
Secondo lo studioso McKenzie i fattori dell’interpretazione sociale del testo non possono essere sottovalutati, ma bisogna studiarli attraverso una lente di ingrandimento che egli definisce “sociologia del testo”. La proposta di McKenzie è di guardare alla bibliografia come scienza aperta a nuove forme di studio, consentendogli un’evoluzione naturale. Secondo l’autore, infatti, essendo la sociologia la disciplina che «riconosce la verità dello sviluppo, della struttura e della funzione sociali», essa può intervenire nella comprensione di tutte le interazioni e le motivazioni umane che i testi «implicano ad ogni stadio della loro produzione, interazione, trasmissione e fruizione. Ci avverte circa il ruolo che le istituzioni e le loro complesse strutture svolgono nel momento di modificare l’interazione sociale, passata e presente».
Perché il libro come media? Lo storico Darnton afferma che ogni qualvolta l’essere umano si è avvicinato a un libro sono state prodotte due forze di medesima intensità: una è quella che vincola il lettore al testo e l’altra è quella che dà libertà al lettore di rimaneggiare il testo stesso. Il libro in quanto oggetto culturale è al centro di questo piccolo mondo che è stato qui ricostruito, un mondo che interessa ai sociologi poiché quando esso si manifesta in pubblico per opera di un creatore produce un certo numero di effetti nel mondo sociale; effetti che interessano anche gli storici, i bibliotecari, i filologi, i critici.
Come si sono evoluti i supporti per la scrittura?
L’introduzione degli alfabeti fonetici risalenti al 1000 a. C. è stata necessaria agli sviluppi delle comunità relazionali, ove la comunicazione permetteva soprattutto gli scambi commerciali e l’alfabetizzazione era destinata non solo alle élite religiose o di governo, ma anche alle cosiddette classi subalterne. Vale la pena di ricordare un ulteriore avanzamento nella tecnica di conservazione e produzione testuale avvenuto intorno al III sec. d. C. quando trovò stabilità la forma del “codice” a sfavore del rotolo. Più maneggevole da usare e da conservare, il codice poteva essere sfogliato, la separazione in paragrafi e la distanza tra le parole rendevano la lettura più lineare. Il codice è un longevo supporto di memoria, un oggetto di studio di interesse per codicologi, bibliografi e storici del libro. Con l’invenzione del torchio di Gutenberg si vive un lungo periodo in cui il libro a mezzo stampa cerca una sua istituzionalizzazione e stabilità. Sono trascorsi circa sei secoli ed il libro cartaceo che ha ereditato i caratteri essenziali per la sua maneggevolezza dalle intuizioni di Aldo Manuzio, resta ancora il nostro supporto migliore in cui conservare la memoria. Diciamo che però è cambiata la pratica dello scrivere: l’atto dello scrivere è diventato sempre più quotidiano per via delle comunicazioni interpersonali. Chat, social network, e-mail sono tutti caratterizzati dalla dimensione testuale e quindi del visivo. Se la stampa a caratteri mobili ha impiegato circa 3 secoli per stabilizzarsi, le tecnologie digitali hanno avuto uno sviluppo certamente più rapido. In principio c’era il computer, ma le sue caratteristiche tecniche non erano aperte a tutti. Lo studioso dei media Bolter dice che «individui e culture forgiano tecniche e dispositivi per i loro scopi» (Bolter, 2001): l’introduzione ad esempio delle interfacce user-friendly o le rappresentazioni in WYSIWYG (What You See Is What You Get) o ancora la simulazione del foglio sono tutti piccoli tratti di una ri-mediazione necessaria della tecnologia della scrittura digitale. Le neo-scritture digitali, dunque, rappresentano un fenomeno di continuità con il passato, non senza una nuova mediazione dovuta al passaggio dalla fisicità della scrittura data dalla carta (o da supporti analogici) al digitale, poiché come dice Roger Cartier in questo passaggio è mutato il modo di «organizzare, strutturare e consultare la parola scritta», prima caratterizzata per stabilità e persistenza, adesso per gli attributi di flessibilità e iperattività.
Come si sono modificate nel corso della storia le abitudini di lettura?
