
Questo libro è uscito in edizione originale francese l’autunno 2019 (col titolo Ti amo Francia. Les Italiens qui ont fait la France de Léonard de Vinci à Pierre Cardin) ed è stato presentato in anteprima alle Journées de l’Histoire di Blois in ottobre. L’edizione 2019 delle Journées de l’Histoire di Blois, create da Jack Lang quand’era sindaco di questa città della Loira, sono state interamente consacrate all’Italia. Dunque la presentazione del mio libro è stata l’occasione per affrontare l’insieme delle tematiche relative all’emigrazione italiana. Nel tradurre il testo in italiano, ho ampliato e adattato l’edizione originale francese, tenendo conto di nuove testimonianze e dei risultati delle mie continue ricerche sulle relazioni franco-italiane. Un libro è per me un lavoro continuo, fatto di studio e di ricerca, ma anche di percezioni e di sensazioni che si provano sul piano umano oltre che su quello puramente professionale. I miei libri sono in realtà inchieste giornalistiche, che cercano di superare le barriere dello spazio e del tempo. Attraverso le testimonianze che ricevo e le ricerche a cui mi dedico con passione, entro nei miei personaggi e ne scopro di nuovi. Si incontrano sempre persone capaci e desiderose di raccontare nuove storie e nuovi particolari.
Nell’introduzione a questo libro cito il corridore ciclista francese André Riolfo, molto legato alla sua Roquebrune, che mi ha detto: «Gli italiani hanno portato al ciclismo francese la volontà di sorpassarsi nei momenti più difficili. I ciclisti italiani che partecipavano alle competizioni sul suolo francese appartenevano spesso a famiglie di immigrati. Sapevano soffrire, sapevano battersi». Stavolta, rispondendo alla sua domanda, cito André Riolfo con un’emozione particolare: lo scorso aprile, all’età di 87 anni, ha tagliato il traguardo dell’ultima tappa del Tour della sua esistenza.
Penso d’aver scritto una sorta di «romanzo autentico degli italiani di Francia», i cui protagonisti si contano a milioni perché milioni di italiani hanno varcato le Alpi nel corso degli ultimi cinque secoli per lavorare in Francia e per integrarsi nel migliore dei modi in questo paese. Volevano integrarsi e ci sono riusciti. Quei bambini volevano imparare ed erano spesso tra i migliori delle loro classi perché percepivano una realtà fondamentale: la scuola della «République» era per loro un’opportunità unica per farsi strada nella vita. Certo capitava spesso che a scuola subissero l’ironia dei loro compagni a proposito dell’immigrazione (venivano chiamati con nomignoli come «macaroni» o «ritals»), ma questa era una ragione in più per cercare di essere tra i migliori. Gli esempi del loro successo sono tantissimi e del resto basta guardare alla politica francese attuale per rendersi conto della strada che hanno fatto (in tutti i partiti come in tutte le amministrazioni) i figli e i nipoti degli immigrati italiani.
Quali motivazioni hanno alimentato il flusso degli italiani verso la Francia?
Se si considerano i singoli nomi di grandi personaggi, siamo in presenza di una gamma di diverse motivazioni personali: dal lavoro all’amore, dal potere alla passione, dall’arte al denaro. Leonardo da Vinci accoglie l’invito di Francesco I e trascorre ad Amboise l’ultimo spicchio (un po più di due anni) della sua vita, portando con sé alcune opere, tra cui Sant’Anna e la Gioconda. Caterina de’ Medici va in nave a Marsiglia per sposarsi col futuro re di Francia. Il grande attore seicentesco napoletano Tiberio Fiorilli si trasferisce in Francia a lavorare portando con sé la maschera di Scaramuccia (Scaramouche) e la magia della commedia dell’arte in salsa partenopea. Carlo Goldoni muore a Parigi dopo avervi scritto in lingua francese una delle sue opere più celebri: Il Burbero benefico. Nel mio libro ci sono storie più o meno note di singoli personaggi, ciascuno dei quali aveva motivazioni proprie per trasferirsi in una terre lontana. Il mio sforzo è stato quello di raccontare vicende scarsamente conosciute o di scegliere un punto di vista particolare anche quando ho parlato della vita di persone notissime.
