
Ciò nonostante, Karl Haushofer fu una figura molto nota nel periodo interbellico e rappresentò il prototipo di quegli “intellettuali in divisa” che caratterizzarono la vita culturale del Terzo Reich. Durante il periodo bellico, soprattutto la stampa statunitense vide in lui la mente dietro i piani espansionistici nazisti, giungendo a considerarlo addirittura più importante di Adolf Hitler. Nel corso della seconda metà del Novecento, tuttavia, la storiografia ne ha riconosciuto il ruolo marginale e adesso Haushofer è un personaggio quasi sconosciuto al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Un’eccezione è rappresentata dalla vasta letteratura popolare dedicata all’esoterismo nazista, che – spesso su basi documentarie esili o del tutto inesistenti – ha visto in lui un “mago” al servizio del Terzo Reich. Anche per questa ragione, raccontare la storia di Haushofer pone lo studioso davanti a un intreccio di leggende e luoghi comuni in cui non è affatto agile districarsi.
Negli ultimi anni stiamo comunque assistendo a una riscoperta di Haushofer nella letteratura scientifica, che dipende sia dalla crescente attenzione verso le problematiche geopolitiche, sia da una crescente diversificazione negli studi sul nazismo che, abbandonando una visione monolitica del Terzo Reich incentrata sulla figura di Hitler, hanno rilevato la natura policentrica del sistema di potere nazista, in cui diverse consorterie concorrevano tra loro – con il Führer in una posizione arbitrale – per determinare l’effettiva politica del regime. Da questo punto di vista, per comprendere la storia della Germania nazista non è sufficiente considerare soltanto le fazioni radicali che, a partire dal 1938-39, presero il sopravvento, ma è necessario analizzare anche quei gruppi conservatori – a cui apparteneva Haushofer – che, se non riuscirono a prevalere, esercitarono comunque una certa influenza fino al fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944.
Quale importanza ha avuto il suo pensiero per la geopolitica tedesca degli anni Trenta e Quaranta?
Innanzitutto dobbiamo distinguere tra l’uso corrente del termine geopolitica, spesso sinonimo di politica internazionale, e quello di geopolitica come disciplina che considera l’influenza dello spazio sull’agire politico. Invero il confine tra le due accezioni è oltremodo labile, ma la precisazione è necessaria per evitare fraintendimenti.
Haushofer viene descritto, non a torto, come il “padre” della disciplina geopolitica tedesca, a cui dette una forma definitiva partendo da idee che circolavano negli ambienti intellettuali europei a partire dalla fine dell’Ottocento. Nel 1924 fondò assieme ad altri geografi una rivista, la “Zeitschrift für Geopolitik”, che diresse fino al 1944 e raggiunse durante la guerra una tiratura di quasi diecimila copie. Oltre a rappresentare un laboratorio per discutere e sviluppare i fondamenti della disciplina, la rivista era animata da un evidente spirito “revisionista” rispetto all’ordine internazionale emerso dalla pace di Parigi: attraverso l’analisi geopolitica la “Zeitschrift für Geopolitik” mirava a dimostrare l’insostenibilità della situazione europea e mondiale, sviluppando così un’“arma intellettuale” che sostituisse le armi materiali di cui la Germania era stata privata con il trattato di Versailles. Ciò nonostante, la “Zeitschrift für Geopolitik” degli anni Venti fu una tribuna politica plurale, in cui potevano trovare spazio tanto opinioni politiche liberali e conservatrici, quanto contributi vicini al movimento nazionalsocialista, mentre non mancavano neppure gli interventi di personalità politiche straniere come il primo ministro britannico laburista Ramsay MacDonald oppure esuli antifascisti italiani quali Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti. Nel biennio 1930-31 la “Zeitschrift für Geopolitik” vide consumarsi al proprio interno una lotta tra gli elementi liberal-conservatori e quelli più vicini al nazismo, che condusse all’allontanamento dei primi e a un appoggio incondizionato della rivista al movimento hitleriano.
