
Nonostante molte chiacchiere sulla diversificazione delle fonti energetiche, il mondo dipende ancora in larga misura dagli idrocarburi, e una buona parte di petrolio e gas naturale continua a essere estratta nella regione. Dire che tutte le guerre dipendono dal petrolio è banale, semplicistico e fuorviante, ma non si può però dimenticare la centralità del Medio Oriente per i mercati energetici.
Nel corso degli ultimi trenta secoli, le più importanti rotte commerciali del mondo hanno attraversato la regione, che è stata luogo di produzione, scambio e consumo, oltre che campo di battaglia tra i principali imperi di ogni epoca. Nel corso dell’Ottocento, nelle fasi di declino dell’Impero Ottomano, il Medio Oriente è stato teatro della competizione coloniale tra Gran Bretagna, Francia e Russia. Dopo la seconda guerra mondiale, come spieghiamo nel libro, la regione è stata una delle prime linee della guerra fredda tra USA e URSS. Oggi si affacciano nuove potenze mondiali: all’egemonia americana si affiancano Russia e Cina.
Tanto per aggiungere un elemento ulteriore, non va dimenticata la centralità che alcuni luoghi di questa regione hanno per cristianesimo, islam ed ebraismo, attivando legami affettivi e simbolici di grande potenza.
Tutte queste sono ragioni di ordine geografico, storico, economico e politico che, come si può ben intuire, preparano una miscela esplosiva, pronta a essere innescata sia dall’interno sia dall’esterno. La difficoltà che spesso si prova (e che noi abbiamo provato a sciogliere nel libro) nel cercare di capire quanto accade nasce dalla sovrapposizione di tanti fattori che, presi singolarmente, sono in realtà maggiormente comprensibili. È in ogni caso necessario evitare gli stereotipi, compresi quelli che continuano a identificare le radici dei conflitti passati, presenti e futuri in presunti tratti immodificabili, evocando immagini da cartolina di tribù, predoni e dune del deserto. Proprio per tali ragioni nel volume abbiamo cercato di evidenziare il peso che le narrazioni, sovente unilaterali e legate alle prospettive occidentali, hanno avuto nella rappresentazione dei fatti storici e politici della regione.
Quali vicende hanno maggiormente segnato la storia recente del Medio Oriente?
Il rischio insito in questa domanda è quello di immaginarsi una sorta di “peccato originale” da cui sono discesi in maniera irreversibile tutti gli attuali problemi della regione. In questo senso vengono spesso ricordati l’accordo Sykes–Picot del 1916 o il conflitto arabo-israeliano del 1948. A ben vedere, ci sono state date che hanno rappresentato uno spartiacque: il 1958, per esempio, ha segnato una profonda modifica dei rapporti di forza a livello regionale nel quadro della guerra fredda. Il 1967 ha consolidato la posizione di Israele nel contesto regionale, con la disastrosa sconfitta dei paesi arabi, contribuendo al declino dell’ideologia pan-arabista e aprendo un vuoto ideologico riempito nel decennio successivo dall’inizio dell’ascesa del radicalismo islamico. Il 1979 ha visto la rivoluzione in Iran e l’invasione sovietica in Afghanistan. In tempi più recenti, l’invasione dell’Iraq nel 2003 e le “primavere arabe”, di cui si è da poco commemorato il decennale, hanno rappresentato momenti salienti dal punto di vista sia materiale sia simbolico.
In generale, tuttavia, la storia recente del Medio Oriente è segnata soprattutto dai processi di “lunga durata”, che spesso non si manifestano in fatti eclatanti, ma che contribuiscono a cambiare profondamente la struttura della società: si pensi, ad esempio, ai processi di rapidissima urbanizzazione (comuni a tanti paesi in via di sviluppo), all’adozione di politiche neoliberiste già nel corso degli anni Settanta e Ottanta, oppure ai cambiamenti demografici attualmente in corso, che nel giro di pochi anni cambieranno la fisionomia di molti stati dell’area.
Sebbene alcuni avvenimenti passati siano molto importanti per comprendere il presente, focalizzarsi solo sui momenti “epocali” rischia di essere fuorviante. C’è infine un punto per noi molto importante: il Medio Oriente non è un contesto isolato, ma una regione del mondo che ha vissuto e continua a vivere trasformazioni storiche, sociali, politiche ed economiche che si inseriscono appieno nelle traiettorie globali.
Quali sono i principali dibattiti in corso in ambito politologico, storiografico e antropologico riguardo il Medio Oriente?
