“I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali. Norme giuridiche tra teoria e prassi” di Rossana Deplano

Dott.ssa Rossana Deplano, Lei ha curato l’edizione del libro I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali. Norme giuridiche tra teoria e prassi pubblicato da Carocci: a settant’anni dalla sua entrata in vigore, in che modo la Carta costituzionale mantiene la sua centralità nel nostro sistema giuridico?
I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali. Norme giuridiche tra teoria e prassi, Rossana DeplanoLa Costituzione della Repubblica italiana è un documento senza tempo. Scritta in forma semplice ed elegante, contiene principi di buon senso civico e giuridico che si completano l’un l’altro al fine di realizzare un unico obiettivo: un sistema sociale disegnato attorno alla centralità della persona umana, la quale viene investita della responsabilità di creare una società che le permetta di esprimere la sua personalità nel pieno rispetto di quella altrui. L’articolo 1 della Costituzione è quello che mi affascina più di tutti, perché racchiude l’essenza del vivere comune: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” significa che lo scopo unico della nostra società è quello di permettere la piena realizzazione del valore di ogni persona sulla base di regole comuni scelte con metodo democratico. Essere parte attiva della società è perciò un diritto così come un dovere; è allo stesso tempo potere e responsabilità. Il secondo comma dell’articolo 1 stabilisce che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione.” Sono proprio queste ultime parole che sigillano il ruolo cardine della Costituzione nella nostra società: le regole costituzionali stabiliscono che ogni individuo ha il diritto e il dovere di dare un contributo unico alla vita del Paese e questo può avvenire solo attraverso la partecipazione responsabile nelle istituzioni della Repubblica come create dalla Costituzione. I cittadini sono l’anima delle istituzioni e le istituzioni sono un metodo di partecipazione popolare. La simbiosi tra Stato e cittadino richiede che quest’ultimo eserciti i poteri di rappresentanza con responsabilità, altrimenti le istituzioni diventano centri di privilegio e potere completamente avulsi dalla realtà. Insomma, la modernità della Costituzione a settant’anni dalla sua entrata in vigore è che ci ricorda con forza il nostro ruolo nella società, come singoli e come istituzioni.

Qual è il valore attuale del principio di sovranità popolare?
Il principio di sovranità popolare esprime l’esigenza di dare eguale opportunità a tutti i membri della società di prendere parte alla formazione di decisioni comuni. Sovrano è chi ha il potere. Di conseguenza, dire che il popolo è sovrano significa investirlo di un potere che secondo la Costituzione gli spetta di diritto: non è conferito da nessuno e non è neppure derogabile. Allo stesso modo, dire che il popolo è sovrano significa investirlo di piena responsabilità: avere il potere di prendere decisioni vincolanti per tutti, specialmente in una società divisa e pluralista come quella attuale, richiede un livello elevato di conoscenze politiche, economiche e giuridiche, oltre ad un gran senso civico. Oggi dire che siamo cittadini italiani significa dire che siamo anche cittadini europei che interagiscono quotidianamente su scala globale (anche quando non lo realizziamo). In questo senso, credo che il principio di sovranità popolare abbia oggi acquisito un’aura di tecnicismo che forse non è mai stato così marcato nella storia della Repubblica. Questo ovviamente non significa che l’aspetto morale e giuridico vadano perduti. Proprio il contrario: convivono e si completano a vicenda.

Nell’era del web, quali cambiamenti subisce il concetto di rappresentanza?
In un certo senso, diritto e sviluppo tecnologico si sono sempre sviluppati di pari passo: il diritto regola le tecnologie e le tecnologie offrono nuovi spazi ai principi giuridici che stabiliscono sia diritti che doveri. Sentiamo spesso dire che internet e i social media hanno rivoluzionato il modo di fare politica. Se per politica si intende l’atto di prendere decisioni in nome del popolo, allora no: i social media non hanno rimpiazzato le istituzioni dello Stato. Se però per politica si intende dare voce ai cittadini fuori dalle istituzioni e dai partiti politici, allora è evidente che il web abbia giocato un ruolo di primo piano nel consentire interazioni istantanee che abbattono le barriere geografiche (per di più a costo zero). La conseguenza naturale delle più ampie possibilità di dialogo e confronto consentite dal web è che oggi è molto più facile creare bacini di consenso di larghe fasce della società che condividono difficoltà quotidiane e visioni alternative della società. Personalmente non trovo questa evoluzione tecnologica una nuova forma di rappresentanza politica: un sito web non mi rappresenta come cittadino e men che mai nelle istituzioni dello Stato. Va però riconosciuto che i social media sono estremamente efficaci nel mobilitare consenso in maniera spontanea e decentralizzata.

