
I filosofi greci trattarono di tutto, felicità, amore, morte, giustizia: su quale tema, a Suo avviso, raggiunsero l’apice della costruzione teorica?
Rispondere non è facile! Ma forse è sul tema della morte che hanno dato il meglio di sé: perché è riflettendo su questo argomento che i Greci hanno riflettuto sul senso dell’esistenza umana. Quale è il senso dell’esistenza umana? Il problema della morte non è tanto la morte in sé, ma il fatto che sembra rendere priva di valore la vita stessa. Come nel bellissimo verso di Omero: «come le foglie, così le stirpi di uomini». Che senso può avere un qualcosa che è destinato a finire? Tutta la riflessione dei greci, non solo i filosofi, si concentra proprio nel tentativo di offrire una risposta a questa domanda così inquietante. E, semplificando, poeti e filosofi si distinguono proprio per la risposta differente. Mentre i filosofi si sforzano di insegnarci a vedere l’ordine e la bellezza dell’universo che ci circonda per farci capire che anche la nostra esistenza è parte di questo spettacolo stupendo (e che dunque non è vero che siamo insignificanti), poeti come Omero e altri scrittori come Tucidide sembrano condividere l’idea che in realtà l’universo che ci circonda non è fatto per noi, che è qualcosa di indifferente e forse anche ostile: e allora diventa il compito di noi uomini ritagliarci uno spazio tutto nostro. E mentre combattiamo per costruire un mondo umano ecco che allora diamo prova del nostro valore, e mostriamo concretamente che la nostra esistenza non è insignificante. Dire quale sia la risposta più corretta è difficile, perché tutte e due hanno una qualche ragione da far valere. Ma almeno ci aiutano a comprendere meglio chi siamo, e la tensione tra desiderio di conoscenza e desiderio di azione che caratterizza l’esistenza degli uomini. Come osservavo prima, i greci sono interessanti quando ci aiutano a mettere a fuoco i problemi. Poi ognuno farà le sue scelte.
Qual era il segreto della felicità per i filosofi greci?
Avessero potuto guardare una nostra pubblicità i filosofi greci sarebbero rimasti inorriditi. Non ce ne rendiamo neppure più conto, ma molto spesso è proprio attraverso le pubblicità che passano le idee che condizionano il nostro modo di pensare. Così vale soprattutto per la felicità, visto che tutte le pubblicità non fanno che parlarcene (in fondo il loro messaggio è: ora sei triste e la tua vita non vale niente; ma se compri questa cosa – una macchina, un paio di pantaloni, un disco – tutto cambierà e tu finalmente sarai felice). Perché sarebbero inorriditi? Perché le pubblicità rivelano che per noi la felicità si risolve nel godimento di attimi intensi, di emozioni forti. Ma cosa ci vuole per provare simili emozioni? Poco a pensarci bene. Il vero problema è infatti un altro: non godere di qualche emozione forte, ma costruire una vita felice – una vita cioè soddisfacente, in cui uno realizza le proprie potenzialità. La filosofia greca è nata con l’obiettivo di aiutare gli uomini a raggiungere questo risultato. Non è una strada facile, perché molto spesso si tratta di avere il coraggio di modificare le proprie prospettive (una vita spesa nella ricerca della ricchezza o del potere, per un filosofo greco, è una vita buttata anche se uno riesce a diventare ricco o potente). Ma è una strada che vale la pena di percorrere.
Chi ritiene il maggiore filosofo greco e perché?
A prescindere dalle simpatie personali (ad esempio io sono un lettore appassionato dei sofisti, che non hanno goduto di buona stampa nel corso dei secoli), la risposta è obbligata: Platone. Perché ancora oggi la filosofia non è altro che un tentativo di rispondere ai problemi che per primo Platone ha posto sul tavolo. Di più, si potrebbe osservare che la filosofia contemporanea altro non sia che il tentativo di confutare Platone, mostrando che le sue risposte sono sbagliate: «renverser le platonisme», «rovesciare il platonismo» è il compito della filosofia contemporanea, come scriveva Gilles Deleuze. È un’idea che nasce con Nietzsche e che ritroviamo poi in autori tanto diversi quali Martin Heidegger o Karl Popper. Del resto, era l’obiettivo già di Aristotele… In parte questa ambizione è comprensibile, perché molte delle tesi più importanti di Platone, dall’insistenza sull’anima o sulla sua immortalità alla critica della democrazia, sembrano davvero incompatibili con il nostro modo di vedere le cose. E magari le teorie di Platone sono davvero sbagliate: il problema, però, è che nessuno è ancora riuscito veramente a «rovesciarlo». A una prima lettura sembra dire cose banali (e ricordo ancora la noia delle mie letture giovanili): ma ogni volta che si prova a ‘rovesciarlo’ ci si rende conto che lui aveva già previsto quella critica proponendo una replica insidiosa. Il confronto non finisce mai e non c’è niente di più appassionante per un filosofo di questa discussione a distanza con questo grandissimo pensatore.
Quanto dobbiamo del nostro pensiero alla filosofia antica?
Qui la risposta è invece semplice e mi si perdonerà la brevità. Lo ha detto benissimo Bernard Williams: «l’eredità lasciata dalla Grecia alla filosofia è la filosofia». Senza mai dimenticare che la filosofia è un esercizio strano: si occupa molto spesso di sollevare problemi che non hanno risposta, con buona pace dei suoi detrattori. Troveremo mai una risposta definitiva a domande come ‘che cosa è la giustizia?’ ‘quale è il senso della vita?’. Ma possiamo vivere senza porci queste domande?