La lettura non è sempre stata una questione privata. La lettura era un fatto collettivo, le sacre scritture venivano lette ad alta voce e prima della rivoluzione di Gutenberg non si possedevano bibbie in casa. E la bibbia era il libro più diffuso. La lettura diventa una pratica sociale a base individuale dopo l’introduzione della stampa a caratteri mobili o all’indomani dell’introduzione del torchio di Gutenberg ma si tratta di un processo lento a cui contribuiscono differenti fattori e non sempre per un rapporto causa-effetto. La lettura privata e la privatizzazione della lettura sono strettamente legate al formato del libro così come ce lo ha consegnato Aldo Manuzio: una stampa in ottavo, dodicesimo o in sedicesimo facilitava la maneggevolezza del libro che veniva fruito generalmente in condizioni di solitudine. La pratica della lettura è del tutto simile a quella dell’ascolto della radio a cristallo, quando si fruiva dell’offerta attraverso le cuffie. L’ascolto collettivo diventerà pratica comune a seguito delle innovazioni sui supporti radiofonici, unitamente a fattori di maggiore urbanizzazione e mobilità dei paesi occidentali, oltre alle pratiche di condivisione mediatica nel contesto casalingo.
Non molto diverso è quanto avviene con la lettura “collettiva” resa possibile dal rapporto che è sotteso tra società e tecnologia. La nostra interazione con i testi, narrativi, scientifici o informativi, valica il confine del proprio salotto o di una corsa in metropolitana per una condivisione attraverso le possibilità offerte dalla tecnologia secondo un continuum pubblico-privato-intimo che Bakardjieva definisce «socializzazione immobile». Ma non solo, esistono i novelli commonplace book come Goodreads, Anobii, Betwyll o Wattpad che ci permettono la social reading. Si tratta di un’evoluzione del club di lettura che trasforma l’atto della lettura da individuale e privato a comunitario e pubblico: la condivisione della pratica del commento a margine, delle proprie opinioni, dell’annotazione delle citazioni su queste applicazioni specifiche.
Quali nuove forme di fruizione del testo consentono le tecnologie digitali?
Il digitale e il web portano un carico di pratiche sociali che afferiscono alla sfera della condivisione, della partecipazione, dell’inclusione che non possono essere sottovalutate nell’ambito della ricerca scientifica. Gli scenari introdotti sono quelli delle scritture stratificate e collettive, dalla nascita di generi ibridi di puzzle narrativi. In principio era l’ipertesto come imitazione del pensiero umano e come colonna portante del web. Ma la scrittura digitale non può limitarsi alla descrizione dei possibili percorsi ipertestuali: la tecnologia del web ha avviato pratiche di condivisione e partecipazione su piattaforme più o meno note di scrittura collettiva e collaborativa come Wikipedia ma anche in piattaforme come Wattpad dove si condivide anche l’esperienza della lettura.
Quali nuovi modelli di conservazione e condivisione della conoscenza ha prodotto la rivoluzione digitale?
Servono in prima istanza persone formate alle nuove sfide che il digitale impone. La questione è innanzitutto centrale a livello della formazione universitaria. Ripensare alla figura degli umanisti, abbracciando la contaminazione con altri settori della ricerca scientifica come l’informatica, non solo costituisce la base per un sapere innovativo, ma permette di creare professionisti in grado di governare il cambiamento. Oggi la fruizione di un prodotto digitale è quasi sempre legata alla connessione internet, l’introduzione dei sistemi di comunicazione mobile e dello smartphone in modo particolare ci permette di essere costantemente immersi in una bolla comunicazionale, dove i confini del pubblico/privato sono frastagliati, sfumati. In questa dimensione la nostra concezione di oggetto digitale non è più intesa come mera riproduzione dell’analogico, ma altresì come materia prima per la creazione di nuovi oggetti con regole e possibilità diverse. Siamo oramai abituati ad una malleabilità della materia digitale che deve permetterci di poter scomporre, ingrandire, analizzare nei dettagli e che può contenere altre informazioni a loro volta manipolabili e