
Non è poi superfluo ricordare che anche ai piani più alti della cultura otto-novecentesca è stata a lungo avversata la tesi dell’influenza culturale semitica: e stiamo parlando di grandi studiosi che ritenevano la componente semitica niente affatto determinante nella ricerca delle origini culturali dell’Europa. Sappiamo bene come tale negazionismo sia purtroppo sfociato attraverso aberranti strumentalizzazioni politiche nel più tragico antisemitismo.
Già intorno alla metà del Novecento, Semerano avviò le sue ricerche, dopo aver constatato la frequente mancanza o inadeguatezza delle spiegazioni offerte dai più importanti dizionari etimologici indoeuropei delle lingue classiche, fondamentalmente basati su radici linguistiche ipotizzate e ricostruite ad hoc. Rivolgendosi quindi al mondo semitico, Semerano intuì l’importanza di assumere come quadro di riferimento per l’indagine etimologica lo straordinario tesoro lessicale offerto dalla lingua semitica orientale di più antica e vasta documentazione, utilizzata per almeno due millenni in tutto il Vicino Oriente antico, cioè l’accadico, ed insieme ad esso quello offerto dalle altre lingue semitiche mediterranee come l’aramaico, l’ugaritico, il fenicio e l’ebraico. Dopo attenta e meticolosa osservazione della dimensione storica e semantica delle parole fondamentali del più antico lessico europeo, arrivò alla conclusione che le lingue indoeuropee presentavano spesso, nella loro più intima essenza, antichissime basi semitiche e ciò dimostrava ancor di più come il debito della cultura e civiltà europea, nei confronti del versante più orientale del Vicino Oriente, fosse in realtà molto più grande di quanto si era ipotizzato, perché aveva riguardato diversi ambiti – come la scrittura, la mitologia, la politica, il diritto, l’economia, la matematica, l’astronomia … – ma anche le stesse lingue. Del resto le scoperte archeologiche di fine Ottocento e soprattutto quella importantissima – a metà anni ’70 del secolo scorso – delle migliaia di tavolette di argilla scritte in cuneiforme provenienti dagli Archivi Reali di Ebla, nell’alta Siria, attestarono che la civiltà mesopotamica, caratterizzata dall’osmosi sumero-accadica e dalle sue espressioni linguistiche, si era diffusa attraverso innumerevoli insediamenti economico-commerciali in tutta la Mezzaluna Fertile lungo direttrici fondamentali come quella siro-mesopotamica giungendo così fino alla prossimità del Mediterraneo, nel Levante Nord.
Come si sviluppa la prospettiva storico-linguistica di Semerano?
Il millenario e capillare espansionismo economico-commerciale mesopotamico verso la Siria, l’Anatolia, l’Iran … comportò anche lo spostamento a più riprese di genti mesopotamiche di grande prestigio culturale, economico e sociale in diverse zone strategiche della Mezzaluna Fertile, per cui le parlate locali, assorbirono per imitazione la grande, diffusa e duratura influenza linguistica sumero-accadica che si riversò quindi anche sulle lingue indoeuropee specie su quelle che gravitarono intorno al Mediterraneo.
I dizionari etimologici di greco e latino di Semerano sono sottotitolati “Basi semitiche delle lingue indeuropee” e non a caso per tre precisi motivi: in primo luogo Semerano voleva sottolineare che le basi linguistiche hanno consistenza storica a differenza delle radici indoeuropee astoriche ed appositamente ricostruite; in secondo luogo Semerano non criticava affatto l’esistenza delle lingue indoeuropee, come pure viene detto da qualche suo critico piuttosto superficiale, bensì dell’indoeuropeo, come lingua madre, postulata attraverso la concezione genealogica risalente ad August Schleicher e ribadita dai neogrammatici con la loro “ineccepibilità” delle leggi fonetiche; in terzo luogo, sottotitolando con lingue “indeuropee”, intendeva conferire sottile e significativo omaggio al decano dei linguisti italiani Vittore Pisani – che per l’appunto preferiva il termine “indeuropee” a quello “indoeuropee” – linguista autorevolissimo con cui “l’eretico” Semerano si sentiva in grande sintonia anche relativamente alla comune critica a diversi aspetti della linguistica indoeuropea.