In che modo trova oggi applicazione la parità di genere nelle leggi elettorali?
In Italia si è iniziato a parlare di sistemi di riequilibrio delle discriminazio­ni di genere in politica solo a partire dagli anni ’90. L’articolo 3 della Costituzione stabilisce il principio di uguaglianza tra uomo e donna mentre il successivo articolo 51 prescrive che “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cari­che elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. La base giuridica della parità di genere nelle leggi elettorali è perciò costituzionale. La recente legge elettorale 165 del 2017 (il cosiddetto Rosatellum) ha ripristinato un sistema elettorale misto mag­gioritario-proporzionale con collegi uninominali e plurinominali; prevede inoltre lo strumento delle quote di lista. Specificamente, nei listini dei collegi plurinominali si ha la composizione a cerniera, la quale prevede l’alternanza dei due generi; nei col­legi uninominali invece ogni genere non può essere rappresentato per oltre il 60%. Inoltre, nessun genere può essere rappresentato come capolista in misura superiore al 60%. Ci sono anche leggi regionali che prevedono norme di parità di genere sia per le Regioni ordinarie che che quelle ad autonomia speciale.

La questione dei vaccini ha recentemente riproposto il tema della libertà di salute: quali limiti e tutele essa deve ricevere?
Il tema delle vaccinazioni obbligatorie è un tema complesso. Ha ramificazioni giuridiche che inevitabilmente si poggiano, e vanno ad incidere, su posizioni morali di diversa natura. Dal punto di vista giuridico, il fenomeno va esaminato nella sua dimensione collettiva: certi vaccini sono considerati obbligatori perchè la salute pubblica è un bene collettivo. In altri termini, il diritto del singolo di disporre del suo corpo e della sua salute nel modo a lui più confacente non è illimitato, nel senso che non può essere esercitato se crea il rischio di incidere sulla salute di chi, contro una certa malattia, vuole essere protetto. Dal punto di vista giuridico, la questione dei vaccini non è particolarmente innovativa poichè richiede un bilanciamento di diritti, concetto altamente familiare a corti e tribunali. Da un punto di vista più pragmatico, la regolamentazione delle vaccinazioni obbligatorie assolve anche un dovere di natura economico-finanziaria che inevitabilmente incide sulle modalità di godimento del diritto alla salute: non imporre vaccinazioni obbligatorie equivale ad assumersi il rischio di costi insostenibili per il sistema sanitario nazionale in caso di epidemie. In questo caso, la dimensione collettiva del diritto alla salute prevale su quella individuale.

Quale tutela per l’ambiente?
L’ambiente è res publica. È sia bene giuridico che bene sociale. È il luogo d’incontro delle necessità di vita del singolo e della socie­tà: entrambi beneficiano delle risorse della natura, intesa come materia prima della vita sociale. Come tale, la tutela dell’ambiente, e in particolare delle aree protette, è un diritto e un dovere della società. L’articolo 9 della Costituzione perciò stabilisce che è compito della Repubblica (in tutti i suoi livelli di governo) tutelare l’ambiente. In un certo senso, il riconoscimen­to costituzionale della tutela dell’ambiente è un riconoscimen­to dell’unità del Paese nelle sue diversità, sia geografiche sia sociali. Allo stesso tempo, la tutela dell’ambiente non risiede interamente nelle mani delle istituzioni dello Stato: fenomeni quali l’inquinamento dell’aria e dei mari hanno una dimensione internazionale e possono essere gestiti solo tramite cooperazione internazionale. Avere leggi rigorose che puniscano la deplezione delle risorse ambientali è certamente un atto doveroso nei confronti dei cittadini. Non sono però sufficienti: lo strumento più efficace rimane quello dell’educazione civica e ambientale. L’ambiente è un valore sia economico che sociale. È compito della società, dentro e fuori le istituzioni dello stato, prendersi cura dell’ambiente su base quotidiana e senza eccezioni.

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