Torno però alla risposta alla sua domanda. Se prescindiamo dalle storie dei singoli e se ci interessiamo alla massa di milioni di migranti italiani in Francia, dobbiamo notare che le motivazioni della partenza sono di due tipi: il bisogno di fuggire la miseria e – negli anni del fascismo – il bisogno di fuggire la dittatura.
Nel corso delle mie ricerche ho trovato una rarissima registrazione audio e video in cui Lazzaro Ponticelli, l’emigrato emiliano arrivato nella regione parigina all’inizio del XX secolo e arruolatosi volontario nella Legione straniera nel 1914, parlava della sua scelta di combattere per la Francia e della sua ostilità all’idea di battersi tra le forze italiane (cosa che poi ha comunque fatto, a partire dal 1915). Ponticelli si chiedeva perché mai avrebbe dovuto rischiare la vita per uno Stato che lo aveva costretto ad andarsene, avendolo lasciato nella più completa miseria. Oggi in Francia, dove è morto nel 2008, Lazzaro Ponticelli è celebrato come un eroe nazionale perché è stato «l’ultimo dei combattenti francesi della Grande guerra». È vero che è stato l’ultimo sopravvissuto di quel conflitto, ma è vera anche un’altra cosa: Lazzaro era ancora italiano quando ha preso in mano un fucile, arruolandosi a Parigi nella Legione straniera, che gli ha poi imposto di trasferirsi sul fronte italo-austriaco al momento dell’ingresso di Roma nella I Guerra mondiale. Tornata la pace, quello straordinario personaggio ha è rientrato nella regione parigina, diventando un imprenditore di successo e ricevendo finalmente la nazionalità francese. La storia personale di Ponticelli è la migliore risposta agli interrogativi sulle cause della partenza degli italiani. Anche chi ha poi trovato avventure e successo, ha lasciato la penisola un piatto caldo e talvolta una boccata d’ossigeno di libertà. È il caso della famiglia Ungaro: un sarto di idee comuniste, che all’epoca del fascismo lascia la terra pugliese di Francavilla Fontana per Aix-en-Provence. Una storia comune a tenti antifascisti italiani. Emanuele Matteotti Ungaro, figlio di quel sarto, impara il mestiere di famiglia, ma non si ferma lì. Diventa Emanuel Ungaro, uno dei grandi nomi dell’alta moda parigina e mondiale. Ungaro è scomparso nel dicembre 2019, ma il suo mito è più vivo che mai.
In molti casi le radici italiane si sono via via scolorite: pochissimi tra i nostri connazionali sanno ad esempio che Pierre Cardin è nato in Veneto o che Yves Montand si chiamava in realtà Ivo Livi.
Le tracce si sono scolorite perché quella degli italiani in Francia è una storia di immigrazione riuscita. Un vero successo storico. Dunque gli italiani sono diventati francesi e spesso si sono fatti largo con ottimi risultati nella società transalpina. Nel governo francese entrato in vigore nel corso di questa estate 2020, tre ministri importanti sono di origine italiana. In ordine gerarchico, la «numero tre» dell’esecutivo transalpino (la ministra della Transizione ecologica Barbara Pompili), il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti e la titolare della Cittadinanza, Marlène Schiappa, hanno origini italiane. Lo stesso vale per tanti ex ministri, come ad esempio Aurélie Filippetti, la cui famiglia paterna si è trasferita dall’Umbria alle miniere della Lorena, mentre quella materna ha origini venete (suo nonno materno è morto costruendo una diga sul suolo francese). Il sindaco di Nizza è Christian Estrosi, di origini italiane.
Alcuni personaggi illustri sono particolarmente significativi per le tracce che hanno lasciato nella cultura e nella società francesi. Il Louvre è il simbolo della Francia e il simbolo del Louvre è naturalmente la Gioconda. Il suo autore è morto a Amboise negli stessi giorni in cui in Italia nasceva Caterina de’ Medici, giunta quattordicenne a Marsiglia nel 1533. Caterina ha veramente «fatto la Francia» e – en passant – ha fatto anche la sua gastronomia, portando con sé piatti e abitudini di varie regioni italiane.
