendo un altro decisivo impatto sulle caratteristiche del fenomeno e sugli aspetti giuridici connessi. Una nuova stagione, dal punto di vista del frontalierato, è iniziata e la figura del lavoratore “notificato” – introdotta con gli accordi per la libera circolazione delle persone tra Unione Europea e Confederazione Elvetica del 1999 – pare esserne la traduzione giuridica. Questi lavoratori europei vengono autorizzati a lavorare in Svizzera senza permesso di soggiorno per un massimo di 90 giorni non consecutivi e si richiede loro solamente una notifica di presenza presso gli uffici competenti. In genere lavorano in Svizzera un giorno o i pochi giorni necessari al completare il loro incarico e non sono tenuti a rientrare ogni sera, ma solo al termine del lavoro. Possono persino essere reclutati telematicamente da agenzie interinali che operano a livello internazionale e non hanno vincoli di residenza all’interno dell’UE: del resto, se nel 1931 si calcolava la fascia di confine tenendo conto del tempo di percorrenza necessario per un uomo che si spostasse a piedi o in bicicletta, con i voli low cost e l’alta velocità sarebbe teoricamente possibile per un cittadino qualsiasi raggiungere e ripartire da Ginevra, in giornata, praticamente da ogni regione dell’UE dotata delle infrastrutture necessarie.

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