
Qual era il progetto di governo di Giuliano?
Il progetto di governo di Giuliano va senz’altro al di là della questione religiosa anche se questa è predominante nelle nostre fonti. Era fortemente animato da un sincero interesse per la tutela delle finanze pubbliche che erano state messe a repentaglio dalle spese eccessive dei suoi predecessori, del cugino Costanzo oltre che di Costantino. La tutela degli interessi delle città per certi aspetti si combina con la sua politica anticristiana. Una delle vie privilegiate per sottrarsi agli oneri legati al governo delle comunità cittadine era, a seguito della cristianizzazione dell’Impero promossa da Costantino, entrare a far parte del clero. Si tratta di un caso esemplare di come la tutela dell’interesse statale si saldi in Giuliano con la sua politica religiosa. Gli organismi fondamentali di autogoverno delle città, ormai non erano più organismi vitali. La responsabilità dell’amministrazione e della gestione tributaria era diventata un onere pesantissimo che, reso ereditario, si cercava di sfuggire. Tanto minore era il numero dei decurioni (i membri dei consigli comunali), tanto maggiore era evidentemente l’onere delle imposte che gravava su ciascuno di loro. Giuliano richiamò alle curie chi si era sottratto al proprio dovere, a cominciare dagli ecclesiastici. Tra l’altro era proprio sulle città che ricadevano gli oneri, particolarmente gravosi, di mantenimento del cursus publicus, del servizio postale di Stato.
Quali vicende segnarono il suo tentativo di restaurazione del paganesimo e con che esiti?
Nel suo sforzo di reinterpretare la realtà istituzionale dell’Impero Giuliano può essere considerato come l’esempio più illustre del coté politico del neoplatonismo tardoantico. «Rampollo degli dei», come si autodefiniva, pronto a servirsi di tutti i mezzi a sua disposizione, dalle leggi ai sacrifici, al potere delle parole, per guidare verso il vero i cittadini affidati alle sue cure, egli è fino in fondo imperatore, filosofo, sacerdote: e dall’interazione di questi tre aspetti scaturisce l’eccezionalità di una figura non «in lotta con la sua epoca», come spesso si è sostenuto, ma, al contrario, in essa profondamente immersa. Il provvedimento forse più celebre- e controverso- deciso da Giuliano nel suo tentativo di restaurazione pagana è l’editto sull’insegnamento del giugno del 362. Con esso allontanava dalle scuole i maestri cristiani con la motivazione che essi non potevano insegnare in modo appropriato la letteratura classica dal momento che non prestavano fede agli dei in essa celebrati.
Quali motivazioni profonde spinsero Giuliano a tentare la restaurazione del paganesimo?
Giuliano si impegna in primo luogo nel tentativo di definire i valori da lui giudicati fondanti il paganesimo classico, a cominciare dalla «filantropia» ellenica, in termini autonomi nei confronti della carità, dell’amore per il prossimo predicato dai cristiani. Gli preme di sottolineare che, se le istituzioni che pensa di creare per riorganizzare il paganesimo possono apparire ispirate dalle forme organizzative ideate da questi ultimi, in realtà alla loro base c’è una lunga e consolidata tradizione spirituale e filosofica di matrice schiettamente ellenica. Il messaggio che Giuliano vuole trasmettere è, in buona sostanza, che gli Elleni devono prendere coscienza del loro passato e dei loro costumi perché tornino a praticare la religione dei padri.
Quale profondo spessore culturale animava Giuliano?
Giuliano aveva una concezione della cultura greca classica come di una forza unificante, più complessa di quella che il paganesimo imperiale aveva conosciuto come sua religione ufficiale. L’Ellenismo, dunque, nella peculiare accezione che acquisisce nella Tarda Antichità e alla quale Giuliano aderisce, appare un mezzo per preservare identità e tradizioni culturali, identità che ci si preoccupava di tutelare a fronte di una religione, come il cristianesimo, di per sé universalizzante. Il valore forte e innovativo che Giuliano conferisce all’idea di Ellenismo, cui attribuisce anche la valenza di specifica identità religiosa, emerge in particolare da una lettera inviata nei primi mesi del 363 al gran sacerdote della Galazia Arsacio. In questo caso il termine “Ellenismo” ha un significato specifico, di credo religioso, per quanto fondato su una tradizione culturale.
Giuliano si fece promotore anche di una chiara volontà riformatrice di alcuni aspetti della realtà imperiale tardoantica: in quali ambiti si manifestò tale progetto riformistico?