Nel XVII secolo, l’astronomo Gian Domenico Cassini, di Perinaldo (provincia di Imperia), è arrivato a Parigi per fondare e a dirigere l’Osservatorio, ancora ben visibile dal giardino e dal palazzo del Lussemburgo. Questo stesso palazzo è stato voluto da Maria de’ Medici e i visitatori possono agevolmente constatarne il richiamo al Rinascimento fiorentino: guardando quell’antica costruzione si ha la sensazione di trovarsi nel capoluogo toscano.
Il piemontese Giovanni Battista Viotti, che ha passato in Francia buona parte della sua vita, ha composto nel 1781 quelle Variazioni in do maggiore che sembrano proprio aver ispirato le note della Marsigliese, nata nel 1792. Gioacchino Rossini ha vissuto buona parte dei suoi giorni (e delle sue focose notti) in riva alla Senna, influenzando la musica francese e anche le abitudini gastronomiche parigine. In tempi molto più recenti, vengono in mente personaggi come Ivo Livi, ben più noto col nome d’arte di Yves Montand, e la cantante di origine calabrese Dalida, la cui famiglia si era trasferita dall’Italia all’Egitto ; così come quella della siciliana Claudia Cardinale, che vive oggi a Parigi, si era trasferita in un primo tempo dall’Italia in Tunisia.
È perfettamente naturale che il successo dell’integrazione di generazioni di migranti italiani in Francia abbia avuto, come risvolto della medaglia, una perdita dei legami con le origini. Ma a me interessa sottolineare un altro fenomeno: nella Francia del XXI secolo, in cui almeno cinque milioni di persone sanno perfettamente di avere origini italiane, si sta facendo largo il desiderio di riscoprire il passato. Tante famiglie francesi vanno tra le campagne pugliesi o tra le valli bergamasche, in Emilia o in Friuli, a Biella o nelle Marche sulle tracce di nonni e bisnonni che hanno compiuto la scelta dolorosa di partire e spesso di tagliare il cordone ombelicale col luogo della loro nascita. Era quello, purtroppo, il prezzo da pagare per cominciare con successo una nuova esistenza. Adesso tantissimi francesi vogliono capire di più della propria origine italiana.
La parte relativa alle due guerre mondiali è centrale nel libro e mostra i drammi alla base dell’emigrazione; di molti italiani si è poi persa la memoria, come quelli fucilati dai nazisti e dai collaborazionisti di Vichy mentre combattevano nella Resistenza francese: quali, tra le storie dimenticate o anche sconosciute di italiani che hanno «fatto la Francia» all’epoca del secondo conflitto mondiale, l’hanno colpita di più?
È vero che la parte sulle due Guerre mondiali è per me fondamentale. Mi sono appassionato ad alcuni italiani, che, ciascuno a modo proprio, si sono battuti coraggiosamente e che in alcuni casi hanno pagato con la vita le loro scelte che non esito a definire eroiche. Ho già parlato di Lazzaro Ponticelli, partito dall’Emilia per Nogent-sur-Marne, nella regione parigina, quand’era poco più di un bambino e arruolatosi nelle forze francesi nel 1914. All’inizio della Prima Guerra mondiale, due nipoti di Giuseppe Garibaldi (Bruno e Costante, figli di Ricciotti Garibaldi) sono morti combattendo con i francesi contro i tedeschi. Con loro si battevano i fratelli Peppino (comandante della cosiddetta “Legione garibaldina”) e Sante Garibaldi. Quest’ultimo si è stabilito a Bordeaux ed è stato poi deportato dai nazisti durante l’occupazione della Francia.
