Della famiglia Bolkonskij è primo rappresentante il vecchio principe, generale dei tempi di Caterina, un volteriano intelligente che vive nel suo possedimento di “Lisyja Gary” con la figlia Mar’ja, non più giovane e non bella, ma che con i “suoi bellissimi occhi irradianti” e il suo timido sorriso è l’immagine di un’alta bellezza spirituale. La principessa Mar’ja porta la croce della sua esistenza col padre che l’ama ma è rigido e severo, e in fondo all’animo ha la speranza di avere un giorno una propria famiglia e dei figli. Questa speranza si realizzerà molto più tardi, col suo matrimonio con Nikolaj Rostov. Il personaggio più importante della famiglia Bolkonskij è però il principe Andrej, fratello di Mar’ja, del tutto diverso dalla sorella: forte, intelligente, superbo, conscio della sua superiorità sugli altri, ma deluso della vita e in cerca di un’attività pratica. Cade una prima volta ferito sul campo di Austerlitz; ritornato in patria, e mortagli la moglie, si innamora dell’esuberante e giovanissima Nataša Rostova, che gli appare come l’ideale della purezza e della bellezza, e quando questa, in un momento di storditaggine, trovandosi egli in guerra, si lascia trascinare dalle lusinghe del mondano Anatolij Kuragin, cade in disperazione. Più tardi, spegnendosi lentamente, in seguito a una seconda ferita ricevuta sul campo di Borodino, egli trova, dopo averla tanto cercata, la “verità della vita”, l’amore che si traduce in Dio.
Con le vicende della famiglia Bolkonskij si intrecciano quelle della famiglia Rostov. Nikolaj Rostov, una natura primitiva che vive senza problemi e senza dubbi, nobile di temperamento, valoroso, allegro, quando dalle vicende della vita è portato a diventar marito di Mar’ja Bolkonskaja diviene un eccellente marito e padre. Ma nella famiglia Rostov la figura centrale è Nataša, una delle più belle creature tolstoiane e una delle più umane e affascinanti della letteratura mondiale, piena di vita e di gioia, capace di influire su tutti coloro che la circondano con la sua vivacità e serenità, alle quali si aggiunge una “chiaroveggenza del cuore” che, come dice Pierre Bezuchov, “sostituisce in lei l’intelligenza”. Tuttavia, Nataša è troppo giovane per accorgersi del vuoto che è dietro il brillante Anatolij e lo preferisce, fino al momento del disinganno, al principe Andrej. Ma, dopo la rottura col principe, nella vita di Nataša avviene un rivolgimento: ella non può perdonarsi la colpa commessa e, disperata, vorrebbe morire. La morte del fratello Petja sul campo di battaglia le ridà forza, nel senso che la spinge a consolare la madre, e in ciò è la sua salvezza. L’amore di Pierre Bezuchov la riporta poi del tutto alla vita e anch’ella, come Mar’ja Bolkonskaja, diviene sposa e madre esemplare, tutta dedita ai suoi nuovi doveri.
Termine medio tra le due vicende di Andrej e di Nataša è Pierre Bezuchov, la cui storia forma, con quelle due, il terzo grande filone del romanzo. Figlio naturale del conte Kirill Bezuchov, Pierre si trova, alla morte del padre, erede di una fortuna enorme e incapace di servirsene. Meditativo, dotato di un mondo interiore in cui si muove faticosamente, portato a vedere le cose con semplicità primitiva pur intuendo il netto contrasto in cui il suo atteggiamento si trova con quello degli altri e inadatto a trovare la via di una conciliazione, il grosso Pierre Bezuchov è dapprima facile preda del mondo in cui vive. Il principe Vasilij Kuragin riesce facilmente a fargli sposare la sua bellissima e vana figlia Elena, e questo matrimonio disgraziato lo costringe a conoscere più da vicino la società in cui vive e a sentirsene disgustato. Separatosi dalla moglie, tenta invano, come già Levin, che molto gli somiglia, riforme agricole; desideroso di raggiungere verità conclusive entra nella Massoneria, che non tarderà a deluderlo; quando l’armata napoleonica entra in Mosca, egli si crede destinato a uccidere Napoleone ed è pronto a far sacrificio di una vita che gli appare altrimenti inutile. Ma è imprigionato dai Francesi prima che possa effettuare il suo compito, e durante questa prigionia, a contatto con uomini semplici come il soldato Platon Karataev, una luce si forma lentamente in lui. Quando sarà liberato potrà affrontare una nuova vita: sua moglie Elena è morta, Nataša, illuminata anche lei da una lunga sofferenza, gli è spontaneamente vicina e, nella sicurezza di un nuovo nucleo familiare, la “pace” si ricompone dopo la bufera.
