
Quale funzione svolge, per il teologo, la letteratura?
Per oltre trent’anni Romano Guardini dedicò molti suoi corsi universitari al pensiero di Dante – a eccezione del periodo che va dal 1939 al 1945, quando fu costretto a un silenzio forzato dal regime nazista, la cui visione ariana del mondo risultava ormai totalmente incompatibile con quella del filosofo e teologo italo-tedesco. La sua riflessione – che fu d’ispirazione alla resistenza spirituale dei ragazzi della Rosa Bianca, come Hans e Sophie Scholl, Otl Heicher – prese spesso la forma dell’ermeneutica letteraria. Una grande onestà, infatti, lo spinse a cercare nelle grandi opere della letteratura mondiale quelle profonde verità filosofiche a cui attingere nei momenti di crisi. Guardini era convinto che nelle opere dei grandi autori – egli si occuperà soprattutto di Dostoewskij, Rilke, Hölderlin – fosse presente una visione del mondo implicita, spesso celata nei personaggi, nell’architettura delle composizioni, nelle immagini più che nei concetti. Visioni del mondo che aiutarono Guardini a osservare da nuovi punti di vista un presente lacerato dal dominio della tecnica e dalla irresponsabilità verso il mondo. In questo senso Dante e la Divina Commedia rappresentarono per lui un appello all’unità, in un’epoca in cui le consolidate visioni del mondo sembrarono venir meno.
Come avviene l’incontro di Guardini con Dante?
Come dicevamo, la Divina Commedia probabilmente gli era stata regalata dal padre, «dalle cui labbra – come chiarisce Guardini in una dedica – fanciullo i primi versi di Dante colsi». Sappiamo, inoltre, che da ragazzo aveva creato una specie di circolo letterario e dell’impressione che fece ai partecipanti in un incontro a Charlottenburg – a casa degli Smidtgen, parenti di Erich Auerbach – una sua illuminante interpretazione filosofica di Dante. Poi, in particolare durante gli studi di Teologia, a Friburgo e Tubinga, deve essere avvenuto quell’incontro intimo, che gli consentì di capire come quella di Dante fosse la poesia a lui «assegnata nel profondo». Da quel momento Guardini non cesserà più di confrontarsi col divin poeta, e in particolare con la Divina Commedia. Dobbiamo attendere però il 1931 affinché venga pubblicato il suo primo saggio sull’argomento: La conoscenza e il maestro della verità nella Divina Commedia di Dante. Seguiranno pagine di riflessioni e commenti, corsi universitari e pubblicazioni, da cui si evince un serrato confronto con un poeta, che diverrà per lui un costante punto di riferimento.
Quale lettura offre Guardini del poema dantesco?
In linea con altri autori dell’epoca, Guardini ritiene che la realtà illustrata da Dante nel suo lungo percorso attraverso i tre regni – gli inferi, il purgatorio e il paradiso – non sia semplicemente il frutto di un’invenzione poetica. Al contrario, alla base della Divina Commedia vi sarebbe una vera e propria “visione”, una intuizione in grado di ristrutturare la realtà presente alla luce di una prospettiva inconsueta. Ciò non vuol dire tanto caricare Dante di una funzione profetica, quasi fosse un veggente o un oracolo capace di visioni escatologiche – teoria che pure è stata a tratti sostenuta ad alta voce. La visione rappresenta più che altro la capacità del poeta di osservare la realtà da un punto, che consenta alla molteplicità degli enti, apparentemente slegati gli uni dagli altri, di manifestarsi come una totalità. Tale atteggiamento, completamente differente da quello di tipo scientifico, mira a cogliere l’oggetto nel suo carattere di mondo: non cogliere la realtà a partire dalla somma delle singole conoscenze, ma conoscere i singoli elementi come parte di un tutto, a partire da un’intuizione preliminare. Ossia, a partire da una prospettiva che consenta all’uomo, spesso al poeta, di osservare la realtà sotto una luce nuova: potenza di trasfigurazione di cui riusciamo a cogliere la veridicità quando, ad esempio, veniamo colpiti dalla scena di un quadro o da una poesia. Insomma, la visione di Dante, come quella di tutti i grandi poeti, possiede la forza di ristrutturare la realtà sulla base di uno sguardo, per così dire, dall’alto. Le faccio due esempi, emblematici e opposti, che Guardini recupera da Dante. Da un lato il rivolgersi indietro, una volta asceso in cielo, consente a Dante di cogliere la profonda unità del tutto, la terra compare come «aiuola», e ciò che «per l’universo si squaderna» appare finalmente «legato con amore in un volume» (Pd XXII 151; XXXIII 187). Dall’altro, nel Purgatorio, è proprio la distorsione dello sguardo dei peccatori, che impedisce all’occhio di cogliere l’ampiezza del mondo al di là di sé; in particolare gli invidiosi, sono afflitti da una malattia del guardare: la loro incapacità di tollerare le cose nella loro pienezza deriva dallo sguardo bieco, storto, dal procedere ripiegato su se stessi, che nasce dall’invidia. Invidiare vuol dire in-vidēre, guardare di traverso, guardare male ciò o colui che si ha di fronte, condannandosi a una visione asfittica del mondo.
