
Tutte le attività, nella dimensione immateriale della nostra esistenza, hanno un’interfaccia governata da algoritmi. Qualsiasi ricerca sul web, intenzione di acquisto o chat è osservata e guidata da algoritmi. Quindi l’impatto è ancora più grande di quello che ci ha dato l’introduzione dell’uso dell’elettricità. Il driver di tutti i cambiamenti è la tecnologia, nello specifico, gli algoritmi che “imparano” dai dati che usiamo nell’intelligenza artificiale.
Questi cambiamenti allargano l’influenza della globalizzazione. La tecnologia e la globalizzazione sono i due maggiori fattori che regolano o creano problemi nei rapporti geopolitici ed economici tra le nazioni, finanche gli avvenimenti climatici.
Quali rischi presenta l’adozione diffusa degli algoritmi?
C’è una doverosa premessa da tenere sempre in mente: ogni tecnologia, algoritmi compresi, è sempre una scelta a disposizione dell’Uomo, quindi è sempre un vantaggio.
Osserviamone gli elementi costitutivi dell’intelligenza artificiale: i dati, gli algoritmi e la capacità computazionale.
Sia nei dati, sia negli algoritmi possiamo -anche inconsapevolmente- inserire i nostri pregiudizi (chiamati bias). Qualche esempio pratico sui rischi che si corrono: chi è responsabile dell’incidente occorso a un’autovettura a guida autonoma, l’algoritmo o chi l’ha scritto? Che bias portava con sé l’autore? Era consapevole della sua storia di uomo bianco, ricco e colto? Una persona o un gruppo si possono bloccare, ma un algoritmo, specie se distribuito, è inconsapevole.
Quindi tali pregiudizi rischiano di essere addirittura amplificati dal computer, dato che elabora una grande quantità di dati in autonomia.
Un conto sono gli algoritmi deterministici, il cui percorso è tracciabile, un conto sono i modelli decisionali che emergono dal machine learning, basati su modalità intrinseche non pienamente comprensibili. Il software sta diventando più potente, ma anche meno trasparente e più complesso. In altre parole, tali algoritmi non deterministici non ci spiegano in che modo sono arrivati alla decisione, non sono naturalmente trasparenti.
Quali sviluppi economici e tecnologici avrà la società algoritmica?
Oggi il collo di bottiglia della produttività è la predizione, per esempio, dobbiamo aiutare gli imprenditori a stimare con più precisione la domanda di beni da parte dei consumatori, soprattutto online.
L’obiettivo dell’intelligenza artificiale è proprio la predizione (anche grazie a avanzati modelli statistici).
C’è una ragione economica per usarla estensivamente: se il costo della predizione scende moltissimo allora iniziamo a usarla laddove prima era inimmaginabile. È già successo con internet. L’uso della tecnologia è aumentato laddove questa ha ridotto il costo della ricerca e dello scambio di informazioni, perché quando un servizio migliora la sua efficienza, costa di meno e se ne consuma più di prima. Ci si aspetta di vederla impiegata nella logistica, nei trasporti, in agricoltura e in molti altri settori.
Dove sta andando il lavoro?
Il lavoro è ancora troppo spesso misurato con la produttività oraria o per prodotto, come fossimo robot, purtroppo.
Hanno iniziato le macchine e l’elettricità a distruggere migliaia di posti ma poi, grazie ad esse, abbiamo creato le basi per la radio e la televisione e i computer moltiplicando il lavoro. Il cambiamento è necessario perché saranno le macchine a occuparsi di molti dei nostri lavori del passato, per questa ragione dobbiamo inventarne di nuovi.
In effetti risparmiamo lavoro, ogni giorno che passa, con i progressi degli algoritmi e con i nuovi processi produttivi. C’è asimmetria informativa, l’algoritmo saprà prima dell’uomo quando la sua mansione è finita per sempre, l’importante per l’uomo quindi è non lasciarsi definire la vita da quella mansione.
Dobbiamo cercare di compensare la sostituzione dei lavoratori che fuoriescono dalle grandi industrie con una modalità di riconversione industriale adatta a questo tempo digitale.
Tanti di noi hanno avuto uno o pochi datori di lavoro per tutta la vita.
Le cose ora cambiano e i nostri figli si devono abituare al nuovo modello: la vita media si allunga, la vita delle imprese si accorcia, quindi significa che devono sempre più spesso cambiare specializzazione e cercarsi tanti datori di lavoro nella loro vita. Oppure, se faranno gli imprenditori, devono essere capaci di scegliere i lavoratori e cambiare molto spesso linea di business e direzione.
La soluzione consiste nell’imparare l’atteggiamento mentale. Oggi ci sono grandi occasioni da cogliere, basta agire nel momento giusto, con la professionalità appropriata e con la ricompensa riconosciuta dal mercato.
C’è un’ultima condizione, il luogo, speriamo sia l’Italia. Perché anche da qui possiamo avere la disponibilità di risorse elaborative a basso costo e informazioni specialistiche sconfinate in rete, per consentire ai più bravi, anche in tenera età, di “connettere i punti”, lavorare per conto proprio e crearsi un lavoro. Potrebbe essere la speranza di molti.
Nel libro Lei presente un’interessante prospettiva chiamata algobiologia: in cosa consiste?
È un neologismo introdotto al fine di invitare i lettori, e gli studiosi dell’evoluzione dei sistemi informatici, ad approfondire questi mutamenti in cui le macchine “imparano” da sole. E se imparano allora vuol dire che si concretizza il fenomeno esponenziale dell’apprendimento.
L’abbiamo creato noi il software, e ora sta diventando autonomo. Qualsiasi organismo dotato di energia e informazione è in grado di elaborare una scelta “inconsapevole” per la sua evoluzione. La creazione in divenire di questo organismo non è un atto intenzionale né collettivo. Lo facciamo inconsciamente e non abbiamo un obiettivo comune. È quindi qualcosa che sta nascendo per caso. E che si evolve per caso. Come noi.
Le conseguenze, sperabilmente positive, possono avverarsi in tempi rapidissimi, ma è meglio studiare tali processi e governarli, affinché siano sempre di aiuto e complementari all’uomo, mai in sostituzione.
Quale futuro per l’intelligenza “artificiale”?
L’avanzare dell’AI richiede grandi adattamenti, ma i posti di lavoro sono problemi socioeconomici, non è un problema “tecnico” per tecnici.
L’AI è inevitabile, e se tutte le sue implicazioni ci lasciano paralizzati nell’incertezza diventeremo sempre più passivi, aspettiamo solo di vedere cosa accade per –poi- decidere. Di certo non possiamo conoscere tutte le risposte, ma ogni tecnologia che ci spinge alla passività è dannosa.
Il passato è immutabile, ma il futuro non è ineluttabile, dipende solo dalle scelte che facciamo. La parte differente rispetto alle scelte sociali del passato è che bisogna scegliere bene e velocemente.
C’è da essere ottimisti, questa non è una crisi, è un cambio strutturale del sistema economico. La tecnologia plasma le azioni umane; quando irrompe sulla scena è talvolta distruttiva, poi nel tempo la storia ha insegnato che sappiamo coglierne il meglio.