
Studiare l’evoluzione storica del diritto è penetrare l’intima essenza del diritto stesso.
Il diritto non si esaurisce nel comando, nel precetto, nell’apparato che crea e applica regole. Il diritto, anche quando è espressione del più sofisticato tecnicismo, è incarnazione di storicità, è componente centrale dei processi storici.
Lo studio del diritto in prospettiva dinamica conduce a raggiungere strati più profondi della conoscenza, dove cercare e trovare radici.
Il diritto – ci ricorda Paolo Grossi – è storia vivente. È fondamentale saperlo seguire nel suo procedere evolutivo, nelle sue relazioni con la storia sociale, con la storia economica, con la storia delle mentalità, ma anche – e qui dobbiamo riferirci a una disciplina che si muove fortemente in prospettiva storica, ossia la comparazione – nelle relazioni e nelle interazioni con altri diritti, altri ordinamenti. Da diversi decenni siamo entrati in una fase di progressiva contaminazione, anche in campo giuridico. Le regole giuridiche, anche quando sono regole prodotte all’interno di un ordinamento statuale, vivono molteplici, continue connessioni con regole di altri ordinamenti, nazionali e sovranazionali. La capacità di dialogare, senza pre-giudizi, con mondi giuridici diversi dal nostro, in alcuni casi molto lontani, geograficamente e culturalmente, è uno dei tratti distintivi del giurista contemporaneo, che deve sapersi misurare con un diritto complesso, fatto di molteplici articolazioni e espressioni.
Storia e comparazione rappresentano due formidabili strumenti culturali per potersi muovere in un contesto giuridico come quello odierno, segnato da mutamenti economici e sociali rapidissimi, che vive una dimensione globale ed è in continua proiezione verso il futuro. Questo contesto complesso necessita di protagonisti pienamente partecipi, che sappiano riconoscere tipicità e nuovi bisogni del nostro tempo. Lo studio del diritto attraverso la diversità – diversità delle sue manifestazioni nel tempo e nello spazio – offre strumenti preziosi per questo riconoscimento.
Il dialogo con Paolo Grossi, che ha dato vita al libro Grammatiche del diritto, è rivolto in primo luogo agli studenti – ai quali il libro stesso è dedicato – nella direzione di contribuire alla formazione di giuristi che vivano intensamente il proprio tempo, che abbiano gli strumenti critici e culturali per essere giuristi del presente consapevoli, capaci di immaginare il futuro, di partecipare creativamente alla costruzione del futuro.
In che modo dall’Europa medievale si dipana la cultura giuridica che conduce sino al diritto vigente?
L’Europa del diritto, per citare il titolo di uno dei lavori monografici più noti di Paolo Grossi, a cui abbiamo dedicato una specifica attenzione nel nostro dialogo, si sviluppa, lungo una linea in cui si individuano tre tempi storici: medioevo, modernità, posmodernità. Il primo di questi tempi si svolge nel segno di un diritto in cui è assente quel soggetto che affermerà la sua presenza protagonistica in età moderna, ossia lo Stato. Il Principe medievale si occupa solo di alcune zone del giuridico, zone che sono funzionali all’esercizio delle sue potestà, lasciando alla società e al diritto consuetudinario uno spazio notevole. È un paesaggio plurale di fonti del diritto quello che Grossi descrive nel suo lavoro, un paesaggio in cui il diritto è fortemente intriso di fattualità. Su questo sfondo, il passaggio evolutivo che prenderà forma a cavallo del Millennio, sarà quello che vedrà l’emergere, sulla scena, dei giuristi: nel contesto di un nuovo dinamismo economico e sociale, a tradurre i fatti economici e sociali in un ordine compiuto saranno giuristi, pratici e teorici, con un ruolo predominante di questi ultimi nell’Europa continentale. Qui è lo ius commune che prende forma e dà vita a una unità giuridica europea, una unità che non si incardina in una entità politica.
Con le codificazioni dell’Ottocento questa Europa del diritto si trasforma. È, soprattutto, l’ingresso del legislatore, in particolare nel campo delle relazioni fra privati (il codice per definizione è il codice civile), che attua la metamorfosi. Il diritto viene assorbito dallo Stato moderno e si identifica con la legge, mentre un solco viene scavandosi fra le due grandi subtradizioni del diritto europeo, quella di common law e quella di civil law, poiché, come ci ricorda Antonio Gambaro, per quest’ultima la scelta codicistica ha significato sganciarsi del tutto dal precedente diritto consuetudinario sia popolare sia sapienziale.
