“Godard: Fino all’ultimo respiro” di Ivelise Perniola

Prof.ssa Ivelise Perniola, Lei è autrice del libro Godard: Fino all’ultimo respiro, edito da Carocci: che importanza riveste, nella storia del cinema, l’opera prima di Jean-Luc Godard?
Godard: Fino all'ultimo respiro, Ivelise PerniolaIl film di Godard, Fino all’ultimo respiro, girato nell’estate del 1959, ha cambiato la storia del cinema, dal momento che ha rivoluzionato il linguaggio e il costume allo stesso modo, ponendosi quindi come un’opera trasversale. Basti pensare a come questo film abbia influenzato autori come Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Martin Scorsese, Brian De Palma, sino ad arrivare a Quentin Tarantino e Luca Guadagnino. Inoltre, Fino all’ultimo respiro segna, insieme a I quattrocento colpi di François Truffaut, il momento di inizio della Nouvelle Vague, un movimento rivoluzionario per la storia del cinema, dal momento che questa nuova generazione di registi, che proveniva dalle fila della critica dei “Cahiers du Cinéma” elabora un nuovo linguaggio caratterizzato da un abbassamento dei costi di produzione, dall’utilizzo di mezzi di ripresa leggeri, dall’introduzione del sonoro in presa diretta e da una freschezza tematica attribuibile alla giovane età di questi protagonisti del nuovo cinema, che avevano tutti tra i 25 e i 30 anni al massimo. Il termine stesso ‘Nouvelle Vague’ venne coniato da una giornalista francese all’interno di un’inchiesta di carattere sociologico sulle caratteristiche della nuova gioventù, disimpegnata politicamente e affascinata dai nuovi mezzi di consumo e dalla nuova politica culturale proveniente principalmente negli Stati Uniti. Inoltre Godard, al suo debutto nel lungometraggio, opera una rivoluzione linguistica attraverso l’introduzione del jump cuts, ad esempio, ovvero un taglio di montaggio improvviso in cui viene tagliata la parte centrale della sequenza, creando nello spettatore un senso di disorientamento temporale e spaziale; dopo il film di Godard questa tecnica entra a far parte della storia del cinema, anche se è simpatico ricordare come il regista francese abbia più volte sostenuto che il salto del montaggio non fosse stato ascrivibile ad una precisa scelta di stile, quanto piuttosto alla necessità di tagliare la durata del film per farlo rimanere entro i novanta minuti richiesti dal produttore. Infine non possiamo dimenticare che con questo film, Godard lancia nel firmamento delle star francesi il grande Jean-Paul Belmondo, impegnato nel suo primo ruolo da protagonista.

In quale clima sociale e culturale è nato il film?
Il film nasce in un periodo di boom economico, in cui le istanze giovanili diventano sempre più urgenti e al centro dell’agenda mediatica e politica del paese. Siamo nel pieno dei “trenta gloriosi”, secondo la fortunata definizione dell’economista Jean Fourastié, ovvero i trent’anni (1946-1975) in cui la crescita economica, demografica e culturale sembra pervasiva e inarrestabile. Investimenti e manovre economiche vengono promulgate con il fine di rivalutare la moneta francese. Nel 1958, il governo decide di creare il nuovo franco in modo tale che a cento vecchi franchi corrispondesse un nuovo franco, aiutando in questo modo la moneta a riacquisire potere d’acquisto nei confronti del dollaro americano. Le grandi città diventano sempre più popolose, mentre le campagne perdono progressivamente abitanti e manodopera; più di sette milioni di Francesi cambiano comune di residenza tra il 1954 e il 1962. Tre agricoltori su dieci spariscono tra il 1954 e il 1962. I lavoratori del settore secondario e terziario vedono salire i loro salari e quindi aumentano moderatamente i risparmi e fortemente le spese destinate al tempo libero. La crescita industriale è apparentemente inarrestabile, tutti i settori produttivi vedono aumentare investimenti e guadagni. Come avveniva in quegli stessi anni in Italia, anche in Francia, il consumo di elettrodomestici aumenta vertiginosamente e anche l’industria automobilstica riceve un forte impulso. L’automobile sportiva e la casa ricca di comforts diventano gli obiettivi non più dell’élite ma anche della media e piccola borghesia. Questa tendenza verso il consumo è leggibile anche all’interno del film di Godard ed è una delle ragioni del suo successo al botteghino, dal momento che i due protagonisti, Michel e Patricia, incarnano perfettamente le aspirazioni dei giovani francesi. Nel frattempo in Francia era tornato al potere il generale De Gaulle (nel film c’è anche un riferimento alla storica visita a Parigi di Eisenhower nel settembre del 1959) e la questione della guerra di indipendenza dell’Algeria diventava sempre più pressante. Tuttavia le nuove generazioni si dimostrano disinteressate alle questioni politiche e attratte invece dalla moda e dai divertimenti provenienti dagli Stati Uniti. Il cinema e le sale da ballo sono i luoghi più frequentati, mentre il divario generazionale si fa sempre più evidente. Godard, proveniente da una facoltosa famiglia franco-svizzera, intercetta, forse anche un pò suo malgrado questa rivoluzione in atto. Dal punto di vista culturale è invece molto forte nel film l’influsso della filosofia esistenzialista e di quello che all’epoca era l’intellettuale più importante di Francia, ovvero Jean-Paul Sartre. I tempi morti, le conversazioni sull’arte e sull’amore, i sillogismi di cui si fanno latori Michel a Patricia sono l’espressione più evidente del clima esistenzialista che permeava la gioventù francese più colta, di cui Godard è sicuramente fu esponente di spicco. Però, occorre aggiungere che è nel sorprendente mescolamento di cultura alta e cultura bassa che il film trova la sua cifra più originale e le ragioni del suo successo.

