
Come si sono evoluti i termini del costituzionalismo?
Il costituzionalismo è una corrente di pensiero sorta con le rivoluzioni liberali del XVII e del XVIII secolo (la Rivoluzione inglese del 1688, quella francese del 1789 e quella americana sfociata nella dichiarazione di indipendenza del 1776). Come tale, le sue idee non sono immutabili o perfettamente coerenti l’una con l’altra, ma presentano invece molteplici sfumature che evolvono al variare del momento storico. In fondo, fin dalla sua fondazione il costituzionalismo ha unito principi e ideali tra loro potenzialmente contrastanti (come, ad esempio, libertà ed eguaglianza). Non a caso, per lungo tempo si è indugiato sulla distinzione tra un costituzionalismo di matrice anglosassone (volto a garantire la libertà e la proprietà degli individui, così come le formazioni sociali e i corpi intermedi e, dunque, il pluralismo nelle sue diverse proiezioni) e uno di stampo giacobino (diretto a valorizzare l’eguaglianza dei consociati, l’unità del corpo politico e la sua legittimazione democratica). I contenuti di questa dottrina politica si sono progressivamente arricchiti oltre la matrice originaria. Le grandi organizzazioni di lavoratori hanno portato all’innesto del principio laburista nella cornice del costituzionalismo liberale e all’inclusione, nella sfera pubblica, delle grandi masse che prima erano ai margini della comunità politica. Il conseguente allargamento del suffragio ha consentito la nascita di nuove generazioni di diritti: se, fino alla fine del XIX secolo, questi coincidevano con le libertà negative (che pongono un divieto di interferenza, da parte del potere pubblico, nella sfera individuale), nel XX secolo si è assistito alla genesi dei diritti politici (il diritto di voto a prescindere dal censo, il diritto di associazione in partiti e sindacati), sociali (che consistono in prestazioni positive da parte dello Stato, come il diritto a ricevere cure gratuite, il diritto all’istruzione, alla previdenza e alla assistenza sociale). Anche il principio di eguaglianza è andato rinnovandosi: esso non consiste più nel mero divieto di trattamenti privilegiati o discriminatori (eguaglianza formale), ma assume anche un significato promozionale, di rimozione degli ostacoli che impediscono di fatto lo sviluppo della personalità individuale (eguaglianza sostanziale). Questi nuovi contenuti sono poi sfociati in un profondo ripensamento dell’assetto istituzionale, chiamato a soddisfare queste importanti promesse di emancipazione
rivendicate da movimenti riconducibili a famiglie ideologiche non sempre vicine al costituzionalismo (come il marxismo). Da qui, dunque, non solo la progressiva ascesa del controllo di costituzionalità e della giustizia costituzionale, volti a garantire il rispetto, da parte della legge, dei principi e dei diritti codificati nelle diverse Costituzioni, ma anche l’attenzione per un’organizzazione del potere politico capace di realizzare efficacemente, in chiave democratica, i valori del costituzionalismo.
Quali parole incarnano maggiormente le radici storico-culturali della nostra Carta?
Le parole del costituzionalismo ritornano nella nostra Carta fondamentale. Sono ovviamente inclusi i diritti, nelle diverse declinazioni sopra citate (art. 2, artt. 13- 51, Cost.), l’eguaglianza (formale e sostanziale, art. 3 Cost.), il lavoro (artt. 1-4 Cost.), l’assetto democratico-rappresentativo delle istituzioni politiche (artt. 1, 55-100 Cost.), l’apertura internazionale (come limite alla sovranità nazionale: art. 11 Cost.), il pluralismo (nelle sue diverse dimensioni: politica, sociale, territoriale: art. 7-8, 18, 39, 49, 114-133 Cost., ad esempio), la giustizia costituzionale (art. 134-138).
