“Gioventù rivoluzionaria. Bordiga, Gramsci, Mussolini e i giovani socialisti nell’Italia liberale” di Luca Gorgolini

Prof. Luca Gorgolini, Lei è autore del libro Gioventù rivoluzionaria. Bordiga, Gramsci, Mussolini e i giovani socialisti nell’Italia liberale edito da Salerno: in quale clima politico il socialismo italiano e la FGSI giunsero alla scissione di Livorno?
Gioventù rivoluzionaria. Bordiga, Gramsci, Mussolini e i giovani socialisti nell’Italia liberale, Luca GorgoliniLa Federazione giovanile e il Partito socialista arrivarono a quell’appuntamento in un clima politico di profonda incertezza. Nel corso del biennio rosso in cui, a ben vedere, si sovrapposero pulsioni rivoluzionarie e autoritarie, e che precedette i due appuntamenti congressuali del gennaio 1921, durante i quali vennero sancite la fondazione del Partito comunista d’Italia e la trasformazione della Federazione giovanile socialista nella Federazione giovanile comunista, non prese forma alcuna rivoluzione e la stagione di lotte animata dalle classi popolari terminò con la sconfitta del movimento operaio e l’affermazione delle forze reazionarie. Il partito socialista che nel marzo 1919 aveva approvato la propria adesione all’Internazionale comunista si trovò di fatto paralizzato: da un lato i riformisti si mostravano impegnati a condurre una battaglia, in sede parlamentare, finalizzata all’approvazione di riforme che trasformassero l’Italia in una democrazia compiuta, dall’altro i massimalisti continuavano a dirsi convinti che la rivoluzione fosse alle porte ma non fornivano indicazioni puntuali su modi e tempi attraverso i quali attivarla. All’interno della Federazione giovanile, invece, la maggioranza dei dirigenti, credeva che fosse venuto il tempo di operare attivamente alla costruzione di un partito nuovo, rivoluzionario e su base comunista. Un percorso travagliato, in ragione delle posizioni divergenti presenti nel PSI, che subì un’accelerazione solo sotto la spinta delle decisioni assunte nel corso del II congresso dell’Internazionale comunista che si tenne a Mosca nel luglio-agosto del 1920, durante il quale vennero approvate le 21 condizioni poste da Lenin.

Quale contributo fornì la Federazione giovanile socialista alla nascita del Partito comunista d’Italia?
Nei mesi che separarono il II Congresso dell’Internazionale comunista dal XVII congresso del PSI, la Federazione giovanile diede un contributo importante al consolidamento della frazione comunista guidata, tra gli altri, da Bordiga. Diversamente dalle altre componenti che davano corpo alla frazione comunista (con la sola eccezione del gruppo guidato dallo stesso Bordiga), la Federazione giovanile socialista poteva contare su una struttura nazionale, organizzata in tutte le regioni, forte di poco meno di 40.000 iscritti. Un’organizzazione di massa, i cui dirigenti avevano assunto un ruolo di primo piano nella costruzione dell’Internazionale giovanile comunista, superando il provincialismo che aveva caratterizzato il socialismo italiano negli anni precedenti. Quando Luigi Polano, segretario della FGSI, prese parte al convegno di Imola (28-29 novembre 1920) promosso dalla frazione comunista, portò con sé tutto il peso del movimento giovanile che alcune settimane più tardi aderì formalmente e “incondizionamente” alla frazione comunista impegnandosi – così venne scritto nel documento approvato dal Consiglio nazionale – “a lavorare con tutti i mezzi per sostenerla nell’aspra lotta contro il riformismo e l’opportunismo unitario”. La scelta era così compiuta: la Federazione giovanile avrebbe sostenuto le posizioni della frazione comunista nella direzione di una scissione che appariva ormai certa. Celebri le parole pronunciate, in modo provocatorio, dal direttore del giornale della Federazione giovanile (“Avanguardia”) Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone, il quale, intervenendo nella seduta inaugurale del congresso di Livorno, invitò i congressisti “a bruciare il fantoccio dell’Unità”.

Quali erano i maggiori esponenti del gruppo dirigente del neonato Partito?
Se passiamo in rassegna i nomi di coloro che costituirono il gruppo dirigente del neonato Partito comunista d’Italia – citiamo tra gli altri Bordiga, Gramsci, Fortichiari, Polano, Terracini, Grieco, Leonetti, D’Onofrio – osserviamo che essi presentavano il profilo di una classe dirigente piuttosto giovane: l’età media dei componenti del Comitato centrale era di 36 anni che scendeva a 32 per quel che riguardava i membri del Comitato esecutivo. Ma, soprattutto, osserviamo che molti di loro erano uomini che si erano formati politicamente e culturalmente dopo il 1912, tra le file della FGSI. Collocate all’interno della storia del movimento giovanile, le loro biografie politiche mostrano come la scissione di Livorno rappresentò il punto di approdo di una maturazione politica ed ideologica le cui radici vanno rintracciate negli anni che precedettero la stessa rivoluzione russa, nel pieno delle contraddizioni politiche e delle tensioni sociali che segnarono l’ultima parte dell’età giolittiana e che condussero alla crisi della compagine socialista in seno al PSI. Un protagonismo che si nutrì anche di alcuni elementi costitutivi che avevano caratterizzato tutto il processo di costruzione del movimento giovanile su base nazionale, quali la costante promozione di un’organizzazione capillarmente diffusa e la propensione a strutturare una Federazione che si mantenesse autonoma rispetto alla Direzione nazionale del PSI.