Semerano diffidava delle classiche e tuttora “moderne” posizioni linguistiche neogrammatiche volte a rintracciare radici e che sulla base di un’esasperante ricerca fonetica e morfologica vagheggiano intorno a lingue pure e a suoni non più accertabili che però costituiscono il fulcro della loro ricerca etimologica. Alla base di queste loro convinzioni esclusivamente materialistiche c’è la fede nel determinismo della fisiologia dell’apparato fonatorio che – secondo loro – presiede ad ogni mutamento linguistico: che quindi sarebbe da intendersi sempre come un fenomeno del tutto collettivo e per nulla individuale. Inoltre, il concetto di lingua pura da essi propugnato, che ritiene ogni lingua caratterizzata da confini chiari e definiti, mal si confà alla realtà fatta di preponderanti fenomeni di contatto e interferenza linguistica che portarono il grande Hugo Schuchardt a replicare giustamente ai neogrammatici che non esistono “lingue pure”. Inoltre la maggior parte dei linguisti ha concesso sempre poco al prestito, sicuramente sempre meno del dovuto, se si pensa che praticamente ogni parola è un prestito che ci giunge da qualche luogo e da qualcuno.
Si sbaglierebbe a pensare che nessuno ormai più si sognerebbe di adottare queste visioni neogrammatiche, infatti è bene sottolineare che tali principii sono tuttora maggioritari – specie negli USA e in Germania, sedi fondamentali del mainstream in ambito linguistico e soprattutto che: anche se in molti affermano di discostarsene dal punto di vista teorico, invece nella pratica adottano in gran parte ancora l’impostazione neogrammatica e ciò non può non condizionarne inevitabilmente anche il lavoro.
Semerano accolse la lezione di alcuni qualificati linguisti (I. Ascoli, J. Gillieron, J. Schmidt, H. Schuchardt, M. Breal, W. Humboldt) e assegnò grande importanza alle componenti ideali, estetiche, storiche e geografiche del fenomeno linguistico che attestano nelle lingue una complessità irriducibile al mero funzionamento meccanico di poche leggi fonetiche. Consapevole delle loro molteplici interconnessioni e relazioni nonché dell’origine prevalentemente individuale dei fenomeni linguistici: Semerano partì dall’indagine lessicale riguardo alle più antiche testimonianze scritte e basandosi sulla accertata e determinante influenza delle lingue semitiche più antiche seppe ridare valore anche alla dimensione semantica, non sempre adeguatamente affrontata dai linguisti, ed invece indispensabile per rintracciare il senso più giusto delle parole: quello fondamentalmente sotteso alla sapienza dei popoli e delle lingue.
Quali aporie sussistono all’interno della teoria dell’indeuropeo?
Precisiamo che Semerano era perfettamente consapevole che tra gli indeuropeisti, così come tra i semitisti, figurano autori di grande ingegno, che hanno fornito contributi fondamentali alla moderna linguistica, filologia e mitologia. Tuttavia egli riteneva che il loro metodo comparativo, non scevro da circolarità e tautologie, aveva comportato un forte sbilanciamento su ipotetiche e astratte ricostruzioni fonetiche o morfologiche, allontanando così dalla comprensione dell’effettiva realtà storico-linguistica.
Le aporie fondamentali derivano principalmente dal rapporto sbilanciato tra semantica e fonetica, dalla persistenza di distorsioni e semplificazioni legate alla teoria dell’albero genealogico e dall’eccessiva retrodatazione di molti modelli di lingue indoeuropee.
Uno dei motivi fondamentali per cui Semerano ricevette diversi attestati di stima da attenti orientalisti (E. Zolla), filologi (L. Canfora, D. Del Corno, …), storici (F. Cardini, …) e filosofi (E. Severino, M. Cacciari, …) ed invece meno dai linguisti: fu che i primi sono da sempre più interessati al significato mentre i secondi per lo più si limitano al significante fonico. Che la linguistica, spesso ridotta a fonologia, si sia troppo sbilanciata verso l’analisi fonetica a discapito della semantica, viene ammesso ora anche dai più attenti linguisti che non possono non riconoscere che una linguistica tutta concentrata sulla meccanica dei suoni delle singole parole, spesso considerate isolatamente e analizzate attraverso la segmentazione delle manifestazioni lineari e discrete del loro suono, fa inevitabilmente perdere il senso di quanto può emergere da una visione invece più complessa del fenomeno linguistico. In sostanza l’accanimento sul suono svia dalla ricerca del senso della lingua che infatti non è solo un sistema simbolico ma anche un sistema indicale perché risponde ad esigenze di funzionalità comunicativa.
Recentemente è apparso anche qualche studio che ha messo in evidenza come la stragrande maggioranza delle radici indoeuropee ricostruite, deriva dall’esame di parole appartenenti a uno o a due lingue, quindi ha poca o nessuna rilevanza statistica. Mentre solo una minima parte di tali radici è attestato in tre o più lingue. Inoltre la ricostruzione delle radici indeuropee è basata su una quantità eccessiva di leggi fonetiche principali, secondarie e di parametri vari che concorrono nel cercare di spiegare ogni deviazione dalla regola principale, per cui: viene più che legittimo pensare che le radici indeuropee ipotizzate siano basate su regole costruite ad hoc. Come infatti non sospettare dell’esistenza di circolarità nel metodo comparativo? Se quando una legge fonetica non sembra essere efficace si afferma subito che evidentemente vi è l’interferenza di un’altra legge fonetica o che è in corso l’azione dell’analogia.