La geopolitica haushoferiana degli anni Trenta avrebbe voluto servire da “coscienza geografica” del Terzo Reich, ma fallì in questo intento. Il regime si appropriò di alcuni concetti sviluppati dal pensiero geopolitico – su tutti quello di “spazio vitale” (Lebensraum) – mentre, fino alla Conferenza di Monaco del 1938, è possibile riscontrare una sostanziale sintonia tra le posizioni della “Zeitschrift für Geopolitik” e la politica estera nazista, che emerse tanto nella realizzazione dei piani pangermanisti (come l’Anschluss e l’occupazione dei Sudeti) quanto nella costruzione di un’alleanza trilaterale con Italia e Giappone. Una prima rottura si ebbe tuttavia con l’Accordo delle Opzioni tra Roma e Berlino nella primavera del 1939 che pose Haushofer davanti a una delle principali contraddizioni del proprio pensiero e della propria azione politica, ovvero quella di perorare l’alleanza nazi-fascista senza rinunciare alla difesa delle minoranze tedesche oltreconfine. Il Patto Ribbentrop-Molotov è stato a lungo visto come la realizzazione delle idee haushoferiane, nella misura in cui egli aveva sostenuto l’opportunità di un accordo con Mosca e la creazione di un “blocco continentale” tra Germania, Russia e Giappone contro le potenze “talassocratiche”. Tuttavia quello che per Haushofer era un fine – il riordinamento degli equilibri globali sulla base di macro-regioni autarchiche – era per Hitler solamente un mezzo per ottenere mano libera in Europa. Tale differenza emerse chiaramente con l’invasione dell’Unione Sovietica nel giungo 1941, quando il nazismo intese creare il nuovo “spazio vitale” tedesco in Europa orientale, mentre Haushofer e i suoi collaboratori avevano sempre sostenuto la necessità di risolvere la “mancanza di spazio” della Germania attraverso la restituzione delle colonie africane perse al tavolo della pace di Versailles.
Quale progetto geopolitico incarnava l’Asse Roma-Berlino?
La storiografia ha ignorato a lungo il ruolo che l’alleanza italo-tedesca aveva nelle concezioni geopolitiche di Karl Haushofer, privilegiando la sua ammirazione per il Giappone e le sue tesi eterodosse su un possibile accordo tra Germania nazista e Unione Sovietica. Tuttavia l’alleanza italo-tedesca aveva per Haushofer un’importanza fondamentale, in quanto rappresentava la condizione necessaria per la realizzazione delle altre due combinazioni politico-internazionali.
L’oggetto della geopolitica haushoferiana non era uno spazio vuoto, meramente fisico, ma l’ecumene, lo spazio abitato, fatto di rapporti demografici, forze produttive e, soprattutto, organizzazione politica del territorio. In una prospettiva globale, la politica internazionale si avviava a essere dominata da Stati di dimensioni continentali, ovvero “grandi spazi” organizzati politicamente, come gli Stati Uniti – che, con la “dottrina Monroe” esercitavano la propria egemonia sulle intere Americhe – e l’Unione Sovietica, mentre l’Europa all’indomani della Prima Guerra Mondiale era frammentata in una miriade di entità statali incapaci di sostenere da sole il confronto con i giganti del planisfero. Durante gli anni Venti si pose con urgenza la questione dell’unità europea, declinata tanto nel progetto pan-europeista di Coudenhove-Kalergi quanto nei tentativi di collaborazione franco-tedesca intrapresi da Aristide Briand e Gustav Stresemann. Il medesimo problema interessò anche la geopolitica tedesca che, con Haushofer, giunse a immaginare un nuovo ordine mondiale basato su quattro “grandi spazi” continentali in cui – accanto alle Americhe, alla Russia e all’Asia orientale – creare un’unione delle nazioni europee che, con l’inclusione dei preesistenti dominii coloniali in Africa, avrebbe assunto il nome di Eurafrica.
L’idea d’Europa proposta da Haushofer, a differenza di quella liberale, era incentrata sul principio d’autorità e gerarchia, priva di elementi cosmopoliti, gelosa delle specificità nazionali e pervasa da una profonda nostalgia verso una mitica armonia del passato contrapposta al disordine della modernità. Il suo modello era il Sacro Romano Impero come sintesi della cultura germanica e latina, e unione tra tradizione imperiale e religiosa, che avrebbe incarnato una presunta “autenticità” europea. In questo senso, l’Asse Roma-Berlino non rappresentava per Haushofer solo l’alleanza tra nazismo e fascismo – due movimenti che già di per sé si opponevano ai valori universali del 1789 –, ma anche quella tra le due culture europee che più si avvicinavano a tale idea di “autenticità”, attorno alla quale sarebbe dovuta sorgere un’unità continentale alternativa rispetto a quella incarnata dall’asse franco-tedesco di Briand e Stresemann.
La visione haushoferiana dell’Asse come progetto europeo non era affatto scevra da profonde contraddizioni, la più evidente delle quali era certamente quella di voler coniugare una politica ultranazionalista – propria tanto del fascismo quanto del nazismo – e le proprie convinzioni pangermaniste con la necessità di superare la dimensione nazionale della politica europea attraverso la creazione di un “grande spazio” che fosse capace di tenere testa ai big players dello scacchiere globale. Tale contraddizione non fu però appannaggio esclusivo della geopolitica haushoferiana, ma caratterizzò la stessa alleanza tra Germania nazista e Italia fascista, rendendo quindi l’indagine delle concezioni haushoferiane anche un contributo per meglio comprendere le ragioni storiche e le ambiguità ideologiche che soggiacquero all’Asse Roma-Berlino.