In ambito politologico, uno dei temi più importanti di discussione riguarda la natura dello Stato. Detto in termini bruschi, la domanda è: in Medio Oriente c’è “troppo Stato”, sotto forma di apparati repressivi di sicurezza e burocrazia soffocante, o “troppo poco Stato”? Il problema degli Stati mediorientali è la loro invasività autoritaria, oppure la loro fragilità, che impedisce di intervenire in maniera efficace nei confronti di segmenti di società che rimangono marginalizzati o esclusi?
Tali riflessioni si inseriscono all’interno di un più ampio filone di discussione politologica, ossia quello relativo alla democrazia e ai processi di democratizzazione. Un tema che sviluppiamo nel libro, per esempio, è quello dell’intreccio profondo tra processi di modernizzazione e democratizzazione. Un’immagine profondamente ancorata a visioni primordialiste descrive il Medio Oriente come non democratico a causa di una sua endogena, insita incapacità di raggiungere la modernità (intesa, a livello politico, come democrazia). Nel libro diamo conto dei tentativi di decostruire questi assunti.
Nelle diverse sezioni del volume, che è diviso in schede sintetiche per agevolare la lettura, parliamo anche dei motivi che creano spesso sistemi politici disfunzionali e bloccati, i quali periodicamente generano esplosioni di malcontento generalizzato. Un argomento di dibattito su cui ci siamo soffermati è se lo Stato sia un concetto alieno alla realtà mediorientale e perciò fatalmente destinato al fallimento. La mappa concettuale nella prima parte del libro affronta questo tema, così come il modo con cui gli attori non statuali, come le milizie e i gruppi armati, cercano di imitare le strutture e le funzioni dello Stato in maniera “mimetica” o in quanto “surrogati dello Stato”.
In ambito storiografico, i centenari relativi alla prima guerra mondiale e ai trattati che l’hanno accompagnata hanno aperto riflessioni amplissime. Il crollo dell’impero ottomano, la nascita della Turchia repubblicana (1923), la conferenza di Sanremo e il trattato di Sèvres (1920), oltre ai vari carteggi e accordi più o meno segreti degli anni di conflitto sono tutti eventi che hanno determinato l’attuale geografia politica del Medio Oriente, riscrivendone la mappa. Questi anniversari hanno aperto discussioni molto accese che toccano nervi tuttora scoperti e delicatissimi: si pensi alle diverse visioni di identità nazionale in Libano, alla questione curda o al nervosismo che in Turchia caratterizza il dibattito sul genocidio armeno.
In ambito antropologico, uno dei temi più centrali di analisi riguarda il rapporto tra tradizione e modernità. Da almeno due decenni, una considerazione ampiamente rilevata è la difficoltà di usare queste categorie come se fossero nitidamente distinte, mentre si tratta in realtà di concetti fluidi, costantemente ridefiniti, che spesso convivono in maniere apparentemente contraddittorie. Questo approccio, che invita a non distinguere in maniera binaria il “moderno” da ciò che appare “anti-moderno” o “tradizionale”, è una chiave di lettura utile per capire anche alcuni processi politici, come mostriamo in diversi passaggi del volume. In particolare, tale riflessione mette in questione molte argomentazioni binarie che contrappongono un “noi” (moderno e democratico) a un “loro” (arcaico e non democratico).
Quali teorie politiche hanno maggiormente inciso sul dibattito intellettuale e sugli avvenimenti della regione?
Nel libro dedichiamo ampio spazio ai diversi autori dell’islam politico, alcuni dei quali hanno inteso perseguire una “via islamica alla modernità”, mentre altri hanno teorizzato (e alcuni cercato anche di mettere in pratica) una nozione di “Stato islamico”. Come cerchiamo di spiegare nelle schede della seconda parte del libro, è importante evitare di fare un guazzabuglio di esponenti e correnti, al fine di mostrare la diversità di posizioni ed evitare di guardare all’islam politico come se fosse un monolite unico e immutabile: c’è un elemento centrale e comune, che ha a che fare con la legittimazione del potere e delle istituzioni politiche, ma poi vi sono sensibilità, strumenti e percorsi diversi.
Un’altra corrente politica è quella del nazionalismo, in particolare quello panarabo, che caratterizza l’esperienza nasserista in Egitto e il baathismo in Siria e in Iraq. Uno dei punti che evidenziamo nel libro è l’impatto che le teorie e le esperienze politiche del Novecento europeo hanno avuto sul dibattito intellettuale nella regione, a partire proprio dall’idea di nazione e identità nazionale.