Nel discorso sulla nostra Costituzione vanno fatte però alcune precisazioni, anzitutto in relazione ai diritti fondamentali, oggi al centro dibattito per le limitazioni di molte situazioni soggettive dovute all’emergenza pandemica. È necessario, infatti, ricordare che la nostra Costituzione non accoglie una prospettiva meramente individualista, capace di richiedere sempre e comunque l’integrale realizzazione delle pretese soggettive. In altri termini, la nostra Costituzione non tutela l’individuo astratto ma la persona concreta, che esercita i propri diritti secondo responsabilità nei diversi rapporti sociali ove svolge la propria personalità. Questa considerazione porta a due conclusioni: anzitutto, nessun rapporto sociale può dirsi invisibile alla Costituzione (non a caso, il titolare dei diritti individuali muta al varare del contenuto del diritto e del contesto di riferimento: la Costituzione protegge il cittadino, il lavoratore (anche se giovane o anziano), il figlio, lo studente, la donna lavoratrice, l’inabile al lavoro, il disoccupato, lo straniero che non può esercitare le libertà democratiche nel proprio paese d’origine, il proprietario, e così via). Inoltre, quando vi è un conflitto tra due diritti, spetta ai poteri democraticamente legittimati trovare una sintesi politica e così realizzare un bilanciamento ragionevole tra le due posizioni soggettive, sottoponibile, eventualmente, all’attenzione della Corte costituzionale. A questo proposito, non può essere dimenticato che la Costituzione italiana non pone solo diritti, ma richiede anche l’adempimento di inderogabili doveri di solidarietà politica, economica, e sociale (il dovere di pagare le imposte, ad esempio, art. 53 Cost., o il dovere di sottoporsi a trattamenti sanitari obbligatori, laddove vi sia pericolo per la salute collettiva, art. 32 Cost). Il principio solidaristico è, dunque, l’altro volto del principio personalista, che, come detto, valorizza la persona immersa nella società e nelle sue plurime relazioni.
Quali termini sono al centro del dibattito contemporaneo e quali parole condensano al meglio le prospettive future del costituzionalismo?
Tutte le parole del costituzionalismo, e la sua grammatica, sono in costante evoluzione sotto la spinta di trasformazioni profonde che interessano sia gli ordinamenti democratico-costituzionali, sia i loro ideali. Vi sono, però, delle parole che più di altre ne condensano le prospettive future: diritti, giustizia costituzionale, rappresentanza politica, costituzione economica e lavoro, sicurezza. Esse si associano a concetti che siamo chiamati a reinterpretare, per adattarli alle nuove sfide in cui si giocherà il futuro del costituzionalismo liberal-democratico.
Con riferimento ai diritti, oltre a quanto detto poco sopra, è particolarmente attuale il dibattito sui cosidetti nuovi diritti, cioè sulle nuove pretese che, non codificate in Costituzione (risalente al 1948), vanno emergendo nella società. Tutte le generazioni dei diritti fanno riferimento a lotte politiche che mirano alla affermazione di nuove pretese o nuovi bisogni, a seconda dell’evoluzione sociale. Si pensi, ad esempio, a cosiddetti diritti delle generazioni future, che mirano ad ottenere ora politiche di bilancio equilibrate, ora uno sviluppo sostenibile che non pregiudichi le risorse naturali o culturali del Paese; oppure si pensi ai nuovi diritti civili, come il diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali. A questo proposito, va chiarito un aspetto: i diritti, sono, di norma, a somma zero, nel senso che il riconoscimento di una o più situazioni soggettive conduce a una limitazione di altre o precedenti situazioni soggettive. Così, e per restare ai nostri esempi, non vi è dubbio che i diritti delle generazioni future possano restringere le risorse disponibili per le prestazioni da destinare alle generazioni “presenti”, o che il diritto alla genitorialità richieda comunque una regolazione di quegli aspetti che possono pregiudicare la dignità della donna e del minore (si pensi al problematico ricorso alla maternità surrogata). Da qui, allora, la necessità di prendere decisioni, ed individuare l’istituzione che meglio possa regolare queste nuove pretese. È il legislatore, legittimato dal principio di maggioranza dal principio rappresentativo, a trovarsi nella migliore posizione per valutare e (e ponderare) i diversi interessi coinvolti, o sono i giudici (anche costituzionali) che, sotto la spinta del caso concreto che si trovano a risolvere, devono rispondere alle nuove rivendicazioni? È possibile trovare un equilibrio che, in coerenza con le origini del costituzionalismo, riesca a garantire le attribuzioni dei due poteri (da qui l’importanza del concetto di separazione dei poteri, anch’esso fondamentale ai nostri fini)?
In questa prospettiva, anche la giustizia costituzionale è uno degli istituti che si pone al crocevia dei problemi futuri del costituzionalismo. A fronte del ruolo sempre più incisivo delle corti costituzionali nella definizione di questioni di interesse pubblico fortemente divisive, vi è un dibattito aperto sulle ragioni che legittimano i giudici a sindacare l’operato del legislatore in sistemi democratici maturi. E molto si discute, anche, sull’impatto che la giustizia costituzionale dovrebbe avere sugli sviluppi del diritto contemporaneo, attraverso un’interpretazione giudiziale dei principi fondamentali che è sempre più densa dal punto di vista morale. A questo proposito, fino a che punto è oggi possibile distinguere tra morale e diritto, tra le esigenze (anche individuali) di giustizia e la necessità di prevedere, in norme giuridiche, certe e predeterminate, le nuove istanze che vanno emergendo nella società?