La teoria dell’albero genealogico con tutti i suoi annessi e connessi è, consapevolmente o inconsapevolmente, tuttora preponderante tra i linguisti e ciò ha portato a credere nell’esistenza di una lingua madre indoeuropea (protolingua) dalla quale sarebbero derivate per filiazione tutte le altre lingue indoeuropee. Ma tale visione, basata essenzialmente sulla progressiva divergenza delle lingue da una lingua pura e originaria, non tiene affatto conto del reale processo di formazione delle lingue, fatto di convergenze molteplici, infiniti contatti e interferenze continue. Semerano, invece, condividendo i principi base della linguistica areale (geografia linguistica) e della teoria delle onde, ha ritenuto più opportuno ragionare in termini di isoglosse e tramite concetti come la lega linguistica per cui i contatti e le convergenze tra lingue invece di rappresentare un’eccezione fastidiosa come vorrebbero i neogrammatici e i loro seguaci sono in realtà la regola in tutti i fenomeni linguistici.
Recentemente riscuotono grande successo i modelli nostratici che ipotizzano articolate comunanze tra diverse famiglie linguistiche, ma sempre secondo lo schema verticale dello Schleicher e delle protolingue, e si tratta spesso di modelli che eccedono nella retrodatazione “correndo indietro” fino al Paleolitico. Semerano invece – rispetto ai nostratisti – si può dire che è “rimasto con i piedi per terra” in quanto ha sempre puntato la sua attenzione sulle ultime fasi del Neolitico e sull’ingresso dei popoli nella Storia con la documentazione scritta: in pratica si è rivolto ai primi fenomeni linguistici ben documentati quelli registrati in Mesopotamia a partire dal III millennio a.C.
Per quali ragioni l’accadico è stato sottovalutato nella ricerca etimologica?
All’interno degli studi di comparatistica semitica, l’accadico è stato a lungo molto sottovalutato e forse anche poco conosciuto dagli stessi semitisti, in quanto la lingua di riferimento principale della famiglia linguistica semitica è tuttora l’arabo – così, come da sempre lo è il sanscrito all’interno delle lingue indeuropee. In sostanza, i semitisti non sono mai stati troppo interessati all’accadico giacché esso non rientrava bene nel modello linguistico di proto-semitico diffuso a partire dal diciannovesimo secolo, costruito intorno all’arabo. Per avere un’idea di ciò basti pensare che il famoso semitista inglese William Wright, una volta ebbe a dire che l’accadico era come il Cairene Arabic, tardivo e degenerato: ossia la più antica lingua semitica (l’accadico) avrebbe per lui costituito una degenerazione tardiva dell’arabo: cosicché la più giovane (l’arabo) sarebbe stata la più pura!
Se poi si pensa: che tra gli studiosi di accadico, sempre intenti ad indagare dettagli minutissimi e questioni micro e di nicchia, c’è stato a lungo scarso interesse per trattazioni macro o generali; e che essi hanno difettato in termini di comunicazione divulgativa, giacché gli studi da loro condotti sono sempre stati per lo più indirizzati agli stessi assiriologi e solo da poco si sono diffusi oltre la ristretta cerchia degli specialisti: allora si può comprendere bene come l’iper-specialismo e l’autoreferenzialità di questa disciplina non abbiano certo contribuito a rivendicare il giusto ruolo anche dal punto di vista dell’analisi comparativa per l’antichissima cultura mesopotamica e soprattutto per l’accadico.
È interessante rilevare che, sebbene ormai siano apparsi diversi studi volti a riconoscere l’importanza dell’apporto semitico, sembra che anche per questa via si vada perpetuando un certo sbilanciamento a favore della parte occidentale, vale a dire che viene valorizzato principalmente l’apporto West-Semitic. Sicuramente per via della grande importanza religiosa e storico-politica della lingua araba e di quella ebraica si continua cioè ancora troppo a minimizzare l’importanza dell’apporto East-Semitic, che invece a bene vedere costituisce quello originario. I rivoluzionari studi di Giovanni Semerano hanno evidenziato lo straordinario imprinting dell’antichissimo sostrato sumero-accadico e delle più antiche lingue semitiche, ipotizzando così l’esistenza di una più ampia unità mediterranea, largamente espansa verso occidente e verso il lontano oriente. Lo stesso Ellenismo fu ricchissimo d’influenze mesopotamiche, che a sua volta contribuì a diffondere tra i popoli del Mediterraneo e d’Europa. Ovviamente non si vuole sostenere che mai nessun linguista abbia compiuto tentativi di accostamento etimologico con l’accadico; e neanche affermare che mai nessun assiriologo abbia condotto ricostruzioni etimologiche sulla base dell’accadico. Ci sono stati infatti casi, specie con riferimento alla terminologia tecnica, commerciale, vegetale, marittima, … in cui alcuni studiosi hanno avanzato ipotesi di imprestiti semitici (emprunts) o anche riconosciuto l’ascendenza accadica di lemmi appartenenti alle lingue indeuropee, specie del greco, ma in definitiva si è sempre trattato davvero di raffronti su pochi casi isolati. È certo invece che mai nessun linguista prima di Giovanni Semerano ha ipotizzato e ricostruito, in modo cosí pervasivo, una tale quantità di etimologie basate prevalentemente sull’accadico e sulle altre antiche lingue semitiche del Vicino Oriente antico.
