
Al ritorno dal viaggio del 1497, in Inghilterra si sussurrava che Giovanni Caboto avrebbe raggiunto l’Asia dei dominî del Gran Khan di marcopoliana memoria, su una rotta maggiormente settentrionale e quindi molto più breve di quella impiegata da Colombo nei suoi primi due viaggi. Ma non lo si poteva ammettere apertamente, perché secondo il trattato di Tordesillas stipulato nel 1494 tra Spagna e Portogallo con tanto di ratifica papale, tutte le terre non cristiane a ovest di un meridiano posto a 370 leghe dagli arcipelaghi delle Azzorre e di Capo Verde, sarebbero appartenute di diritto alla Spagna. Di conseguenza, si era parlato, a livello ufficiale, solo di “isole” come quelle di “Brazil” e delle “Sette Città”, già oggetto di ricerca in anni precedenti, soprattutto da parte della gente di Bristol, lasciandosi così sottotono le potenzialità commerciali di una scoperta come quella che secondo alcuni avrebbe aperto all’Inghilterra i ricchissimi mercati di seta, spezie e pietre preziose dell’Oriente. Naturalmente questo non poteva avvenire. Tantopiù che Giovanni Caboto alla guida di un’altra più grande spedizione partita da Bristol nel 1498, non aveva fatto più ritorno. Già a inizio XVI secolo era apparso chiaro che le terre trovate al di là dell’Atlantico, troppo grandi per essere semplici isole costituivano un continente, ma non l’Asia. Si trattava di un continente creduto privo di ricchezze e non colonizzabile. Opportuno, invece, provare ad aggirarlo a nordovest, in modo da raggiungere l’Asia su una rotta più breve di quella a sudest inaugurata dai portoghesi con Vasco da Gama. Ispiratore involontario di questi tentativi protratti poi per secoli senza successo: Giovanni Caboto. Ma allora il veneziano non aveva procurato nulla di utile all’Inghilterra Tudor di cui era stato al servizio. Si è trattato comunque di una tipica figura da Rinascimento italiano dalle poliedriche capacità: mercante, speculatore immobiliare, ingegnere, cartografo e navigatore. Ma per gran parte delle sue attività, si ignora se sia stato realmente un maestro in svariati campi del sapere e del fare come un Leonardo da Vinci, o se si fosse appropriato meriti altrui, oppure se avesse millantato competenze inesistenti. Certo è che godette della fiducia dei sovrani di Spagna e d’Inghilterra, anche se è altrettanto sicuro che nel 1488 dovette lasciare Venezia ricercato dalle autorità come debitore insolvente, per non ritornarvi mai più.
Quali tappe toccarono i suoi viaggi?
Nel 1497 partì da Bristol con la Matthew, una caravella probabilmente di una cinquantina di tonnellate e con 18/20 uomini di equipaggio. Mancano diari di bordo a documentarne il viaggio, né esistono testimonianze di prima mano in proposito, tipo quella di Antonio Pigafetta per l’impresa di Magellano del 1519/1522; né alcuno storico o congiunto se ne è occupato diffusamente, come invece verificatosi con Colombo. Su questo suo viaggio, comunque il meglio documentato, esistono solo testimonianze indirette di terza mano o peggio, frammentarie e talora contradditorie. Sono mancate anche attendibili indicazioni di rotta, come sulle latitudini e longitudini raggiunte, eccetto qualche ambigua informazione ad avere sollevato più problematiche di quante non ne abbia risolte. Di conseguenza, è stato notato che pur con le medesime fonti a disposizione, nessun studioso contemporaneo ha concordato con qualche suo collega a proposito dell’itinerario e dei luoghi raggiunti dal nostro.