Anche costituzione economica e lavoro sono parole cruciali per il futuro del costituzionalismo. Esse catturano aspetti diversi di un rapporto tra garanzie costituzionali e processi economici che è messo sempre più alla prova da profondi cambiamenti sia del diritto che appresta quelle garanzie, sia dei soggetti e le attività coinvolti in quei processi. Le costituzioni statali ormai interagiscono con un complesso sistema di norme sovranazionali ed internazionali che pongono ad esse dei vincoli giuridici esterni, con importanti ricadute sul nesso tra garanzia dei diritti sociali e politiche di bilancio. Per altro verso, specie sul fronte della disciplina del lavoro, le dinamiche della produzione industriale ed il mercato del lavoro sono in costante evoluzione. Il costituzionalismo contemporaneo, cosi, è chiamato a ripensare lo statuto giuridico della democrazia industriale, per dare ad essa una cornice che tenga insieme istanze democratiche e scelte economiche riducendo lo scarto profondo che si è prodotto tra esse.
A questo proposito, anche l’istituto della rappresentanza politica è oggi molto controverso: come strumento di governo democratico, è stata investita da una crisi profonda che ha portato a un suo ripensamento e a sperimentazioni importanti sul piano applicativo. In sede teorica, emergono paradigmi della rappresentanza che ritornano all’idea hobbesiana del rappresentato, e i suoi interessi, come risultato dell’attività rappresentativa. D’altro canto, la difficoltà sempre più ampia di trovare una sintesi tra i diversi interessi politici che costellano la società pluralista, ha messo in risalto la necessità di regolare la rappresentanza degli interessi e l’esigenza di rafforzare i processi decisionali democratici, in modo da migliorare l’efficacia dell’azione delle democrazie rappresentative rendendole “sensibili” (responsive) alle istanze dei governati. Peraltro, la diffusa sfiducia nella capacità della democrazia rappresentativa di rispondere alle nuove esigenze sociali ha ridato centralità agli istituti della democrazia diretta (i referendum nelle sue diverse declinazioni: consultivi, propositivi, abrogativi). Questi istituti, che saltano i processi di intermediazione tipici della democrazia rappresentativa, se da un lato consentono una realizzazione integrale della istanza di volta in volta fatta valere, dall’altro pongono rinnovati problemi in termini di possibili torsioni plebiscitarie.
In parallelo, si affermano modelli che difendono una nozione ampia di rappresentanza politica, sganciandola da meccanismi elettorali per applicarla a soggetti tradizionalmente estranei ad essa, dagli organi giudiziari ad organismi che in vario modo agiscono nella sfera pubblica, come le scuole o le organizzazioni di volontariato. In termini concreti, ciò trova riscontro nel tentativo di valorizzare alla composizione di soggetti politicamente rappresentativi attraverso il sorteggio o su base meritocratica.
La parola sicurezza, infine, esprime più idee, tutte di cruciale rilevanza per il futuro del costituzionalismo. Dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza; dalla sicurezza come limite interno all’applicazione del diritto alla sicurezza come esigenza politica che agisce da limite esterno al diritto: in tutte queste declinazioni, l’idea di sicurezza e il suo ruolo nel costituzionalismo vanno ripensati per modulare la natura e l’intensità di una richiesta di protezione rivolta allo Stato alla quale soprattutto in alcune nuove dimensioni – quella digitale, quella ecologica, quella epidemica – lo Stato non riesce a dare risposte adeguate, perché soggetto a condizionamenti e processi che non è sempre in grado di governare. Da qui anche l’importanza della integrazione sovranazionale, una nuova sfida che il costituzionalismo, storicamente sviluppatosi su base nazionale, dovrà necessariamente affrontare.
Corrado Caruso insegna Diritto costituzionale nell’Università di Bologna. È stato assistente di studio della Corte costituzionale (2017-2021) e visiting researcher nella Yale Law School (2010). Redattore di «Quaderni costituzionali», ha pubblicato Il governo dei numeri. Indicatori economico-finanziari e decisione di bilancio nello Stato costituzionale (con M. Morvillo, il Mulino 2020).
Chiara Valentini è ricercatrice in Filosofia del diritto nell’Università di Bologna. È stata «Ramon y Cajal Fellow» nel Dipartimento di Diritto della Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e «Max Weber Fellow» nell’European University Institute. Tra le sue pubblicazioni: Le ragioni della costituzione. La Corte Suprema americana, i diritti e le regole della democrazia (Giappichelli, 2011).