“I Draghi locopei” di Ersilia Zamponi

I Draghi locopei, Ersilia ZamponiI Draghi locopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole
di Ersilia Zamponi
Einaudi

«I Draghi locopei sono nati per metamorfosi anagrammatica dalla frase «Giochi di parole». Nel 1982, quando incominciai nella mia scuola il corso complementare di giochi di parole, gli diedi questo titolo per suscitare la curiosità dei ragazzi: il nome ‘draghi’, infatti, è ricco di molteplici simbologie ed evoca un mondo fantastico di miti, fiabe, leggende; l’aggettivo ‘locopei’, che è parola inventata, è privo di significati e quindi — potenzialmente — li contiene tutti. Ho voluto dare lo stesso titolo a questo libro, perché esso spiega i giochi di parole che ho sperimentato nella scuola dal 1982 al 1985, e riproduce le risposte creative dei ragazzi; ma la medesima denominazione serve per indicare coloro che frequentano il corso. Quindi, dicendo I Draghi locopei, intendiamo — nello stesso tempo — un corso complementare di giochi di parole, un gruppo di ragazzi di scuola media (in tre anni, successivamente, sono passati sei gruppi: in tutto una sessantina di studenti), e ora anche un libro, che mi auguro possa divertire e invogliare altre persone a giocare con la lingua.

La scuola dove sono nati e vivono i Draghi locopei si trova a Crusinallo, che è un quartiere di Omegna, cittadina situata sul lago d’Orta, in provincia di Novara. La Scuola Media Statale di Crusinallo è intitolata a Gianni Rodari, nativo di Omegna e prematuramente scomparso nel 1980; questo nome per noi insegnanti costituisce un impegno e un punto di riferimento assai importante nel lavoro educativo. […]

Nei giochi di parole il gusto che si prova assume molteplici forme; può essere: la soddisfazione per una invenzione linguistica che piace, l’emozione dell’intuire e dell’indovinare, la sorpresa di una combinazione casuale, la sfida dell’enigma o la trasgressione del nonsense, la spensieratezza della comicità, l’intelligenza dell’ironia…

I giochi che si possono fare con le parole sono moltissimi; io provavo via via quelli che mi venivano in mente, ma nel frattempo ne imparavo altri diversi. Certamente non ho sperimentato tutti quelli possibili; credo che non si finirà mai di inventare giochi di parole. […]

Dalle esperienze fatte finora ho tratto alcune considerazioni che mi invogliano a proseguire. Credo infatti che giocare con le parole sia un’attività importante per certi aspetti dell’educazione linguistica che, nell’ambito disciplinare, di solito restano un poco in ombra; in particolare per il contributo allo sviluppo di alcune abilità connesse con l’uso creativo della lingua. Il gioco di parole è un’attività che distrae il linguaggio verbale dal suo ruolo utilitario e ne infrange gli automatismi; usa la lingua in modo inconsueto e la sottopone al vincolo d’una misura; sviluppa l’attenzione alla forma del linguaggio verbale e il gusto della parola. Valorizza insomma alcuni elementi propri della funzione estetica della lingua; in un certo senso è propedeutico e complementare alla poesia. Giocando con le parole, i ragazzi arricchiscono il lessico; imparano ad apprezzare il vocabolario, che diventa potente alleato di gioco; colgono il valore della regola, la quale offre il principio di organizzazione e suggerisce la forma, in cui poi essi trovano la soddisfazione del risultato. Non intendo certamente dimostrare l’utilità dei giochi di parole: se i ragazzi «sono tutti figli di principi», hanno diritto anche al superfluo; e il mondo — per nostra fortuna — è ancora ricco di cose inutili che, proprio per la loro gratuità, svolgono una preziosa e insostituibile funzione.»

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