“I confini di Roma” a cura di Rachele Dubbini

Prof.ssa Rachele Dubbini, Lei ha curato l’edizione degli Atti del convegno internazionale dal titolo I confini di Roma (Università degli Studi di Ferrara, 31 maggio – 2 giugno 2018) pubblicati da ETS: quale valore e quali funzioni assegnavano i Romani ai confini?
I confini di Roma, Rachele DubbiniI confini assolvono una funzione fondamentale nella costruzione dell’umano: tramite la definizione dei confini si sviluppano i processi di auto-definizione del sé e dell’altro (individuale e collettivo). In altri termini, la definizione dei confini è una questione che riguarda la stessa definizione d’identità. Non è un caso dunque che il mito della fondazione di Roma, cioè le vicende legate alla costruzione della sua identità, coincida proprio con il racconto di un rituale di definizione di confini dello spazio abitato (la città di Romolo) e dei conflitti che da tale rituale derivano (la morte del fratello Remo). La problematica dei confini è connaturata alla mentalità e alla cultura romana che sin dai primordi della sua storia si preoccupa di definire lo spazio in maniera consona al volere divino (secondo quei rituali che la tradizione vuole importati dal mondo etrusco) e ha bisogno di recarsi ai confini del proprio territorio per rapportarsi con le altre comunità, come indica il modus operandi del collegio sacerdotale dei Feziali, i quali definiscono il diritto territoriale di Roma ponendosi fisicamente ai limiti dei suoi possedimenti. In questa prospettiva, i Romani sembrano quasi ossessionati dai confini, come dimostrano non solo il numero delle norme giuridiche dedicate al tema ma l’importanza che le fonti storiche attribuiscono ai limiti di una città i cui confini possono muoversi in una sola direzione, cioè verso l’esterno, e che nei secoli ingrandisce il suo potere tanto da arrivare a non conoscere più limiti.

Il problema della definizione dei limiti di Roma si riscontra già con Romolo fino a giungere, in epoca augustea, all’idea di un’urbs la cui estensione coincide con l’orbis terrarum: quale evoluzione caratterizza nel pensiero romano il confine della città?
Come si diceva, i confini di Roma possono muoversi in una sola direzione, cioè verso l’esterno: una questione che secondo la tradizione si sarebbe posto già Romolo stesso nel non voler delimitare in alcun modo la potenza in atto di Roma, mentre fu il più saggio e meno irruento Numa Pompilio a definire per la prima volta il territorio sottoposto al controllo della città dotandolo di confini. Oltre ai limiti stabiliti secondo la tradizione in età regia, come il pomerium e le mura della città, con l’espansione continua dell’abitato in età repubblicana i limiti della città di Roma divennero estremamente mobili, tanto più che con il tempo i significati e i vincoli imposti dal pomerio e la funzione difensiva delle mura andavano perdendo la propria funzione. A livello territoriale, il destino dell’urbs è infatti strettamente associato a quello dell’imperium romanum: inizialmente i territori della città di Roma e dello Stato di Roma, ancora inscindibili, si espandevano parallelamente con la conquista e l’annessione delle comunità circostanti. In seguito, con la crescita inarrestabile dello Stato romano, il territorio della città di Roma fu stabilito in negativo dagli spazi dati in amministrazione alle città circostanti. Dalla fine del IV sec. a.C., l’espansione della potenza di Roma in Italia portò alla formulazione di un concetto di confine legato all’idea di terra Italia, finché in epoca augustea a un imperium immaginato sine fine corrisponde la potenza di un’urbs tanto estesa da coincidere con l’orbis terrarum e i cui confini di conseguenza non possono che essere indefiniti.