condivisibili. Il rapporto che il mondo del digitale ha con le tecnologie legate ad internet ci impone anche una riflessione sui sistemi di conservazione su quanto stiamo producendo (e abbiamo prodotto) e su come renderlo reperibile nel mare magnum del web. Il reperimento delle prime informazioni on line è spesso caratterizzato da un’elevata componente di serendipity che se da una parte produce conoscenza inaspettata, dall’altra parte dà senso di frustrazione e scollamento con quanto prefissato all’inizio della nostra ricerca. In questo contesto di caotica-serendipità io penso che sia doveroso riflettere su quanto sia indispensabile che i futuri custodi delle memorie collettive posseggano piena coscienza degli strumenti di trasmissione del sapere. Domenico Fiormonte parla di Digital Humanities in termini di «media consciousness in a digital age», laddove stanno cambiando i formati della memoria bisogna cambiare anche il rapporto che abbiamo con documenti e i supporti. Certamente la questione non riguarda quella della creazione dell’uomo leonardesco, dotato della capacità di spaziare con competenze settoriali disparate e di sapere universale, bensì quella della formazione di un ricercatore dotato di capacità di lavorare in gruppo, avendo competenze di informatiche e di gestione dei dati. La grande digitalizzazione compiuta negli anni ha reso necessaria la convergenza di competenze differenti da un lato in ambito umanistico per quel che afferisce ai sistemi di catalogazione, inventariazione, organizzazione della conoscenza, e dall’altro in ambito informatico, per le tecnologie specificamente votate al web semantico con particolare attenzione rivolta naturalmente ai settori relativi al patrimonio artistico, letterario e culturale con un particolare riferimento alle Digital Libraries. Già nel 2001 Tim Berners-Lee annunciò il cambiamento di filosofia e quindi anche di struttura del web come lo si era conosciuto fino al quel momento; lo studioso prefigurava un processo di innovazione dello spazio reticolare in cui i documenti già esistenti e quelli che sarebbero nati nel futuro, collezionati nel grande archivio di Internet, sarebbero stati legati da rapporti semantici, ovvero messi in relazione tra loro grazie al loro contenuto. Nel 2001 Tim Berners-Lee ha iniziato a parlare di web semantico: dal cosiddetto web dei documenti si passerebbe dunque ad un web dei dati in cui i rapporti semantici tra gli oggetti permetterebbero il recupero delle informazioni e la comunicazione tra i diversi programmi, quali ad esempio i motori di ricerca, per comprendere il significato dei documenti. É in corso la trasformazione del Web di Documenti nel Web di Dati. L’uso dei metadati, “i dati sui dati”, si spinge proprio in questa direzione.
Il grande archivio di Internet, soprattutto con la conversione al web partecipativo, che custodisce al suo interno produzioni di ogni tipo documento, rende ogni giorno necessario necessario il passaggio dal web of document al web of data poiché già da diversi anni si discute sulla questione della conservazione ottimale delle produzioni, troppo sensibili all’oblio. Il web of data risponderebbe alla domanda su quale memoria dovremmo conservare per le generazioni future, vista la grande produzione di testi, video ed immagini che caratterizza la nostra contemporaneità.
In secondo luogo, il web semantico permetterebbe la facile reperibilità da parte degli utenti dei documenti immersi nel “rumore di fondo” della rete, grazie dall’uso di linguaggi formali, vocabolari controllati ed ontologie. Il nucleo della questione è dunque la capacità del computer di comprendere gli oggetti e le relazioni che essi intrecciano tra di loro, chi meglio di un umanista può farlo? Si tratta dunque di abbracciare un più ampio raggio di studi culturali transdisciplinari. D’altro canto una tale quantità di contenuti costituiti da testi e dati residenti nel web, e descritti attraverso marcatori che consentono un livello elevato di interoperabilità e di scambi, può permettere e sta permettendo anche la sperimentazione di metodologie e tecnologie di text mining e knowledge extract.
In che modo sono destinati a cambiare lo scrivere e il leggere nel prossimo futuro?