Quale ruolo ebbe l’intensa attività diplomatica di Karl Haushofer nella preparazione e nel rafforzamento dell’alleanza tra Roma e Berlino?
Haushofer non era un diplomatico di carriera e non intendeva diventarlo. Il suo campo era soprattutto quello della politica culturale, ovvero l’uso pubblico di quel complesso di saperi, credenze e costumi che definiscono un gruppo umano in quanto prodotto storico e che, nelle relazioni internazionali (talvolta con il nome di diplomazia culturale), si traduce nel tentativo di instaurare un dialogo con le classi intellettuali e l’opinione pubblica di paesi stranieri. In questo senso, la politica culturale è soprattutto un fenomeno della società di massa: il suo scopo non è sottoscrivere trattati o stipulare alleanze, ma quello di accompagnare la diplomazia ufficiale rendendo determinate combinazioni politico-internazionali comprensibili e accettabili in ampi strati della popolazione attraverso un’opera di persuasione. Si tratta, in altre parole, di ciò che oggi chiameremmo soft power.
In quanto incentrato sulla politica culturale, il ruolo di Haushofer nella preparazione e nel rafforzamento dell’Asse Roma-Berlino deve essere valutato alla luce dei suoi contatti e della ricezione delle sue idee – in primo luogo la visione dell’Asse come progetto di unificazione europea nell’ottica di un “grande spazio” eurafricano. Per le stesse ragioni, la sua attività diplomatica non si può ridurre alle relazioni con l’estero, ma deve considerare anche la sua posizione all’interno della Germania, dove il consenso verso un’alleanza con l’Italia non era affatto scontato e si scontrava tanto con i rancori maturati nel 1915-18 quanto con le basi razziali dell’ideologia ufficiale che avrebbero suggerito piuttosto un accordo con la Gran Bretagna.
Haushofer cominciò a perorare un riavvicinamento tra Roma e Berlino nei primissimi anni Trenta, alla vigilia della presa del potere di Hitler, sostenendo come la revisione dell’ordine di Versailles potesse passare soltanto attraverso un avvicinamento all’Italia mussoliniana che soltanto il partito nazista sarebbe stato in grado di conseguire. Nell’immediato le previsioni dei geopolitici si dimostrarono tuttavia errate: l’ascesa di Hitler provocò un irrigidimento dei rapporti tra i due paesi, dovuto sia alla rivalità ideologiche che all’emergere di tensioni internazionali riguardo al destino dell’Austria. Fu allora che iniziò l’attività politico-culturale di Haushofer in Italia.
Nel 1934 Haushofer venne posto, per iniziativa di Hess, a capo di uno dei più importanti istituti politico-culturali della Germania, la Deutsche Akademie, tra i cui compiti rientrava la diffusione della cultura tedesca all’estero. Nella veste di presidente della Deutsche Akademie, Haushofer cominciò a frequentare la penisola assieme alla moglie Martha – che svolse un ruolo decisivo come mediatrice tra il marito e la cultura italiana – per stringere rapporti con quella rete di organizzazioni che faceva capo a Giovanni Gentile e all’Istituto nazionale di cultura fascista. Oltre al “filosofo del fascismo”, i suoi principali referenti furono l’Istituto di Studi Germanici, diretto da Giuseppe Gabetti, e l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente – due sedi dove egli sostenne l’opportunità di un’alleanza italo-tedesca nel 1935 e italo-nippo-tedesca nel 1937. Al contempo, Haushofer coltivava stretti rapporti con le autorità naziste e, dopo ogni viaggio in Italia, riferiva regolarmente le proprie impressioni a Rudolf Hess e, talvolta, direttamente a Hitler. Fu proprio dopo una permanenza a Roma nel 1938, all’indomani della Conferenza di Monaco, che Haushofer ebbe il suo ultimo colloquio con il Führer, davanti al quale mise in dubbio la solidità dell’alleanza nazi-fascista suggerendo quindi una politica estera meno aggressiva in Europa. Hitler si era però ormai deciso per la guerra e ritenne di non aver più bisogno dei consigli di Haushofer.
Il maggiore successo politico-culturale in Italia Haushofer lo raggiunse pochi mesi più tardi, quando nel gennaio 1939 patrocinò la nascita di una scuola geopolitica italiana nella forma della rivista “Geopolitica” diretta da Giorgio Roletto ed Ernesto Massi. Il rapporto tra Haushofer e i geopolitici italiani non fu scevro da difficoltà e contraddizioni, ciò nonostante “Geopolitica” divenne una voce favorevole all’alleanza italo-tedesca, che oltretutto condivideva le stesse basi concettuali e gli stessi piani della geopolitica tedesca, presentando l’Asse Roma-Berlino come un progetto imperiale europeo che avrebbe portato alla creazione del “grande spazio” eurafricano.