L’antifascista italiano Silvio Trentin, padre di Bruno Trentin, era negli anni Trenta un docente universitario veneto emigrato nella Francia sudorientale, dove ha tentato un’esperienza agricola e ha poi aperto una libreria a Tolosa. Durante la II Guerra mondiale moltissimi italiani hanno partecipato alla Resistenza francese e tanti giovani hanno pagato quella scelta con la propria vita. Purtroppo la storia degli italiani nella Resistenza francese è dimenticata Oltralpe ed è anche poco studiata e poco conosciuta anche nella nella nostra penisola. Com’è possibile che l’opinione pubblica italiana ignori completamente il sacrificio di un gran numero di migranti italiani fucilati dai nazisti e dai collaborazionisti francesi del regime di Vichy? Voglio citare alcuni dei loro nomi perché ogni sforzo deve essere secondo me compiuto per rendere omaggio alla memoria di quei migranti, che si sono sacrificati per una terra che non era la loro e per un paese di cui in molti casi non avevano ancora ottenuto la nazionalità. Mi vengono in mente i nomi dei Tre Fontanot, a cui è oggi dedicata una strada a Nanterre, la città della regione parigina in cui abitava la loro famiglia. Avevano una ventina d’anni quando sono stati uccisi dai tedeschi e dai loro complici francesi. L’immigrato di origine pistoiese Eusebio Ferrari è morto nel 1942 a seguito della sparatoria con un poliziotto francese al servizio degli occupanti. Giovani italiani hanno perso la vita per salvare la libertà della Francia da francesi che avevano scelto la collaborazione.
In occasione della presentazione dell’edizione francese del mio libro, una signora di Tolone mi ha avvicinato per parlarmi di suo padre, che nel 1942-43 era militare nelle truppe italiane che occuparono la Francia sudorientale e che in quel periodo di dieci mesi riuscirono a proteggere molti ebrei da chi voleva consegnarli ai tedeschi perché fossero avviati alla deportazione. La lapide che si può oggi osservare a Saint-Martin-Vésubie, sulle Alpi francesi, rende omaggio a molti Alpini italiani, che – pur appartenendo all’esercito di un paese alleato della Germania – agirono coraggiosamente per salvare la vita di moltissimi ebrei (tra cui il futuro ministro della Giustizia Robert Badinter, che ha accettato di rispondere alle mie domande).
Chi sono, nel XXI secolo, gli italiani che stanno facendo la Francia?
Sono persone di ogni età, soprattutto giovani. Molti di loro hanno conosciuto la Francia grazie a un’esperienza Erasmus nel corso dei loro studi universitari. Sono persone dinamiche, che incontro frequentemente e che si sono inserite a meraviglia nel tessuto economico e culturale transalpino. Alcuni pensano di trascorrere qualche anno al di là delle Alpi, altri hanno il progetto di restare molto più a lungo o magari per sempre. Ma tutti si sentono a casa loro perché si considerano cittadini europei. Sono ovunque nel tessuto economico, sociale e culturale transalpino. Ovunque sono utili e ovunque sono animati da una gran voglia di lavorare.
È anche a seguito del contatto con loro che ho deciso di scrivere questo libro. Io stesso sono arrivato a Parigi nel 1977 per frequentare la scuola di giornalismo della rue du Louvre. Poi sono tornato in Italia fino al 1986, da quando vivo stabilmente a Parigi. Credo di essere uno dei corrispondenti professionalmente più longevi della stampa italiana in Francia. In tutti questi anni la mia attività di giornalista mi ha portato a viaggiare molto in giro per le città d’Oltralpe. Ho incontrato tante persone, talvolta in margine a convegni e a conferenze. Giovani arrivati qui per lavorare e soprattutto francesi di origine italiana, che tenevano a raccontarmi la loro storia personale e quella della loro famiglia. Storie, talvolta commoventi e sempre interessanti, frutto della straordinaria epopea dell’emigrazione italiana al di là delle Alpi. Un giorno mi sono detto che avrei dovuto scrivere qualcosa sui tanti italiani – talvolta notissimi e spesso totalmente sconosciuti – che hanno «fatto la Francia» nel corso dei secoli e soprattutto negli ultimi duecento anni. Ho scelto di parlare soprattutto di alcuni personaggi per dimostrare il successo di un autentico fenomeno storico e sociale: quello, appunto, della migrazione italiana, che – in forme molto diverse tra loro – dura fin dal Rinascimento, dai tempi di Leonardo da Vinci e di Caterina de’ Medici.
