
Lei si è occupato di Verga sin dalla Sua tesi di laurea, nel 1964: qual è la situazione della critica verghiana?
La critica verghiana conosce i suoi risultati migliori nei momenti di crisi della società in cui il bisogno di tornare alla realtà è più vivo e urgente: quindi nel 1918-23 (Russo, Pirandello ecc.), nel 1945-1955 (Seroni,Sapegno ecc.), 1965-1975 (Asor Rosa, Masiello,Luperini), e torna in auge in questi ultimi anni (si vedano gli Atti del Convegno senese Verga e noi).
Quali diversi livelli ideologici è possibile rinvenire in Rosso Malpelo?
In Rosso Malpelo si intrecciano livelli ideologici diversi e anche contraddittori: da un lato c’è l’urgenza di inserirsi nell’atmosfera educativa e pedagogica di quegli anni; come andavano facendo e avrebbero fatto Collodi e lo stesso Capuana di Scurpiddu, Verga vuole rappresentare, qualcuno disse, “un martire del lavoro” secondo le indicazioni che venivano anche dagli esponenti della Destra, come gli autori dell’Inchiesta in Sicilia Franchetti e Sonnino, a lui più vicini; dall’altro c’è invece una ideologia pessimistica, ai limiti del nichilismo, che molto risente del pensiero leopardiano, di cui restano nella novella esplicite tracce.
Si può affermare che Rosso Malpelo incarni la ricerca verghiana di un “terzo spazio” fra quello degli oppressori e dei vincitori e quello degli oppressi e dei vinti?
Il personaggio di Rosso non propone una identità. È un reietto, uno sradicato, un marginale. E tali saranno tutti i grandi personaggi di Verga, persino Gesualdo, che è ricco, ma resta sempre a metà strada fra il “mastro” e il “don”, escluso sia dai nobili, sia dai borghesi, sia dai plebei. Sono personaggi senza patria, senza identità sociale, senza riconoscimento, e per questo temuti e odiati dai consimili. Sono degli irregolari, dei potenziali ribelli (‘Ntoni sfiora addirittura il socialismo, in Libertà la folla compie una strage dei nobili e dei borghesi più ricchi). Cercano un altro spazio sociale, diverso da quello dei dominanti e da quello dei dominati, senza trovarlo. Ma ne esprimono comunque l’esigenza.
Quale funzione riveste l’uso dell’impersonalità da parte di Giovanni Verga?
Verga da giovane nei romanzi, e soprattutto nel migliore, Eva, è autore evidentemente autobiografico, che racconta la propria vicenda: ha lasciato la Sicilia, ha tradito la tradizione familiare, per amore del successo letterario. Ma l’autobiografismo è anche un limite: non gli consente la necessaria distanza dalla materia, troppo ribollente e troppo poco rielaborata, e così l’autore resta prigioniero di schemi di scrittura tradizionali e oscilla fra ideologie precostituite. L’impersonalità gli consente di prendere le distanze da questo approccio alla materia. Nessuno potrebbe riconoscere nel povero pescatore? Ntoni la figura di Giovanni Verga. Comincia da qui, da Rosso Malpelo e I Malavoglia, l’autobiografismo nascosto, un autobiografismo en travesti, che consente all’autore, nel contempo, di prendere le distanze dal proprio eroe e di identificarsi con lui. Per Verga, insomma, l’impersonalità è un artificio necessario, che – lungi dall’essere una trovata confinata nelle prefazioni dei romanzi, come ha sostenuto una parte della critica, da Croce in su – è la condizione stessa dell’arte maggiore di Verga.
Giovanni Verga è l’autore che inventa in Italia la tipologia di narrazione breve: quale rapporto fra novella e romanzo prende avvio con Verga?
Verga è l’inventore della novella moderna in Italia, il maestro di Pirandello e di Tozzi che della novella fanno un genere letterario privilegiato. Il romanzo stesso finisce per esserne condizionato. Non per nulla Verga scrive novelle per prepararsi sia ai Malavoglia sia a Mastro-don Gesualdo. Il racconto romanzesco tende s sciogliersi in capitoli ognuno dei quali è in realtà un piccolo racconto. Si rovescia il rapporto tradizionale per cui la forma romanesca era un modello anche per il racconto breve. Ora è la struttura della novella a influire su quella del romanzo, che, soprattutto in Mastro-don Gesualdo, appare frantumata e quasi dissolta in una serie di episodi.
Quanto sono vivi ne I Malavoglia lo straniamento ed i temi del tradimento delle origini e della corruzione moderna?
Lo straniamento nei Malavoglia (rappresentare il normale come strano e lo strano come norale) esprime la realtà di un mondo capovolto, per cui è normale tradire la parola data per trarne vantaggio e strano voler pagare a ogni costo il proprio debito, come fa padron ‘Ntoni. Quanto al tradimento delle origini ne ho già parlato sopra, a proposito dell’abbandono della Sicilia e della scelta della grande città moderna da parte del giovane Verga. Posso solo aggiungere che lasciare l’isola appare al giovane Verga come un atto immorale, l’indizio di una corruzione e dell’abbandono della parte di sé più autentica e generosa.