Se vogliamo analizzare le pratiche dalla lettura e della scrittura dobbiamo forse avere un a visione olistica e osservare come i consumi culturali si siano evoluti nel tempo. Ad esempio non possiamo sottovalutare la ricerca della serialità, il bisogno di condivisione con un gruppo di pari di quanto abbiamo fruito, la necessità della partecipazione, della collaborazione. Esistono una serie di pratiche e tratti culturali che permettono agli individui di relazionarsi ai nuovi media in un clima di convergenza culturale. La pratica della fanfiction è uno dei risultati del fandom, una pratica culturale di comunità di appassionati che divengono anche creatori di contenuti. Dalla fanfiction sono nati alcuni dei best seller più noti degli ultimi anni. Quindi il lettore scambia il suo ruolo con lo scrittore, il ricevitore diviene creatore. Gli spazi, in cui avvengono le pratiche di scrittura e lettura da parte di questi amateurs, sono social network o social media; quindi sono ambienti di comunicazione intensa e specialistica come nel caso di Wattpad. Assistiamo alla nascita di generi contaminati. L’ambiente comunicativo contemporaneo ci appare come caratterizzato da una straordinaria grandezza informativa in cui si trovano immersi il lettore e lo scrivente: un universo narrativo non lineare in cui creatore e spettatore si muovono componendo percorsi apparentemente inediti. Solo apparentemente poiché di quelle forme originali, che gli scrittori hanno dato ai testi dentro un sistema di generi, permangono i caratteri generali; mentre le industrie culturali hanno certamente influito a modificare aspettative e competenze dei lettori. Prendiamo il caso del vampiresco per citare uno degli esempi di come i generi siano mutati: dal gotico horror del Dracula di Stoker al fiction Twilight di Meyer dai toni senza dubbio più sentimentali, certa eredità della serie di un grande successo, Buffy l’ammazzavampiri. Vi è un’ibridazione tra i generi che avviene sovrapponendo frame narrativi derivati dai consumi del quotidiano su generi letterari originali: il pathos amoroso, l’esternazione della violenza, imprescindibilità della morte.
Molte piattaforme infine permettono la condivisione dei propri scaffali, permettono le recensioni di libri e infine – come nel caso di Wattpad – di commentare singole porzioni di testo. La monumentalità del testo viene messa in discussione, dunque, poiché un lettore qualunque, in uno spazio pubblico, può penetrare le pagine di un libro e spezzettarlo, scomporlo, commentarlo.
Il lettore è un po’ come il tamburino magico di Rodari, che sceglie di tagliare la membrana del suo tamburo per vedere con i propri occhi la magia contenuta al suo interno: il tamburino resta contento perché, anche se il suo strumento smette di incantare, suona lo stesso; così il lettore contemporaneo ha messo in discussione il ruolo magico dell’autore, guardando attraverso il libro e oltre esso, ma continuando a godere delle sue vibrazioni letterarie originarie, anche se trasformate dall’atto del lettore stesso.
Che ne sarà dei libri cartacei?
Il libro cartaceo al momento non teme certamente la “competizione” con altri supporti. Il problema dell’acquisto dei libri va al di là del suo supporto ed è da ricercarsi nelle nuove forme di web economy e dell’E-commerce che hanno profondamente cambiato le dinamiche d’acquisto per i lettori. Poi esiste un problema oggettivo in Italia di gap tra i cosiddetti lettori forti e quelli deboli o i non lettori. Il libro cartaceo è un oggetto culturale a cui attribuiamo dei valori specifici: per un lettore osservare la propria collezione, esponendola in casa o nel proprio studio, significa creare un frame rappresentativo di sé stesso. Le biblioteche sono considerate oggi come delle cattedrali perché dentro le biblioteche sono custoditi oggetti sacri: i libri. È bene aggiungere che ad un iniziale entusiasmo per l’e-book non vi è stata mai una vera inversione di tendenza. L’E-book insomma non ha soppiantato il libro cartaceo, come d’altronde il computer non ha distrutto la televisione. Diciamo che i mezzi di comunicazione, libro cartaceo, e-book, audiolibro, hanno bisogno l’uno dell’altro per vivere e funzionare. É un processo di integrazione e confronto tipico della ri-mediazione. In tal senso è interessante invece il ritorno ad una dimensione “uditiva”, dove vediamo che il consumo sempre crescente di audiolibri. L’audiolibro “mobile” consente al lettore/ascoltatore di fruire della narrazione anche in contesti non propriamente domestici, come l’automobile o la palestra, mentre si passeggia o persino riproporre pratiche di “lettura” oramai sparite come le letture collettive alla stregua di un disco di musica indie. Da questo punto di vista mi pare che si siano le basi per una riflessione sulle pratiche di consumo del libro inteso come contenitore di storie.
Claudia Cantale ha conseguito il Dottorato in Studi sul Patrimonio Culturale presso l’Università di Catania (DISUM – Dipartimento di Scienze Umanistiche), occupandosi di Digital Humanities nell’ambito dei beni culturali. Dal 2015 è cultore di materia della cattedra di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi al DISUM dove svolge ricerche e sperimentazioni sull’audience engagement e audience development per i musei e gli archivi. È socio fondatore di Officine Culturali, impresa sociale che si occupa della gestione e dell’educazione al patrimonio storico artistico.