Nel XXI secolo gli italiani che stanno facendo la Francia sono moltissime persone che si sono installate negli ultimi anni in questo paese per ragioni di studio o di lavoro e sono anche persone con passaporto francese ma con tanta nostalgia dell’Italia perché proprio nella nostra penisola ci sono le origini della loro famiglia. Oggi non si può parlare di «migranti», ma di persone che vanno e vengono per i paesi che compongono un’Europa sempre più unita. Ci sono oggi tanti francesi che studiano e che lavorano in Italia come ci sono tantissimi italiani che attraversano le Alpi per seguire un corso di specializzazione o per seguire l’amore, andando a vivere con una persona incontrata magari al tempo di Erasmus. Tra gli italiani oggi attivi in Francia ci sono autentiche eccellenze dell’economia, della scienza e della cultura. Nel mio libro c’è il risultato di una lunga conversazione su Leonardo Da Vinci, che ho avuto con la grande restauratrice Cinzia Pasquali, un’italiana oggi attiva al Louvre e molto nota nel panorama artistico transalpino. Potrei continuare a lungo a fare esempi, ma ciò che più mi preme è insistere sia sul ruolo che gli italiani hanno oggi in Francia sia sulla presenza, al tempo stesso, di tanti francesi in Italia: oggi più che mai siamo per certi aspetti una sola entità economica, sociale e culturale. Sarebbe sciocco cercare sistematicamente ragioni per litigare tra noi, anche se talvolta le polemiche sono effettivamente giustificate. Ma una cosa è dirsi ciò che si ha sullo stomaco e un’altra, ben diversa, cercare sempre occasioni di litigio.
Le lezioni del passato devono aiutarci a immaginare e a costruire il futuro. Quando nella storia francesi e italiani sono stati nemici tra loro, ci hanno perso ambedue. Francesi e italiani fanno parte di una stessa famiglia. Possono anche polemizzare tra loro, ma alla fine devono intendersi. In fin dei conti la lezione del mio libro è proprio il fatto che milioni e milioni di francesi di oggi hanno un’origine italiana. Dunque francesi e italiani hanno – oggi più che mai – tutto per progredire insieme.
Io penso che l’amicizia e l’intesa tra italiani e francesi siano oggi fondamentali per costruire una nuova Europa. Possiamo fare tutte le critiche che vogliamo all’Europa attuale e al modo in cui viene realizzata giorno dopo giorno dai governi eletti dai suoi popoli. Nel contesto di questo grande lavoro istituzionale, la cultura ha un ruolo di primo piano e non c’è dubbio sul fatto che le affinità culturali tra francesi e italiani siano impressionanti. La nostra relazione è unica al mondo. Ciascuno di noi ha i suoi difetti e ci capita di mostrarli alla luce del sole. È vero che ci capita di litigare. Ma, anche quando litighiamo, lo facciamo in un modo particolare, come si fa tra persone di una stessa famiglia. Penso che italiani e francesi siano condannati a intendersi e che questa sia una gran bella cosa anche per gli altri.
Alberto Toscano, giornalista, è nato a Novara nel 1948 e vive dal 1986 a Parigi, dove negli anni Novanta è stato presidente della Stampa estera. Laureato in Scienze politiche all’Università statale di Milano, è stato dal 1974 al 1982 ricercatore dell’Istituto studi di politica internazionale (ISPI) di Milano e in tale veste redattore del settimanale Relazioni Internazionali. Tra il 1978 e il 1982 è anche stato assistente di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano. Dagli anni Settanta collabora su temi politici ed economici con numerosi giornali italiani, svizzeri e francesi. Dal 1986 al 1991 è stato corrispondente da Parigi per il quotidiano ItaliaOggi. È stato poi corrispondente e inviato speciale per l’Europa del quotidiano L’Indipendente e ha in seguito collaborato con numerosi giornali e canali radiotelevisivi italiani, svizzeri e francesi. Attualmente collabora regolarmente col quotidiano economico Milano Finanza e con varie reti radiotelevisive francesi (in particolare France Info e CNews). Tra i suoi libri: I Giornali della Grande guerra – Les journaux de la Grande guerre (Istituto italiano di cultura – Mission du centenaire de la Première Guerre mondiale, Parigi, 2014), Un vélo contre la barbarie nazie. L’incroyable destin du champion Gino Bartali (Armand Colin, Parigi, 2018), Gino Bartali, una bici contro il fascismo (Baldini+Castoldi, Milano, 2019), Ti amo Francia. Les Italiens qui ont fait la France de Léonard de Vinci à Pierre Cardin (Armand Colin, Parigi, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia, da Leonardo a Pierre Cardin (Baldini+Castoldi, Milano, 2020).