In che modo il film ha rivoluzionato il cinema?
Fino all’ultimo respiro ha rivoluzionato il cinema al pari di altri titoli della Nouvelle Vague, come I quattrocento colpi di François Truffaut o Hiroshima, mon amour di Alain Resnais. Sicuramente è un film che ha in sè un’idea sul mondo e un’idea sul cinema, che secondo Truffaut sono le due caratteristiche che un film deve avere per entrare nel novero dei capolavori. Il film viene girato con una sorprendente povertà di mezzi: camera in spalla, niente luci poiché i cineflash non esistevano all’epoca, e niente suono, il sistema Nagra in sincrono non era ancora entrato a regime. Tuttavia Godard fa di necessità virtù e trasforma un limite tecnico ed economico in un rivoluzionario vantaggio estetico. L’obiettivo primario di Godard è la velocità delle riprese, al fine di rimanere nel limitato budget consentito; nonostante numerose interruzioni, il film viene girato in sole tre settimane e numerose invenzioni tecniche sono state elaborate proprio per rimanere nei tempi previsti. Per girare il film viene utilizzata una macchina da presa leggera, economica e molto maneggevole, la Cameflex, messa in commercio nel 1947 dalla fabbrica Coutant-Mathot. Tuttavia, la macchina da presa ha il difetto di essere molto rumorosa in fase di ripresa e quindi Godard decide di girare il film senza suono in sincrono, senza microfoni, come se fosse un film muto, come nel cinema del neorealismo italiano, questa necessità si trasforma in virtù dal momento che, in questo modo, il regista può dare indicazioni verbali ai suoi attori, fare suggerimenti, parlare ad alta voce e, molto spesso, costruire il dialogo attraverso una disarmante improvvisazione. Il film risulta così fresco e innovativo. L’estetica del film si ispira direttamente al reportage e molte sequenze, vengono girate con la tecnica della macchina da presa nascosta, una candid camera ante litteram alle costole dei due consapevoli interpreti. Godard non utilizza teatri di posa, ma gira tutto in esterni riconoscibili, è presente tutta la Parigi monumentale ripresa con sguardo innamorato, e in interni reali, dagli spazi angusti e difficoltosi per il movimento di una troupe cinematografica per quanto ridotta ai minimi termini. Sicuramente uno dei colpi di genio sui quali si è maggiormente scritto è la forma rivoluzionaria del montaggio. Il film consta di 470 inquadrature complessive, mentre un film di analoga durata del periodo era in media formato da 600-700 inquadrature. L’effetto che lo spettatore ottiene è quindi quello di una rapidità e velocità dell’azione, favorita anche, come abbiamo detto dall’utilizzo dei jump-cuts, percepiti dai critici dell’epoca come errori dovuti all’inesperienza del regista dietro la macchina da presa e diventati poi una marca stilistica tipicamente godardiana.