Quali interpretazioni del capolavoro dantesco si riscontrano nell’opera di Romano Guardini?
Guardini compie, nel corso degli anni, un commento e un’analisi puntuale dell’intera Divina Commedia. Addirittura a un certo punto si misura con la traduzione in tedesco dell’opera, di cui porta a termine il primo canto dell’Inferno; questo nella convinzione che non sia ancora stata portata a termine una traduzione tanto letteraria quanto filosofica della Divina Commedia. Nell’analisi della Commedia egli individua dei temi che a suo parere possono fornire una chiave di lettura complessiva. Oltre alla questione del paesaggio e della visione a esso collegata, egli affronta a più riprese il problema della corporeità (così come viene delineata nei tre regni), del movimento, che muta col procedere del poeta nelle viscere della terra o sui pendii del monte Purgatorio, della luce e dell’ombra che governano le tre cantiche dell’opera, dell’angelo e delle sue diverse funzioni a seconda del regno: unica creatura, ricorda Guardini, insieme a Dante, a poter attraversare tutti gli ambiti della realtà, dall’inferno al purgatorio al paradiso. Ma un elemento che forse accomuna tutti i temi a cui abbiamo accennato è l’atteggiamento di fondo: la tendenza di Dante a cogliere la dimensione «polare» dell’esistenza, l’unità tra la dimensione interiore e corporea dell’uomo, piuttosto che la divergenza. In lui prevarrebbe l’atteggiamento di colui che riconosce affinità e omogeneità fra gli elementi della vita. La conciliabilità di massima tra spirituale e corporeo, interno ed esterno, rendono, agli occhi di Dante, la materia e in particolare il corpo umano profondamente buoni; l’esterno, la materia, il corpo vengono percepiti nella loro intima duttilità, nella capacità intrinseca di farsi docili strumenti dell’altro. Per questo all’interiorità inaccessibile, al pudore, al silenzio e all’ironia, in Dante fanno da contraltare la narrazione, la volontà dei personaggi – anche i più reietti – di prendere parola e comunicare se stessi. Tutti coloro che Dante incontra nel suo lungo itinerario vogliono rendere pubblica la loro vera natura. E questo, secondo Guardini, rivela la dolcezza proprio di uno sguardo per così dire mediterraneo, che confida nella potenza di una luce tersa e cristallina: quella che a una certa ora, sulle piagge marine, consente o ogni essere di apparire per quello che è.
Oreste Tolone è ricercatore senior di Filosofia morale presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Si è occupato soprattutto di Filosofia della religione, Antropologia Filosofica e Antropologia Medica, con particolare attenzione ad autori quali Helmuth Plessner, Arnold Gehlen, Adolf Portmann, Viktor von Weizsäcker, Romano Guardini e Bernhard Welte. Ha curato, per la Morcelliana di Brescia, i volumi dell’Opera Omnia di Romano Guardini dedicati a Dante: Studi Danteschi XIX/1 e La Divina Commedia di Dante. I principali concetti filosofici e religiosi XIX/II. Tra i suoi principali lavori: Homo absconditus. L’antropologia filosofica di Helmuth Plessner (Napoli 2000), Bernhard Welte. Filosofia della religione per non credenti (Brescia 2006), Il sorriso di Adamo (Genova-Milano 2008), Alle origini dell’antropologia medica. Il pensiero di Viktor von Weizsäcker (Roma 2017), Guardini e la filosofia di Dante (Brescia 2021).