“Guida al turismo industriale” di Jacopo Ibello

Dott. Jacopo Ibello, Lei è autore del libro Guida al turismo industriale edito da Morellini: quando e come nasce il concetto di archeologia industriale?
Guida al turismo industriale, Jacopo IbelloIl concetto di archeologia industriale, così come lo conosciamo oggi, nasce convenzionalmente negli anni Cinquanta del ventesimo secolo, nel Regno Unito. Spesso, soprattutto in Italia, viene identificato con questo termine il patrimonio materiale e immateriale legato al mondo dell’industria, ma in realtà l’archeologia industriale identifica il metodo di studio e indagine di tale patrimonio. L’archeologia industriale, che suona al primo impatto quasi come un ossimoro (se non addirittura una provocazione), mosse i suoi primi passi nella seconda metà del secolo scorso quando ci si approcciò ai resti della prima Rivoluzione industriale, che prese piede oltremanica a metà del Settecento. Le tracce di questa epoca fondamentale per la storia dell’uomo erano ridotte spesso a delle rovine, che ricordavano quelle delle civiltà antiche. I primi studiosi della materia si muovevano proprio come gli archeologi che cento anni prima esploravano le tombe egizie, i resti di Pompei o gli scavi delle poleis greche. Ecco come nacque l’archeologia industriale.

A partire dagli anni Settanta, l’inizio di una massiccia deindustrializzazione in Europa occidentale e negli Stati Uniti, che colpì soprattutto quei settori che erano stati protagonisti della Rivoluzione industriale (tessile, miniere, siderurgia), lasciò sul campo non più piccole rovine di forni o mulini, ma enormi complessi industriali che vennero abbandonati. Non solo gli edifici, che erano certamente la parte più visibile, ma anche le macchine, gli archivi, gli strumenti, le infrastrutture di trasporto e poi tutta una parte immateriale fatta di conoscenze e storie personali, rischiavano di scomparire. È quello che propriamente si chiama patrimonio industriale, ed è con questo termine che è conosciuto nella maggior parte delle lingue in tutto il mondo questa parte del nostro patrimonio culturale. Gli archeologi industriali, che possiamo identificare non solo nei ricercatori e nei professori accademici, ma anche nella parte di società civile (volontari, artisti, politici, intellettuali, imprenditori ecc.) che si oppose alla distruzione delle testimonianze dell’epoca storica di maggiori trasformazioni nella storia umana, iniziarono una battaglia per sensibilizzare l’opinione pubblica sul patrimonio industriale, allo scopo di proteggerlo e valorizzarlo.

Vi è poi un’ulteriore evoluzione del termine: la cultura industriale. È un concetto di valore più ampio, che vede l’industria (passata e presente) non solo come un attore economico, ma come un fattore determinante per comprendere il paesaggio e l’identità culturale di un territorio. Un fenomeno predominante nel passato, certo, ma non superato, capace di essere motore di sviluppo, cultura e orgoglio per le comunità locali e nazionali.

Quale evoluzione ha caratterizzato il turismo industriale?
Il turismo industriale, ovvero quel turismo che porta i visitatori a scoprire l’espressione di una comunità attraverso il suo saper fare, nacque alla fine del Novecento. Negli ultimi venti anni del secolo vennero fondate nei Paesi più sviluppati importanti realtà museali dove scoprire la storia industriale di una nazione, di un territorio o di un’azienda. L’Unesco iniziò contemporaneamente a inserire tra i siti riconosciuti come Patrimonio dell’umanità i monumenti industriali: il “marchio” Unesco nasce con un obiettivo principalmente culturale ma, come ben sappiamo in Italia, è di grande aiuto nella promozione turistica. Sempre nello stesso periodo nacquero, in quelle aree a forte caratterizzazione industriale, le prime reti museali e i primi itinerari regionali di cultura industriale, decretando di fatto l’interesse turistico del patrimonio industriale.

Quali dimensioni ha assunto oggi il turismo industriale?
Il turismo industriale è un fenomeno oggi sviluppato in maniera diseguale tra le nazioni e al loro interno. Nei Paesi emersi come protagonisti della storia grazie al processo di industrializzazione (per esempio Regno Unito e Germania), i cittadini sono più propensi a riconoscere i luoghi dell’industria come simboli della propria identità culturale. Qui alcuni siti del turismo industriale possono attrarre centinaia di migliaia, in qualche caso milioni di visitatori all’anno. Si tratta spesso di grandi musei della tecnologia, dei trasporti e di case automobilistiche, oppure di aree minerarie trasformate in parchi. In Italia questa relazione identitaria è meno forte e quindi è più difficile far emergere il loro potenziale turistico. Esistono anche da noi casi di eccellenza, come il circuito turistico Motor Valley, che promuove attraverso itinerari i luoghi della cultura motoristica in Emilia-Romagna, il boom del turismo ferroviario sui treni storici negli ultimi anni e, come all’estero, la straordinaria attrattività dei parchi minerari, in particolare in Sardegna e in Toscana.