Quali erano la visione filosofica di Godard e la sua concezione del cinema?
Godard, come tutti gli esponenti della Nouvelle Vague, era un cinefilo, anzi potremmo sostenere a ragione che la cinefilia diventa uno stile di vita proprio con la Nouvelle Vague. I film di cui si nutrono il giovane Godard e i suoi sodali sono principalmente i b-movies americani, i film di genere costruiti su strutture narrative e formali piuttosto convenzionali, ma dotati di momenti improvvisi in cui la forza dell’immagine e il senso nascosto del fuori campo si possono trasformare in una vera e propria ossessione. Fino all’ultimo respiro è dedicato alla Monogram, che era appunto una casa di produzione di film di serie b: tutto il film di Godard è ricco di rimandi e di riferimenti a questo cinema. Basti pensare alla gestualità di Michel, alle buffe imitazioni dei divi di solito incastrati in ruoli di gangster e di fuorilegge tormentati, Humprhey Bogart in primis. Dal punto di vista filosofico invece il film denota una grande passione del regista per la speculazione intellettuale. Fino all’ultimo respiro, in tal senso, è ricco di citazioni e di inserimenti testuali all’interno del film, talvolta anche ironicamente fuorvianti e furiosamente contraddittori, in grado di rimescolare le carte e riportare il film verso una coscienza politica che molti dei suoi detrattori gli hanno costantemente negato. Il primo lungometraggio di Godard è politico nella misura in cui la politica è riflessione filosofica sulla contemporaneità. Il critico Luc Moullet lo ha definito un’opera sofista, nella quale i personaggi oscillano tra condotte opposte e contraddittorie, evidenzando il loro smarrimento esistenziale. Anche questo atteggiamento filosofico è espressione dello spirito dei tempi e del momento in cui l’opera è stata realizzata. Poi, certamente, il film è anche ricco di rimandi all’esistenzialismo sartriano e da questo punto di vista, filosofia e cinefilia hanno nuovamente modo di incontrarsi: l’essere umano al centro della speculazione filosofica, liberato dalla coatta inclusione all’interno di schemi ideologici e sociali totalizzanti, è al centro dell’approccio esistenzialista. L’esistenzialismo godardiano ha una doppia matrice, da un lato l’influenza del pensiero di Jean-Paul Sartre e di Maurice Merleau-Ponty che ha permeato la cultura francese del secondo dopoguerra, dall’altro il cinema noir americano, modello indiscusso del debutto godardiano che è impregnato di personaggi persi e nichilisti che condividono molti tratti con il modello esistenzialista. Fino all’ultimo respiro è un film profondamente sartriano e di ciò se ne rese conto lo stesso intellettuale francese il quale accolse con ammirazione il debutto di Godard e con il quale quest’ultimo strinse una lunga e prolifica amicizia intellettuale che durò sino alla morte del filosofo nel 1980, in primo luogo per l’esaltazione della libertà individuale, per quanto Michel sia disgustato dal mondo, ‘nauseato’ dalla vita, cerca di contrastare la tendenza nichilista con l’affermazione della propria libertà di scelta, anche qualora questa libertà lo dovesse condurre direttamente alla morte. Successivamente Godard abbandonerà il modello esistenzialista per avvicinarsi maggiormente alle teorie dello strutturalismo, avvicinandosi al gruppo di intellettuali che ruotavano intorno alla rivista ‘Tel Quel’ come Roland Barthes e Julia Kristeva.

Quali sono le ragioni di un successo planetario?
Fino all’ultimo respiro è un’opera che non smetterà mai di favorire vocazioni alla regia, proprio per la sua straordinaria capacità di rimanere sempre attuale e suscettibile di inedite e nuove letture. Il film enoltre emana un fascino particolare, dettato dalla straordinaria congiuntura in cui venne realizzato. I due giovani interpreti, Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg, lasciano impressi sulla pellicola imperituri e bellissimi volti in grado ancora di emanare un magnetismo seduttivo, valorizzato dal bianco e nero contrastato della pellicola. Il fim continua nell’arco degli anni ad essere riproposto nelle sale d’essai di tutto il mondo, ogni nuova edizione del film riporta l’attenzione della critica sulla centralità di quest’opera nella storia del cinema; con i suoi quattrocentomila biglietti venduti solo in Francia, al momento della sua uscita, e con il dibattito critico inesauribile e inesausto, il debutto di Godard è entrato a pieno diritto nella storia del costume e del cinema occidentale. La cultura pop e la deriva postmoderna delle arti non hanno tardato a mettere le mani sopra quest’opera multiforme, attraverso citazioni, riprese, omaggi e remake, come quello realizzato nel 1983 da Jim McBride e interpretato da un giovane Richard Gere, nei panni di Michel e da una spregiudicata Valérie Kaprisky in quello di Patricia. La recente morte di Godard inoltre non farà altro se non accrescere ulteriormente l’aura mitica della sua opera di debutto. Nel film c’è una frase, pronunciata dallo scrittore Parvulesco, che dice all’incirca: “La mia massima aspirazione è divenire immortale e poi morire”, ecco sicuramente con questo film Godard si è ritagliato meritoriamente la sua fetta di immortalità.

Ivelise Perniola insegna Storia del Cinema e Cinematografia Documentaria presso l’Università degli Studi Roma Tre. È co-direttrice dal 2018 della rivista di fascia A: “Agalma. Rivista di studi culturali” (Mimesis). Ha pubblicato le seguenti monografie: Godard. Fino all’ultimo respiro (Carocci, 2022), Gillo Pontecorvo o del cinema necessario (ETS, 2016), L’era postdocumentaria (Mimesis, 2014), L’immagine spezzata. Il cinema di Claude Lanzmann (Kaplan, 2007), Oltre il Neorealismo. Documentari d’autore e realtà italiana del dopoguerra (Bulzoni, 2004), Chris Marker o del film-saggio (Lindau, 2003 – seconda edizione aggiornata 2011). Ha pubblicato numerosi saggi sul cinema documentario italiano e internazionale.

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