Una sezione è dedicata al marxismo mediorientale, che ha avuto un peso notevole, anche se forse poco conosciuto, nelle vicende degli anni Cinquanta e Sessanta, non solo sul piano teorico, ma anche attraverso l’attività di partiti e sindacati. Nel libro ci soffermiamo in particolare sul dibattito relativo alla prevalenza della questione nazionale o della questione di classe.
Abbiamo infine voluto dare spazio alle e agli intellettuali di tendenza progressista, riformatrice e femminista: anche loro sono una parte (perlopiù poco nota, ma non meno rilevante) della regione.
Nel complesso, un punto che speriamo emerga con sufficiente chiarezza è il modo con cui il pensiero politico nella regione, anche quando adotta posizioni radicali e antisistemiche, è pienamente inserito nei dibattiti e nelle tensioni globali del ventesimo secolo: il “nazionalismo integrale” dell’Action Française influenza la destra cristiana libanese, mentre gli scritti di Frantz Fanon, Che Guevara e Giap quelli della sinistra radicale filopalestinese.
Quale futuro, a Vostro avviso, per il Medio Oriente?
Francamente viene difficile immaginare come sarà l’Italia, l’Unione Europea o lo stato del mondo da qui a dieci anni. Avventurarsi in previsioni sul Medio Oriente nel 2030 sarebbe un’operazione azzardata e poco utile. Probabilmente è più opportuno concentrarsi sulle sfide aperte e sulle questioni da monitorare con attenzione.
Dal punto di vista della politica internazionale, bisognerà vedere se la politica della nuova amministrazione Biden segnerà un cambio di passo rispetto agli ultimi anni e riuscirà a superare i blocchi e gli errori dell’ultimo quarto di secolo. Un grande punto di domanda riguarda il ruolo della Russia, che si è ritagliata un ruolo di potenza regionale di primissimo piano. Un altro interrogativo riguarda la competizione strategica di tipo marittimo tra Cina e India nelle acque dell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico. Altri aspetti da considerare sono l’evoluzione della politica regionale e delle relazioni intra-arabe, che hanno una propria forma e autonomia, per quanto correlata all’evoluzione del contesto internazionale: da seguire saranno per esempio gli equilibri interni al Gulf Cooperation Council e alla Lega Araba, così come le riconfigurazioni delle relazioni bilaterali tra quegli Stati che aspirano a un ruolo di egemone regionale.
Dal punto di vista interno, molti dei fattori di crisi che hanno portato alle rivolte del 2010 e del 2011 sono rimasti irrisolti, e anzi si sono riproposti nelle proteste degli ultimi mesi in Algeria, Libano e Iraq: corruzione, nepotismo, sperequazioni sociali e assenza di alternative politiche continuano ad asfissiare società che agognano un cambiamento al di fuori del falso dilemma su quale sia il “male minore” tra autoritarismo militare e fondamentalismo religioso. La più grande e profonda sfida in questo senso è rappresentata dalla costruzione di stati basati per davvero, e non solo sulla carta, su eguali diritti di cittadinanza a prescindere dalle appartenenze etniche e confessionali. Si tratta di una sfida difficilissima, che però non potrà essere affrontata e risolta attraverso imposizioni esterne, men che meno di tipo militare.
Rimane infine drammaticamente aperta, come hanno dimostrato i più recenti avvenimenti delle ultime settimane, la questione israelo-palestinese, dove lo status quo, per quanto variamente sottoposto a molteplici tentativi di normalizzazione, continua a mostrarsi nei suoi aspetti di iniquità e fonte di instabilità.
Rosita Di Peri è professoressa associata in Scienza Politica e Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. I suoi interessi di ricerca si concentrano principalmente sul tema della democrazia e dell’autoritarismo con particolare attenzione al Medio Oriente e al Libano contemporaneo. È coordinatrice scientifica della scuola estiva “Understanding the Middle East” e membro del direttivo di SeSaMO (Società per gli Studi sul Medio Oriente). Ha pubblicato articoli su riviste nazionali e internazionali, curato diversi volumi ed è autrice del volume Il Libano contemporaneo (Carocci).
Francesco Mazzucotelli insegna Storia e Cultura del Medio Oriente presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia. I suoi interessi di ricerca vertono sulle identità religiose ed etniche e sulla storia degli spazi urbani mediorientali. Collabora con il Master in Middle Eastern Studies dell’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali) di Milano. Ha pubblicato su riviste italiane (“Storia Urbana”, “Oriente Moderno”; “Il Politico”) ed è autore di capitoli in diversi volumi collettanei internazionali.