“Gli Almohadi (1120 – 1169). Un movimento rivoluzionario islamico medievale” di Piero Zattoni

Ing. Piero Zattoni, Lei è autore del libro Gli Almohadi (1120 – 1169). Un movimento rivoluzionario islamico medievale, edito dal Mulino: come si sviluppa l’impero degli Almohadi?
Gli Almohadi (1120 – 1169). Un movimento rivoluzionario islamico medievale Piero ZattoniL’impero si sviluppa a partire da un movimento, all’inizio esclusivamente religioso, nato intorno alla figura carismatica di Ibn Tūmart; era costui un Berbero dell’Atlante (Marocco) di abbastanza umili origini, che aveva però viaggiato a lungo in Oriente e si era fatto una vasta cultura studiando le varie teorie teologico – filosofiche colà in voga; aveva finito per elaborare una sua personale interpretazione dell’Islam, acquisendo anzi la convinzione che questa fosse l’unica valida; rigoroso e intollerante per temperamento, riteneva che essa dovesse essere imposta a tutti i musulmani, se necessario con la forza, e ritornò nel suo paese nella speranza di convincerne il sovrano del momento, appartenente alla dinastia almoravide.
Presto deluso in questa speranza, nel 1120, dopo pochi mesi di permanenza, abbandonò la capitale Marrakech e prese a vagare per le montagne dell’Atlante, predicando il suo verbo ai suoi conterranei delle tribù Masmuda e suscitandovi un entusiasmo fanatico; il movimento assunse rapidamente un aspetto sovversivo, politico e infine militare, dichiarando aperta guerra agli Almoravidi; a un certo punto Ibn Tūmart giunse a proclamarsi Mahdī, cioè una figura di inviato divino, destinato a raddrizzare tutti i torti e a conquistare all’Islam l’intero mondo, di cui alcune tradizioni avevano profetizzato il prossimo avvento.
Egli non poté vedere la fine della guerra che aveva iniziato, che durò quasi un trentennio, ma il suo primo successore o califfo, cAbd al-Mu’min, la condusse a compimento con la completa distruzione della potenza almoravide e la costituzione di un nuovo impero esteso a tutto il Maghreb da Tripoli all’Atlantico e a gran parte della Spagna musulmana.

Quali avvenimenti segnano l’apogeo della potenza Almohade?
L’unificazione del Maghreb sotto il potere almohade si compì già sotto il primo califfo, cAbd al-Mu’min, nel 1160, con la conquista dell’attuale Tunisia, seguita alla sconfitta delle locali tribù arabe e alla cacciata dei Normanni. Quella della Spagna musulmana poté però essere realizzata solo parecchi anni più tardi, nel 1173, da Yūsuf, suo figlio e successore e secondo califfo; il territorio della Spagna musulmana si era peraltro ridotto in modo sostanziale, a causa dell’ulteriore avanzata cristiana facilitata dalla crisi di passaggio da Almoravidi ad Almohadi, e ora questi si sforzarono di recuperare il terreno perduto, riuscendovi in buona parte sotto il terzo califfo Yacub al-Mansūr, dopo la grande vittoria di Alarcos, da lui riportata sui Castigliani (1195); questa data può quindi essere considerata il punto di apogeo della potenza almohade, senza dimenticare però che prima e dopo vi furono notevoli alti e bassi, causati soprattutto a partire dal 1184, da ripetute rivolte nel Maghreb orientale, capeggiate dai Banū Ghaniya, un clan di matrice almoravide.

Come era organizzato l’impero Almohade?
È opportuno premettere che nel Maghreb, che costituiva la parte maggiore dell’impero, la società era prevalentemente organizzata in tribù, Berberi sia nomadi che stanziali e beduini arabi: questo fatto poneva gravi ostacoli alla formazione di uno stato saldamente strutturato, e ha in effetti continuato a porli fino ai tempi moderni. È perciò tanto più degno di nota ciò che gli Almohadi poterono realizzare sotto questo profilo; già sotto il primo califfo infatti essi riuscirono a mettere in piedi una struttura amministrativa molto sviluppata per quei tempi, che assicurava al califfo rendite fiscali relativamente cospicue e regolari. Ciò permise ai califfi di finanziare non solo la corte e l’amministrazione stessa ma un grande esercito e una flotta cospicua, che fu probabilmente, per qualche decennio, la più potente del Mediterraneo occidentale. L’esercito almohade aveva una struttura assai complessa: il suo nucleo base era il jund, costituito in gran parte, almeno all’inizio, dalle solide fanterie dei montanari Masmuda; erano queste truppe “semipermanenti”, nel senso che, pur ricevendo un moderato stipendio, i suoi membri vivevano normalmente con le loro famiglie, ma dovevano essere sempre pronti a rispondere alla chiamata del califfo; i contingenti tribali, composti per buona parte da cavalleria leggera, richiamati di volta in volta secondo opportunità, costituivano la parte numericamente più importante dell’esercito; completano il quadro dei piccoli ma importanti contingenti di militari stipendiati, arcieri a cavallo provenienti dal Medio Oriente (ghuzz), cristiani di Spagna, che costituivano una cavalleria pesante, e una guardia del corpo a piedi di schiavi provenienti dalle regioni a Sud del Sahara.