Quali vicende segnarono l’apprendistato politico di questi giovani?
Possiamo collocare le fasi decisive dell’apprendistato politico di questi dirigenti nel periodo che va dalla guerra di Libia, voluta da Giolitti, alla conclusione del primo conflitto mondiale. Con la Confederazione generale del lavoro, la Federazione giovanile si collocò in prima fila all’interno dello schieramento che animò la mobilitazione antitripolina. Per la Federazione giovanile socialista quel passaggio costituì una sorta di battesimo del fuoco che mise alla prova la tenuta delle proprie idee e della propria organizzazione sul versante della battaglia antimilitarista. Ma, aspetto ancor più importante, antimilitarismo e antigiolittismo diedero forma ad una piattaforma politica organica e prettamente antiriformista che spinse i giovani socialisti verso l’ala rivoluzionaria. La prima guerra mondiale rappresentò invece un passaggio decisivo in direzione della maturazione politica e ideologica del gruppo dirigente giovanile in senso marcatamente internazionalista. Attraverso la costruzione di una inedita rete di relazioni, la Federazione italiana riuscì ad affrancarsi dal provincialismo politico che aveva segnato quasi per intero tutta la sua storia fino a quel momento. A seguire, la rivoluzione bolscevica diede ulteriore slancio al radicalismo dei giovani socialisti. Per questi ultimi gli avvenimenti russi significarono il raggiungimento della consapevolezza che la rivoluzione si poteva fare. Poco importava che la gran parte di loro non conoscesse i caratteri di fondo dell’ideologia bolscevica. L’adesione alla causa rivoluzionaria bolscevica si presentava come un moto istintivo, passionale che spinse molti giovanissimi ad iscriversi alla Federazione giovanile fornendole una impronta decisamente più rivoluzionaria.

Quale ruolo ebbe il giovane Mussolini nello spingere la Federazione giovanile lungo la strada del massimalismo rivoluzionario?
Dopo l’appuntamento congressuale di Reggio Emilia (luglio 1912) che portò i massimalisti alla guida del Partito socialista italiano, Mussolini divenne il “demagogo rivoluzionario” a cui la gran parte del gruppo dirigente e della base militante della Federazione giovanile guardava con ammirazione crescente. L’entusiasmo nei confronti del rivoluzionario romagnolo era dettato dal fatto che, per citare uno dei giovani militanti di allora, egli era relativamente giovane, aveva dato un contributo decisivo alla sconfitta dei riformisti, e i suoi articoli sull’”Avanti!” sembravano “forti e rivoluzionari”. Sul piano dei contenuti politici, Mussolini riprese parte del patrimonio programmatico che la FIGS aveva precedentemente sviluppato, come l’opposizione alla politica dei “blocchi” e degli accordi elettorali con le altre forze dell’Estrema, l’”antimassonismo” e l’antimilitarismo. In particolare, proprio la battaglia al militarismo venne assunta dal Direttore dell’ “Avanti!” come elemento decisivo per consolidare l’affermazione del socialismo rivoluzionario. L’esperienza dell’opposizione alla spedizione tripolina lo aveva infatti convinto che la lotta contro il militarismo si sarebbe rivelata decisiva per spingere il proletariato verso la rivoluzione. Ed è con questa convinzione che egli valutò i fatti della “settimana rossa”, nel giugno del 1914, alla viglia dello scoppio della Grande guerra. La sua retorica incentrata sulla legittimità del ricorso alla violenza rafforzò l’infatuazione di molti giovani nei suoi confronti. Sotto la sua leadership il partito socialista tornò a crescere sul piano organizzativo grazie all’ingresso di molti giovani, di fede rivoluzionaria, che ridussero ulteriormente il peso della compagine riformista. In questo senso, Mussolini ebbe un ruolo importante nello spingere la Federazione giovanile verso un approdo definitivo tra le file dei massimalisti rivoluzionari. Un rapporto quello tra Mussolini e la FGSI che si interruppe bruscamente nell’autunno del 1914, in seguito alla svolta interventista compiuta dal primo.

Luca Gorgolini è professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli studi della Repubblica di San Marino e insegna Storia dei conflitti armati presso l’Accademia Militare di Modena. Si è occupato a lungo di storia del Primo conflitto mondiale, prestando particolare attenzione alla prigionia di guerra. Il suo libro I Dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austriaci nella Prima guerra mondiale (UTET 2011) è stato tradotto in tedesco e in serbo. Attualmente si sta dedicando alla stesura di un testo dedicato all’esperienza dell’esercito italiano in Libano, Beirut, tra il 1982 e il 1984 (Missione ITALCON).

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