Giuliano, pure legittimato nella sua ascesa al trono dall’appartenenza alla dinastia di Costantino, rifiuta, almeno in linea teorica, il principio dinastico, l’appellativo di dominus e le manifestazioni di potere si stampo assolutistico. Si tratta di una scelta certamente ponderata, che presuppone un consapevole orientamento di Giuliano a favore di una forma di limitazione o, meglio, di autolimitazione del potere imperiale, in coerenza con il suo orientamento filosofico. Giuliano manifesta la sua propensione a tornare ad essere accessibile ai sudditi.
È possibile affermare che Giuliano avversò decisamente non solo la sua conversione al cristianesimo, ma tutta la politica dello zio Costantino?
Giuliano tende a presentarsi nei suoi scritti come l’anti-Costantino, il restauratore delle tradizioni politiche e religiose elleniche e del governo tradizionale romano in contrapposizione a colui che ne era stato il disgregatore. Santo Mazzarino ha giustamente osservato che la storia del IV secolo può essere letta alla luce della contrapposizione tra queste due figure “epocali”. Il regno di Giuliano è stato troppo breve per valutare appieno quali riforme dell’Impero intendesse realizzare. Certamente era determinato a reagire alla burocratizzazione che lo zio vi aveva introdotto e intendeva rilanciare la vita delle città, tradizionalmente l’elemento fondamentale della vita pubblica romana. Giuliano attribuiva ai suoi predecessori, e in particolare a Costantino, la colpa di aver alterato l’equilibrio che aveva caratterizzato tradizionalmente i rapporti tra il potere centrale e quello cittadino, in particolare determinando lo svuotamento dei consigli municipali, le curie.
Quali significativi esiti ebbe la riscoperta dell’Apostata in età umanistica e illuministica e che giungono sino ai nostri giorni?
La riscoperta del mondo antico in età umanistica e rinascimentale interessa da vicino in modo peculiare anche Giuliano. La diffusione degli scritti giulianei arrivò al suo completamento nel 1696 allorché il barone protestante Ezechiele Spanheim pubblicò a Lipsia una nuova edizione delle opere contenente, oltre al resto, anche il testo della confutazione del patriarca di Alessandria, Cirillo, del trattato giulianeo contro i cristiani. Lo Spanheim, che dedica il volume a Federico, principe elettore di Brandeburgo, giustifica la nuova edizione con la necessità di favorire una più facile reperibilità degli scritti di un sovrano le cui virtù furono compromesse dalla colpa fondamentale di essere stato un nemico del cristianesimo. Un ruolo non secondario fu svolto, tra il XVII e il XVIII secolo, dagli studiosi di orientamento giansenista che avevano sviluppato in modo profondamente originale i criteri fondanti della ricerca storica. Essi seppero far sì che le esigenze della fede non fossero in conflitto con quelli della critica. In realtà la rivalutazione di Giuliano passò di necessità attraverso una preliminare messa in discussione dell’operato di Costantino Esempio illustre di questo orientamento fu Le Nain de Tillemont, il cui giudizio su Costantino si distingue per la capacità di distaccarsi dalla celebrazione che ne aveva fatto Eusebio di Cesarea riconoscendone le colpe e gli aspetti negativi. Se il XVII secolo fu quello del ristabilimento della fama di Giuliano, il XVIII è quello della sua massima fortuna. Non vi fu infatti quasi pensatore o filosofo illuminista che non si sentisse in dovere di esprimere la sua opinione su di lui o che non si impegnasse in un tentativo di analisi della sua personalità. Voltaire, in particolare, diede un contributo decisivo alla rivalutazione di Giuliano è senz’altro decisivo. Lo scopo prioritario del carattere apologetico e ideologico del suo ritratto di Giuliano fu quello di reagire con decisione a una storiografia che di fatto aveva utilizzato l’appellativo di “Apostata”, con quello che esso implicava rispetto al cristianesimo, come la componente esclusiva di valutazione del suo regno. L’esito di questo dibattito si è significativamente prolungato, sia pure con toni più pacati, sino ai nostri giorni.
Arnaldo Marcone è uno specialista di Tarda Antichità e di storia della storiografia moderna sul mondo antico. Si è formato alla Scuola Normale, all’Università di Pisa e in quella di Colonia. In passato ha insegnato nelle Università di Firenze, di Parma e di Udine. Dal 2008 è professore ordinario di Storia romana nell’Università Roma Tre. Tra le sue pubblicazioni: Pagano e cristiano. Vita e morte di Costantino (Roma-Bari 2002); Di Tarda Antichità. Scritti Scelti (Firenze 2008); Sul mondo antico. Scritti vari di storia della storiografia moderna, (Firenze 2009); Augusto (Roma 2015); Giuliano (Roma 2019).