In che modo la natura conflittuale dell’Asse si manifestò nel suo epilogo?
L’Asse Roma-Berlino fu dal principio un costrutto conflittuale, in quanto ambedue i regimi condividevano una base ideologica ultranazionalista che complicava qualsiasi collaborazione internazionale, ma aspiravano entrambi a una revisione dell’ordine internazionale per la quale erano necessarie alleanze con paesi stranieri. Da questo punto di vista, superando tanto la celebrazione propagandistica dell’alleanza quanto la sua relativizzazione nel secondo dopoguerra, l’Asse può essere considerato come il tragico tentativo del nazionalismo europeo più esasperato di offrire una risposta alle sfide di un mondo in cui forze politiche, economiche e sociali di portata globale stavano inesorabilmente logorando le possibilità di autodeterminazione dei particolarismi nazionali.
La conflittualità dell’Asse emerse in diversi ambiti: fu rivalità ideologica per l’egemonia sulle restanti destre europee; fu competizione politico-economica per il controllo dell’area danubiana; fu lotta culturale per il primato tra germanesimo e latinità; fu, infine, antagonismo irredentista per il destino di una minoranza come quella altoatesina. Tutti questi nodi vennero al pettine con la guerra mondiale e con il fallimento militare dell’Italia, che cancellò ogni residuale equilibrio tra Roma e Berlino, trasformando l’Europa nazi-fascista in un impero tedesco messo a esclusivo servizio dei progetti egemonici di Hitler. Se tuttavia consideriamo soltanto l’aspetto conflittuale, risulta impossibile comprendere le ragioni che portarono all’alleanza italo-tedesca e che la tennero assieme fino alla catastrofe, rischiando di liquidarla come un “capriccio” di due dittatori in netta contraddizione con una serie di oggettività storiche e politiche che deponevano inequivocabilmente contro la tenuta di un accordo tanto “innaturale”.
Per comprendere l’Asse – e, con essa, la politica estera di fascismo e nazionalsocialismo, nonché le stesse origini della Seconda Guerra Mondiale – dobbiamo chiederci piuttosto come sia stato possibile che, proprio davanti a tali elementi di conflittualità, Germania e Italia abbiano trasformato l’“amicizia” politica in alleanza militare, abbiano scatenato il più devastante conflitto della storia umana e, infine, non abbiano rinunciato alla messinscena di una collaborazione paritaria anche quando – con il crollo del fascismo nel luglio 1943 e l’armistizio dell’8 settembre – uno dei due partner era stato definitivamente estromesso dalla partita. L’opportunismo illumina solo una parte del problema, perché lascia inevasa la questione di quali fossero gli scopi per cui si intendeva sfruttare le opportunità del momento. La risposta deve invece essere cercata nel significato che aveva l’Asse Roma-Berlino all’interno del panorama politico mondiale e nella sfida storico-universale tra sistemi ideologici in competizione tra loro – un significato che emerse poco e di rado nei discorsi di capi supremi e gerarchi, e ancor meno nell’attività della diplomazia tradizionale, ma che rappresentò l’oggetto principale dei rapporti politico-culturali tra le potenze dell’Asse e, in particolare, dei progetti geopolitici discussi e condivisi dai diversi attori che animavano la vita intellettuale di entrambi i regimi.
In questo senso, fu la dimensione europea – di cui Haushofer era uno dei principali teorici – a rendere l’Asse Roma-Berlino qualcosa di più di una mera combinazione politico-miliare, ammantandola della promessa di una ristrutturazione dei rapporti internazionali e permettendole di presentarsi come un’alternativa concreta rispetto al sistema liberale da un lato e comunista dall’altro. Al contempo, sarebbe stato compito dei teorici dell’Asse risolvere le conflittualità dell’alleanza italo-tedesca, soprattutto quando queste ultime divennero impossibili da ignorare con il crescente sbilanciamento delle forze in favore della Germania durante la guerra. Fu qui che gli ideologi come Haushofer fallirono e, nonostante gli sforzi fantasiosi per immaginare due imperi integrati in un grande costrutto eurafricano oppure un’improbabile diarchia tra un potere temporale/politico tedesco e un potere spirituale/ideologico italiano sulla falsariga del Sacro Romano Impero o del sistema shogunale nipponico, si dimostrarono incapaci di superare le contraddizioni insite in un’alleanza internazionale tra ultranazionalismi.
Nicola Bassoni ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università di Genova con una tesi che ha ricevuto il Premio “Ettore Gallo” 2017. Si occupa di storia del pensiero geopolitico, delle relazioni italo-tedesche e dell’immagine europea del Giappone. Ha curato la traduzione di un’opera inedita di Karl Haushofer in La geopolitica tedesca e il tramonto dell’Asse Roma-Berlino (Accademia delle Scienze di Torino, 2017)