
Qual era e quale è diventata la funzione sociale del cognome?
Se parliamo di cognomi stabilizzati, nel senso nostro, si deve piuttosto parlare di funzione amministrativa. Oppure, in tempi più antichi, una funzione sociale l’avevano i cognomi precocemente stabilizzati- cioè già nel medio evo- delle grandi famiglie nobili. Per il resto della popolazione la funzione sociale è quella di riconoscersi e distinguersi all’interno di una comunità (rurale, o di quartiere o parrocchia in città); ma tale funzione sociale implica, almeno fino all’applicazione del concilio di Trento, che fu relativamente lenta, o addirittura fino al Settecento, enormi oscillazioni: un uomo, la sua famiglia, identificati in un certo modo in un momento e in un contesto, potevano esserlo diversamente in altre circostanze. Perciò in questa lunga fase i cognomi non sono sempre ben distinti dai soprannomi, che per l’appunto sono il tipico sistema sociale di identificazione di un singolo o di una famiglia. E infatti è interessante notare che con la fissazione ottocentesca dei cognomi i soprannomi non sono affatto spariti, perché rimaneva necessario distinguere, o magari apostrofare. Il cognome stabilizzato perde, attraverso le generazioni, il suo senso originario: un Fabbri può fare il medico, un Gobbi essere ben dritto, e così via. Invece i soprannomi hanno continuato a lungo una loro vita propria, variabile, per adattarsi ai cambiamenti. Naturalmente negli ultimi decenni anche i soprannomi hanno perso vigore di fronte a mutamenti sociali epocali rispetto alle nostre società tradizionali; ma questo è un altro discorso.
Quali sono i cognomi più diffusi nel nostro paese e perché?
A questa domanda non ha senso che risponda io qui. Basta navigare in rete e si trovano molti siti che danno ricchissima informazione al riguardo. Quanto alla ragione della maggiore diffusione di un cognome rispetto a un altro, una risposta sistematica e fondata è davvero impossibile. Propongo una mia impressione: un cognome, più precisamente un soprannome/cognome che finisce con lo stabilizzarsi, deve avere una carica di diversificazione; e forse questo valeva appunto per il cognome italiano più diffuso, Rossi al Centro-Nord e Russo al Sud.
Quali etimologie è possibile riscontrare nei cognomi italiani?
Semplificando, rispetto alle suddivisioni più raffinate dei linguisti, possiamo indicare quattro tipologie. La prima è quella dei cognomi patronimici o matronimici, in forma composta (Di Pietro, De Luca, D’Agata, De Maria) o semplice (Paoli, Martini, Rosi, Agnesi). La seconda è quella dei cognomi toponimici, diversificata al suo interno fra cognomi riferibili a grandi etnie (Lombardi, Greco, Albanese), a entità più ridotte (Trevisan, Marchegiani, Calabrese, Damilano), ovvero a elementi topografici decisamente minori (Piazzi, Della Porta, Montanari, Delle Piane). La terza tipologia comprende cognomi derivati da mestieri (il già citato Fabbri, e simili), cariche (Podestà, Vicario, Rettori, Cancellieri) o funzioni esercitate (Compare, Padrini, ma anche Fratello, La Sorella). In quest’ultima sottocategoria si possono classificare anche i cognomi tipici degli esposti o trovatelli (Esposito, Trovato, Proietti, Colombo, Casadei ecc.). Infine la quarta tipologia è quella legata alle caratteristiche fisiche o morali (i già citati Gobbi, Rossi/Russo, oltre a Basso, Gentile, Sordi, Bellini, ma anche Falco, Volpe, Vacca).
Quanto sono diffuse le particelle nobiliari tra i cognomi italiani?
Non saprei dare una percentuale attendibile. Posso però fare un’osservazione storica: il “de” era un modo per indicare una famiglia, a prescindere dalla sua nobiltà, nei documenti in latino. Mi spiego: se in un documento trovo scritto “Paulus Martini”, cioè nominativo+genitivo, devo tendenzialmente tradurre “Paolo di Martino”; se trovo scritto “Paulus de Martinis”, cioè nominativo+ablativo plurale, devo tradurre “Paolo Martini”. Ciò significa semplicemente che un patronimico si sta trasformando in cognome stabile. Di per sé la persistenza del “de” in un cognome è indicativa, ma non risolutiva.
Quali regole sottostanno alla diversa diffusione geografica dei cognomi italiani?
Non ci sono regole; ci sono fenomeni storici di enorme portata, che non si lasciano descrivere in poche righe. Riporto solo qualche esempio ripreso dal mio libro. A Latina si trovano cognomi tipicamente veneti (Marangon, Nardin, Salvador, Baretta) a causa della bonifica e popolamento dell’Agro Pontino in epoca fascista. Il cognome calabrese Macrì è più diffuso a Roma, Torino, Genova e Milano che a Catanzaro e Reggio Calabria. Di per sé il fenomeno delle migrazioni interne nell’Italia del Novecento è di un rilievo evidente a tutti; ma nel mio libro ho cercato di trattare anche fenomeni di entità minore e tuttavia importanti: un caso molto interessante è per esempio quello dei cognomi dei Valdesi, insediati nelle valli Pellice, Chisone e Germanasca, ad ovest di Torino e ai piedi delle Alpi, cognomi nella cui storia s’intrecciano localizzazione geografica e identità religiosa.
La legge italiana consente ora di affiancare a quello paterno anche il cognome materno, come nei paesi ispanofoni: lo ritiene un costume destinato a diffondersi?
Qualche anno fa la questione sembrava scottante, ma non mi pare che gli effetti pratici siano poi così rilevanti. A parte l’area ispanica, in altri paesi europei la possibilità esiste da molto tempo, ma non è stata molto sfruttata, forse per inerzia, forse per evitare complicazioni su una questione non percepita da tutti/tutte come vitale. Staremo a vedere. Il fatto è che la discriminazione nei confronti delle donne ha aspetti più dolorosi e gravi di questo della subordinazione onomastica.