Prima di scrivere Guerra e pace Tolstoj aveva pensato a un romanzo dedicato alla congiura e all’insurrezione del dicembre 1825 e aveva cominciato a raccogliere il materiale necessario. Ma proprio questo studio aveva richiamato la sua attenzione sull’epoca precedente, sulle fonti di quei fenomeni ch’egli aveva pensato di descrivere, ed era risalito alle guerre napoleoniche. L’ampiezza del quadro e l’inclusione in esso di avvenimenti grandiosi così importanti per la Russia fecero sì che il romanzo si sviluppò a vera e propria epopea. Un’epopea tuttavia di tono realistico, anche se lo studio dei materiali non portò a quella obiettività storica che alcuni critici avrebbero desiderato; l’obiettività è nell’esposizione precisa ed esatta e l’alterazione di alcuni momenti storici non danneggia affatto l’insieme, né tanto meno la presentazione degli innumerevoli personaggi o l’analisi dei moti, sentimenti e umori della loro vita.
Oltre che alla grandiosità del quadro, Guerra e pace deve la sua enorme importanza a quel che qualcuno ha chiamato l’elemento morale, altri l’elemento filosofico del romanzo. Bisogna distinguere veramente in questo elemento altri due componenti: quello universale e quello prettamente russo. Il primo di questi componenti è la vera e propria filosofia tolstoiana della storia, secondo la quale non la geniale acutezza dei generali e reggenti, non la tattica dello stato maggiore, ma lo spirito delle masse di popolo, le forze di volontà unite delle anime schiette, il loro oscuro eroismo e la loro passività debbono essere considerati come fattori decisivi dei grandi avvenimenti della storia. L’altro è la convinzione che questa filosofia trovi la sua espressione nello spirito popolare russo. Nella sua enunciazione teorica, essa ha difensori presso ogni popolo, ma praticamente, secondo Tolstoj, si incarna nel popolo russo, i cui rappresentanti più autentici sono nel romanzo il soldato Platon Karataev, e, su un piano superiore, il generale Kutuzov. Karataev, con la sua preghiera serale: “Signore, fammi dormire come una pietra e alzare come il pane”, esprime la più elementare e istintivamente religiosa dedizione dell’uomo all’assoluto che lo governa: in lui è già enunciato il principio della non resistenza al male nell’intima convinzione che solo le espressioni della buona volontà umana abbiano il peso di una positiva realtà. Kutuzov, che, considerando l’invasione napoleonica con un segreto intuito da contadino russo, sa che lo sforzo di Napoleone è storicamente esaurito, destinato a soffocarsi nella vastità passiva della steppa, e non si preoccupa di cercare la battaglia campale attendendo con fiducia la grande ritirata, è il rappresentante consapevole, e tuttavia ancora ricco di intuiti sotterranei ed elementari, di una concezione mistica della vita di cui solo il popolo russo, contemplativo, paziente, naturalmente innocente fin nei suoi eccessi, può, secondo lo scrittore, lanciare il messaggio. Questa concezione, che Tolstoj non disdegna di svolgere anche con rigore teorico (le ultime pagine del romanzo costituiscono un vero saggio di filosofia della storia indipendente dal resto), trova poi una vasta realizzazione artistica in tutto il complesso di questo romanzo-poema dove i motivi psicologici, epici e descrittivi si fondono con meravigliosa unità alternandosi in capitoli brevissimi, quasi gruppi di strofe liriche che Tolstoj introduce creando una nuova tecnica narrativa.
Valendosi delle stesse conquiste del realismo, Tolstoj è il primo a rivelare il valore che possono assumere certe osservazioni minute: le ghette di un ufficiale durante una battaglia, un dialogo sciocco che si ripete e affiora con assurda insistenza durante un momento drammatico, la piega di una veste che a un tratto attira su di sé l’attenzione e domina storditamente al centro di un penoso fantasticare. In questo continuo rapporto tra il limitato e l’eterno, che ora è colto nell’intimo stesso di un’anima, ora è additato nel complesso degli uomini, delle loro vicende e dell’ambiente che li circonda, Guerra e pace rientra nella sfera di un epos originario, più vicino all’Iliade e alla Canzone di Orlando che non alla vasta produzione romanzesca della sua epoca.»