Quale costruzione culturale avviene attorno alla fondazione della città di Roma e alla definizione dei suoi confini?
Il mito sulla fondazione di Roma fornisce indizi molto interessanti sulle modalità con cui a un certo punto della storia i Romani, partendo dal loro presente, hanno inteso ricostruire le proprie origini. Secondo la tradizione, Romolo agisce innanzitutto seguendo un rituale di origine etrusca, cultura cui era attribuita una maggiore antichità e autorevolezza in ambito religioso. Il modello su cui viene strutturato lo spazio abitato è quindi di tipo circolare e parte da un centro rappresentato da una fossa di forma rotonda (il mundus, in cui alle offerte si mescolano le diverse terre di provenienza dei coloni che abiteranno la nuova città), rispetto al quale Romolo traccia un solco circolare che definisce ritualmente lo spazio della città (urbs) come un cerchio (orbis). Questo solco, detto sulcus primigenius, è dunque il primo confine della città di Roma e trasforma uno spazio naturale in uno spazio culturale, in cui il segno tracciato nella terra non ha solo un valore simbolico ma acquista concretamente il significato di limite dello spazio abitato. Da questo momento a tutti gli uomini è chiesto di riconoscere il valore di questo segno, sancito da norme comportamentali precise, come dimostra la pena di morte inflitta a Remo, che di questo segno non tiene invece conto. Personalmente ritengo un vero peccato che una costruzione culturale tanto radicata nell’immaginario romano e di tale importanza nella rappresentazione dell’identità della città di Roma non sia stata considerata in alcun modo nel film Il primo re di Matteo Rovere.

Qual era l’importanza del concetto di pomerium?
Seguendo la definizione di Varrone il pomerium sancisce il limite dello spazio urbano e si trova oltre le mura, segnando il punto dove terminano gli auspicia urbana. Il pomerium, collocandosi, come afferma Gellio, lungo il circuitus urbanus (per totius urbis circuitum) rivestiva un importantissimo ruolo religioso e cultuale. Per circuitus urbis si intendeva infatti il perimetro che delimitava l’urbs, il cuore politico e religioso della città, il cui suolo inaugurato non ammetteva la presenza della morte (i cadaveri) e di tutto ciò che a questa era connesso (armi e divinità infere); un perimetro oltre il quale decadevano gli auspici urbani e l’imperium del magistrato cambiava natura, divenendo necessariamente militare. Con il tempo il pomerium perse tuttavia il suo forte significato originario divenendo oggetto di molte e diverse definizioni da parte delle fonti scritte, cosa che ha contribuito ad aumentarne il fascino presso i moderni e quindi produrne una gran quantità di interpretazioni differenti. L’evanescenza del pomerium dipende, almeno in parte, dal fatto che questo confine, a differenza delle mura, era sostanzialmente immateriale e quasi invisibile agli occhi dei comuni cittadini. Esso aveva rilevanza soltanto per un ristrettissimo gruppo di individui, gli auguri e i magistrati che detenevano l’imperium, gli unici a conoscere le regole relative all’attraversamento del pomerium e il suo percorso. L’importanza del pomerium nell’organizzazione spaziale di Roma è anche sancita dai numerosi ampliamenti di tale confine soprattutto in età imperiale. Già in età tardo repubblicana doveva aver sopravanzato, almeno in alcuni punti, il perimetro delle fortificazioni urbane dando così origine a una sua percezione extra muraria.

Quale definizione dei concetti di confine si rinviene nelle fonti giurisprudenziali romane?
Nelle fonti giurisprudenziali rimane traccia in particolare di alcuni tipi di confine, quelli fisici dell’urbe e i fines degli agri. La lettura delle testimonianze disponibili sembra evidenziare un’attenzione particolare ai confini che plasmano la realtà giuridica, come il miliario o il confine della città e dei campi. Non così frequenti appaiono al contrario, soprattutto in età imperiale, i riferimenti alla dimensione spirituale del confine, fatta eccezione per il noto caso della santità delle mura, la cui eco riecheggia ancora nelle Istituzioni giustinianee. Dalle opere della giurisprudenza romana emerge talvolta la mancanza di soluzioni sistematiche condivise circa la terminazione di un confine, come anche una pluralità di diverse concezioni di uno stesso tipo di confine. A riprova di ciò, ricordo come nel secondo secolo d.C. Ulpio Marcello definisca città, urbs, solo ciò che era circondato dalle mura, mentre per consuetudine quotidiana con Roma veniva definito anche il territorio extramuraneo. Marcello aggiungeva al modello tradizionale proposto già in età tardo-repubblicana dal giurista Alfeno un concetto di città che accoglieva gli esiti più contemporanei, a riprova di come anche le consuetudini sociali potessero influenzare i riferimenti giurisprudenziali.