Il libro contiene oltre 200 schede sui più importanti siti di archeologia industriale del nostro Paese: quali ritiene i più significativi?
Tra i luoghi assolutamente da non perdere per comprendere la cultura industriale italiana, per la loro storia e anche per la loro bellezza, ci sono la fabbrica del Lingotto a Torino, la città di Ivrea, i lanifici del biellese, l’Italcementi di Alzano, la Fabbrica Alta di Schio, l’Arsenale di Venezia, il Porto Vecchio di Trieste, i villaggi operai di Crespi d’Adda e San Leucio, il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa a Napoli, la Centrale Montemartini di Roma, le miniere della Sardegna. Ma al di là di questi simboli, invito il viaggiatore a scoprire ad addentrarsi nell’Italia per scoprire storie e luoghi misconosciuti ma non meno sorprendenti, come Ferrania in Liguria, Mongiana in Calabria, le centrali elettriche progettate dal maestro Portaluppi oppure il museo diffuso dell’abbandono InLoco in Romagna.

La nozione di turismo industriale ricomprende anche la cosiddetta cultura d’impresa, che include i musei e gli archivi aziendali e le visite all’interno di impianti industriali ancora attivi: quali percorsi propone al riguardo la Sua Guida?
L’Italia ha la fortuna di avere ancora oggi un tessuto di industrie vivo e di successo, che ha riconosciuto da tempo il proprio valore culturale e lo ha espresso attraverso musei e archivi d’impresa. Itinerari in questo senso possono essere fatti nel territorio milanese, dove vi è la più alta concentrazione di musei aziendali in Italia (Alfa Romeo, Campari, Branca, Kartell per citarne alcuni), nella già citata Motor Valley emiliana dove è possibile scoprire la storia e il presente di alcune tra le più prestigiose industrie automobilistiche del mondo, o nei dinamici distretti marchigiani del Paesaggio dell’Eccellenza. Le visite in fabbrica sono un’esperienza di successo recente in Italia, tanto che esistono eventi dedicati nazionali e locali, come Open Factory e Piemonte Fabbriche Aperte. Tra le esperienze citate nella guida, sentirsi minuscoli nel cantiere navale di Monfalcone, dove migliaia di operai costruiscono i colossi della crocieristica, oppure scoprire come da secoli vengono prodotte con lo stesso metodo e dalla stessa famiglia le campane della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, in Molise.

Quali interventi sono a Suo avviso auspicabili per la valorizzazione del patrimonio storico industriale?
A oggi va detto che il valore culturale aggiunto e il potenziale di rigenerazione che il patrimonio industriale offre sono ormai largamente accettati anche in Italia. Sempre più città, grandi e piccole, mettono la salvaguardia e il recupero dei beni industriali tra gli obiettivi della loro pianificazione. Le soprintendenze si occupano della tutela dei monumenti industriali allo stesso modo di quelli “classici”, e anche le associazioni di difesa del patrimonio culturale si occupano costantemente di questi luoghi. Non vi è tuttavia un’uniformità da parte di enti e istituzioni nelle procedure di salvaguardia e valorizzazione, cosa che porta spesso a progetti di successo e fallimento all’interno di uno stesso territorio. Così come manca una formazione diffusa di professionisti che sappiano interagire col patrimonio industriale nelle sue più svariate forme: architetti, archivisti, ingegneri, museologi e altre figure. Ciò che è importante sapere prima di approcciarsi al patrimonio industriale è che si tratta di una branca estremamente multidisciplinare, dove per raggiungere una valorizzazione utile alla società e coerente con la storia e l’identità che esso rappresenta, è necessario interfacciarsi con competenze differenti.

Resta il fatto però che larga parte di questo patrimonio rimane sconosciuto alla maggioranza dell’opinione pubblica. Il turismo industriale può compiere in questo senso un’importante opera di sensibilizzazione per far capire alla cittadinanza come la cultura industriale sia parte integrante dell’identità locale e nazionale. È importante perciò che gli enti impegnati nella promozione turistica dei territori includano sempre di più luoghi e itinerari che consentano di praticare il turismo industriale.

Jacopo Ibello (Latina, 1987) si laurea in Geografia all’Università di Bologna con una tesi sulla regione della Ruhr, entrando in contatto col patrimonio industriale. Decide quindi di formarsi in questo campo attraverso il Master MPI dell’Università di Padova, lavorando poi a progetti di turismo industriale e cultura d’impresa. È presidente di Save Industrial Heritage, associazione impegnata nella valorizzazione del patrimonio industriale e membro del direttivo dell’AIPAI, l’associazione nazionale di riferimento nel settore.

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