Il paesaggio giuridico muterà nuovamente nel corso del Novecento, quando l’Europa avvierà un nuovo processo verso una dimensione giuridica unitaria, un processo complesso che non muove dal basso ma che ha come protagoniste le Istituzioni europee e che vive le tensioni inevitabili fra unità e diversità dei diritti nazionali. Questa terza fase, che è quella in cui siamo pienamente immersi, vede, inevitabilmente, moltissime novità, ma vede anche un grande ritorno sulla scena del diritto, quello del giurista, il quale deve affinare nuovi strumenti tecnici per affrontare i problemi emergenti posti dalla costruzione di questa nuova Europa del diritto. Con Paolo Grossi abbiamo ad esempio ragionato dei problemi posti dal multilinguismo, un tema caro alla ricerca comparatistica che riguarda una delle sfide più importanti che oggi l’Europa sta vivendo e che ha notevoli riflessi in ambito giuridico. Costruire il diritto in un contesto di multilinguismo è operazione complessa perché le lingue del diritto esprimono mondi culturali e concettuali diversi, la cui armonizzazione implica un lavoro di elaborazione concettuale che va al di là di una mera attività di traduzione linguistica.
Paolo Grossi ha consacrato la sua vita allo studio dell’ordine giuridico medievale: qual è la sua lezione per i nostri giorni?
La vita nel diritto di Paolo Grossi è intensissima: lo studio del diritto privato comune, del diritto agrario, canonico, dei rapporti uomo-cose, le esplorazioni degli itinerari della modernità giuridica, le riflessioni sulla globalizzazione sono solo alcuni dei temi attraverso i quali Grossi ci ha dischiuso un modo nuovo di guardare al diritto.
Paolo Grossi è un innovatore, uno dei Maestri che hanno contribuito ad aprire la mente dei giuristi verso il reale, conducendoli a superare la prospettiva stretta del diritto che si esaurisce nella dimensione potestativa e formale, inducendoli a rivedere l’idea astratta delle regole giuridiche come mondo isolato dal contesto e dai processi soggettivi della cognizione, della interpretazione, a superare la visione del diritto come realtà assoluta, del diritto che si incarna in modelli ideali, esportabili in diversi paesi mediante meri processi di imitazione.
Nel reale il diritto non scritto (il diritto muto, direbbe Rodolfo Sacco, altro grande innovatore del Novecento giuridico) è importantissimo, nel reale la possibilità di dissociazione fra regole scritte di carattere autoritativo e controregole fattuali è continua, il filtro dell’interpretazione è un fatto fisiologico, essendo acclarato che il significato oggettivo e unico non esiste. Nel reale il diritto è tale perché è effettivo.
È un itinerario culturale ricchissimo, entro le dimensione del reale nel diritto, quello che Paolo Grossi con il suo lavoro di studioso ha tracciato, così restituendo al fenomeno giuridico la sua cifra di interezza e di componente centrale dei processi storici, che si distende e si realizza nel tempo e nello spazio.
Alla luce del suo passato, come è destinato a cambiare il diritto del futuro?
Siamo in un tempo di transito. Il futuro è già qui e incide nel mondo del diritto attraverso una realtà sociale, economica, tecnologica segnata da rapidissimi movimenti e mutamenti, che vive entro dinamiche globali.
Questa realtà, che ha preso il sopravvento nel campo del diritto, ci conduce al confronto con mondi giuridici lontanissimi ma presentissimi nei canali della globalizzazione, come il mondo cinese che frequento da oltre trent’anni. Questo confronto non si può più rimandare, non solo nell’ottica della prospettiva del dialogo fra gli ordinamenti, ma soprattutto per poter assolvere al cómpito, gravossisimo, dell’elaborazione di regole comuni, condivise ed efficaci, per i grandi problemi globali, primo – forse – fra tutti quello della tutela dell’ambiente. Qui la conoscenza del passato può fare la differenza e incidere davvero sul diritto del futuro: il passato a noi più prossimo, quello della modernità giuridica, è stato segnato da una prospettiva che, sul presupposto della negazione di una tradizione giuridica degna di questo nome negli ordinamenti non occidentali vede questi ultimi come meri ricettori passivi di modelli giuridici veicolati dall’Occidente, modelli ideali forieri di modernità. Oggi sappiamo che quella prospettiva monodirezionale di legal transplants non può funzionare, sappiamo che è fondamentale stabilire un dialogo sul piano culturale prima ancora che tecnico, perché il diritto non è solo un’architettura tecnica e razionale ma è incarnazione di storicità.
Come ci ricorda Paolo Grossi nel dialogo sulle Grammatiche del diritto: “Oggi, è necessario sapersi misurare, a ogni livello, con una pluralità di culture cercando di costruire una realtà autenticamente globale, che sarà tale solo se riesce a serbarsi autenticamente multi-culturale”.
Marina Timoteo insegna Diritto privato comparato nell’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni: Il contratto in Cina e Giappone nello specchio dei diritti occidentali (Cedam, 2004), Circolazione di modelli e riforme giuridiche: il caso est-asiatico (Bonomo editore, 2005), La difesa di marchi e brevetti in Cina. Percorsi normativi in un sistema in transizione (Giappichelli, 2014).