Quale funzione svolgevano le Mura Serviane e Aureliane di Roma?
Le mura hanno funzione di fortificazione, di difendere ciò che è contenuto all’interno. Diversamente da un confine territoriale, che può essere lineare o comunque non materialmente visibile, le mura delimitano un perimetro, costituendo inevitabilmente una separazione concreta e tangibile tra un dentro e un fuori, con valenze e funzioni diverse. La presenza a Roma di almeno tre successive cinte murarie, edificate nel corso di mille anni di storia, documenta da un lato l’espansione della città antica, dall’altra la difficoltà di tracciare una demarcazione precisa tra la città e il suo territorio. Il circuito delle mura ha da sempre costituito l’aspetto visibile, la forma con cui ogni città viene raffigurata, divenendone quasi un simbolo iconografico e rappresentativo. Per Roma questa forma è mutevole nel tempo: la Roma quadrata immaginata definita dalle mura romulee diventa infatti una Roma allungata a forma di fagiolo con le Mura cd. Serviane che definiscono fisicamente lo spazio urbano, in cui bisogna entrare, seguendo regole e passaggi prefissati. In epoca repubblicana le mura costituiscono un limite effettivo, compatto e ben visibile tra zona urbana e suburbana. Con la fine dell’età repubblicana Roma appare invece con limiti sfuggenti, o addirittura senza limiti e tale rimarrà fin alla costruzione delle Mura Aureliane, che separeranno di nuovo un dentro da un fuori in maniera fisica. La costruzione delle Mura Aureliane ebbe un impatto considerevole sulla città non solo da un punto di vista urbanistico, ma anche sociologico e psicologico: la città si trasforma e si delimita nuovamente assumendo così la nota forma a stella.

Quali problemi di carattere epigrafico solleva la definizione degli spazi pubblici di Roma?
I termini normalmente utilizzati per indicare i confini pongono alcune questioni da analizzare soprattutto per ciò che riguarda la delimitazione di spazi pubblici. I cippi con funzione liminare vengono definiti epigraficamente termini almeno dalla fine dell’età repubblicana per la loro finalità di rendere concreto l’atto del terminare, di stabilire confini. Nei punti critici di passaggio tra condizioni diverse, il paesaggio urbano di Roma doveva in tal modo presentare linee di cippi di confine posti a distanze più o meno regolari su cui, oltre all’autorità predisposta alla terminatio, poteva essere indicata la distanza tra un esemplare e l’altro (come per le delimitazioni del Tevere a partire dall’età augustea) o il numero d’ordine (come avviene per i cippi del pomerio e degli acquedotti). Cippi generalmente in travertino e parzialmente interrati, che possono assumere carattere di monumentalità nel caso dei cippi pomeriali – che quindi dovevano risultare ben visibili – o dei termini del Tevere del 161 d.C., veri e propri monumenti imperiali. Per riassumere, ciò che accomuna tra loro cippi e termini di carattere pubblico rinvenuti a Roma sono il formulario, breve e stringato, e la tipologia dei supporti.

Come venivano segnati i confini tra le province romane?
I limiti fra le province romane si strutturavano in modo diverso in base al periodo e alle infrastrutture utilizzate per definirli. In linea di massima i Romani definivano il limite tra le province creando un sistema di controllo costituito da reti di strade e da sistemi di fortificazioni, ma anche da delimitazioni naturali e umane. Per esempio, tra il I secolo a.C. e il I d.C. nelle province occidentali per definire diversi ambiti territoriali si sviluppa l’uso pubblico di termini iscritti, che si inseriscono nei diversi paesaggi provinciali come segno distintivo della nuova autorità. L’ampliamento della rete viaria, la creazione di nuove civitates così come la fondazione di colonie e della relativa centuriazione dei loro territori portarono innanzitutto a una strutturazione di confini tra le diverse comunità civiche appena create. La sovrapposizione delle nuove demarcazioni spaziali imposte dall’amministrazione romana sull’organizzazione territoriale più antica, basata su diversità etniche, porta a modificare non solo il paesaggio ma anche le relazioni delle popolazioni locali con lo stesso, scatenando in questo modo anche conflitti tra le parti. I confini provinciali non sono infatti solo caratterizzati da infrastrutture materiali e fisiche che determinano la rete di controllo e il sistema di dominio territoriale di Roma, ma in senso più ampio si riferiscono tanto alla delimitazione quanto all’incontro di identità differenti, apparendo di conseguenza più porosi e aperti di quanto si credeva finora.

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