Perché la linguistica indeuropea, e soprattutto quella semitica, hanno manifestato dunque ferma opposizione nei confronti della prospettiva storico-linguistica indicata da Semerano?
In prima battuta si potrebbe pensare che gli oppositori di Semerano siano prevalentemente gli indoeuropeisti: indispettiti dalla sua critica alla “favola dell’indoeuropeo”; e che invece i semitisti siano meno critici verso Semerano: dato che egli con la sua opera ha riscontrato basi semitiche nelle lingue indoeuropee. Ed invece le cose non stanno proprio così: infatti, la critica più inaspettata, ma anche quella più insidiosa, giunge dagli studiosi di semitistica, che invece di trarre qualche soddisfazione nel veder riconosciuta, per il tramite degli studi di Semerano, una più grande importanza alle lingue da essi studiate, si sentono invece letteralmente spiazzati da quanto arriva a dimostrare la sua tesi. In poche parole, essi fanno capire – chissà se per malcelata invidia? – che se fosse vero quello che sostiene Semerano loro di certo sarebbero stati i primi ad accorgersene.
I critici di Semerano in sintesi sostengono che le sue etimologie si baserebbero su raffronti impressionistici e banali accostamenti che ignorerebbero le più elementari regole della linguistica comparativa. Assurda accusa per un filologo e linguista che ha a lungo dialogato con indoeuropeisti come Giacomo Devoto (di cui è stato anche allievo), semitisti come Giovanni Garbini e assiriologi come Giovanni Pettinato. Se si consultano i suoi dizionari etimologici ci si rende conto della loro straordinaria coerenza interna e di quanta sapienza e scienza siano ivi profuse. Del resto non è questa la prima volta che le consorterie e lo scientismo di cui esse sono espressione, accusano addirittura di ignoranza chi osa sfidarle con una vastità di argomenti che meriterebbe almeno di esser discussa.
Eppure basterebbe riflettere sul fatto che la pars destruens dell’opera di Semerano è perfettamente consonante rispetto a quella di altri insigni linguisti, basti citare Vittore Pisani tra gli indoeuropeisti e Giovanni Garbini tra i semitisti. Mentre la pars costruens, attraverso cui Semerano ha proposto migliaia di etimologie ricostruite in base alle lingue semitiche più antiche, è fondata sull’ipotesi ragionevole che la millenaria e capillare influenza culturale mesopotamica in un territorio tutto sommato circoscritto e ben definito, che ha interessato anche le coste del Mediterraneo, non poteva non veicolare anche la rilevante influenza linguistica sumero-accadica; soprattutto perché nel periodo tra il III millennio a.C. e il I millennio a.C. era possibile più che altro riscontrare diverse “parlate”, che dovevano presentarsi ancora piuttosto porose rispetto alle influenze esterne e non invece, lingue, così come le intendiamo oggi, condizionati come siamo dalla loro cristallizzazione e istituzionalizzazione avvenuta sotto gli Stati nazionali.
In definitiva Semerano non pensava che tutto, proprio tutto, derivasse dal versante più orientale del Vicino Oriente antico, ma certamente molto e molto di più di quanto si è fino ad oggi ipotizzato ed egli auspicava che tale conclusione potesse dar luogo ad un’irradiazione di fraternità tra i popoli delle varie sponde del Mediterraneo.
Giuseppe Ieropoli, laureatosi in Economia presso l’Università di Napoli, da diversi anni si dedica allo studio di questioni filosofiche, storico-linguistiche ed economiche secondo un approccio olistico. Suoi contributi sul pensiero filosofico di Emanuele Severino sono apparsi in volumi collettanei intitolati: “All’alba dell’eternità” (Padova University Press, Padova, 2018) e “Heidegger nel pensiero filosofico di Emanuele Severino” (Padova University Press, Padova, 2019). È autore del saggio: Giovanni Semerano e la dicotomia Indoeuropeisti e Semitisti (La Finestra Editrice, Lavis, 2018).