Quali avvenimenti scandiscono il declino dell’impero Almohade?
Tradizionalmente gli storici hanno fatto coincidere l’inizio del declino con la battaglia di Las Navas de Tolosa (1212), nella quale i cristiani di Spagna, guidati da re Alfonso VIII di Castiglia, si presero sul califfo Al-Nāsir, figlio di Al-Mansūr, una piena rivincita per la sconfitta subita ad Alarcos diciassette anni prima; le cose sono però un po’ diverse, perché quella sconfitta, sebbene costituisse senza dubbio un duro colpo per il prestigio dell’impero, diede luogo, nell’immediato, a perdite territoriali modeste e, morti poco dopo quasi contemporaneamente sia Alfonso VIII che Al-Nāsir, fu presto seguita da una pace, che, per oltre un decennio, liberò l’impero di ogni preoccupazione da questo lato. Ciò nonostante in questo decennio cominciarono ad apparire dei sintomi preoccupanti, soprattutto la fiacchezza con cui l’impero reagì all’irruzione, nel Marocco settentrionale, delle tribù nomadi dei Berberi Banū Merin; l’evento scatenante della crisi fu però la morte in giovane età, senza figli maschi, del califfo Al-Mustansīr (1123), che diede luogo a un crisi dinastica senza precedenti; mentre i vari pretendenti si accapigliavano, emergevano le ambizioni contrastanti di altri capi almohadi e le tendenze anarchiche delle tribù, sia berbere che arabe, cosicché da quel momento in poi lo sfacelo fu rapido.

Nel 1228 il califfo almohade Al-Ma’mùn passò in Africa col suo esercito per affrontarvi un rivale, abbandonando al loro destino i musulmani di Spagna, con la conseguenza che, a partire da questo momento, l’avanzata cristiana divenne inarrestabile; l’anno seguente il governatore almohade di Tunisi e viceré del Maghreb orientale, Abū Zaqariya, si proclamò indipendente, dando inizio così alla dinastia hafside, che avrebbe governato quei paesi fino al XVI secolo, e ben presto i Banū Merin presero a fare nuovi progressi nel Marocco settentrionale.
Alla crisi politica si aggiungeva intanto quella religiosa: il fanatico entusiasmo religioso, che aveva fatto la forza del movimento almohade nella sua fase di ascesa, si era largamente dissipato e, del resto, esso non aveva mai fatto veramente presa se non fra le tribù dell’Atlante; in particolare le classi dirigenti si erano fatte sempre più scettiche e lo stesso califfo Al- Mansūr era giunto a dichiarare, in privato,che non credeva affatto al mito del Mahdi; Al-Ma’mùn, che era suo figlio, abbandonò ogni residuo ritegno, sconfessando pubblicamente Ibn Tūmart; nonostante che i suoi successori abbiano poi fatto marcia indietro, è evidente che le idee di Ibn Tūmart avevano ormai perso la loro forza.
Alla metà del secolo gli Almohadi controllavano ormai solo il Marocco meridionale e dovevano preoccuparsi per la crescente forza e aggressività dei Banū Merin, che avevano ormai costituito un nuovo stato con capitale a Fes, e controllavano tutto il Marocco settentrionale; la fine che, da qualche tempo, appariva ormai scontata, arrivò nel 1269, quando i Banū Merin conquistarono Marrakech; Išāq, l’ultimo califfo almohade, riuscì a mantenersi ancora per qualche anno a Tinmel, una fortezza nell’Atlante che era stata la prima capitale almohade, ma nel 1274 i Banū Merin arrivarono anche lì; Išāq fu condotto prigioniero a Fes e qui decapitato insieme agli ultimi capi almohadi.

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