Quanto è certo è che salpò da Bristol in maggio 1497, atterrò il 24 giugno al di là dell’Atlantico e compì una navigazione costiera per circa un mese; dopodiché, riattraversò l’Atlantico e in soli 15 giorni di navigazione raggiunse Bristol il 6 agosto dello stesso anno. Dal XIX secolo a oggi si è provato a individuare il luogo di approdo del veneziano, per il quale si sono indicate terre da capo Cod nell’odierno Massachusetts, poi nell’attuale Maine, Nuova Scozia, tante località di Terranova da capo Race a capo Bauld, infine la penisola del Labrador fino a capo Chidley all’estremo nord di essa. È dagli inizi della mia carriera di studioso, risalenti agli anni Ottanta, che mi sono occupato del tema Caboto, maturando a poco a poco l’idea di scrivervi una monografia apparsa finalmente nel 2022. Lungo questo arco di tempo – in cui non era mancata una puntata alla biblioteca civica di Bristol nel 1990 – pur costellato da lunghe interruzioni, mi sono convinto che l’atterraggio di Caboto potrebbe essere avvenuto plausibilmente a capo Cod, alla luce delle fonti e del fatto che il veneziano non avrebbe avuto intenzione di approdare a Terranova. In una località di essa sarebbe stata posizionata la leggendaria isola di Brazil, a lungo cercata dai marinai di Bristol per il suo legname creduto utile alla tintura dei tessuti e per le acque antistanti ricchissime di pesce. Per obiettivi del genere sarebbe bastata la gente di Bristol, senza la necessità di ricorrere a un veneziano che era stato già a Siviglia e a Lisbona a cercare sostegni a un’impresa che avrebbe emulato quella di Colombo di raggiungere il Catai, ma su una rotta settentrionale e quindi più breve. A questo scopo, Caboto si era presentato al re inglese Enrico VII con una carta e un globo in cui illustrare il suo progetto, procurati probabilmente in Portogallo. E l’ambiente descritto nelle fonti riguardo la “prima terra vista” da Caboto, risulta straordinariamente simile a quello apparso nel corso di una spedizione inglese avvenuta nel 1602 e toccante capo Cod, compreso la presenza di tantissimo pesce, soprattutto merluzzi, come nei Grand Banks davanti a Terranova. Nei giorni successivi al 24 giugno, Caboto avrebbe risalito le coste nordamericane, ma senza più sbarcare, per circa un mese, fino a raggiungere Terranova sudoccidentale in un punto chiamato “cavo de ynglaterra” sulla carta del mondo disegnata da Juan de la Cosa nel 1500, la prima conosciuta con una rappresentazione delle Americhe. Di là, Caboto sarebbe tornato a Bristol in soli 15 giorni, spinto con il vento in poppa dalla Corrente del Golfo.
Quale mistero avvolge la sua scomparsa dalla storia?
Tale era stato il successo del viaggio del 1497, che Enrico VII oltre a gratificare Giovanni Caboto con donativi e un vitalizio, aveva voluto equipaggiare una nave a spese della Corona e permettere la partenza di altre ad allestimento privato, affidandogli il comando di questa flotta per una spedizione in grande stile con partenza a maggio 1498. Le navi salparono regolarmente da Bristol, ma da allora di Giovanni Caboto si è persa qualsiasi traccia. Si sa che una nave su cui era imbarcato un frate che avrebbe dovuto contribuire all’evangelizzazione delle “nuove terre”, in seguito a danni avuti per una tempesta aveva dovuto approdare sulle coste irlandesi. Ma il resto della flotta, con Caboto, aveva proseguito la navigazione a ovest. Si dispone di un passo manoscritto della Anglica Historia del prelato e umanista Polidoro Virgilio di Urbino risalente al 1512-1513, a raccontare che l’unica terra toccata in questo viaggio da Giovanni Caboto si trova nelle profondità dell’oceano, dove si ritiene disceso insieme alla sua nave. Sembrerebbe tutto finito così, ma esistono indizi secondo cui gli eventi potrebbero essersi svolti diversamente. Nel 1829 lo storico spagnolo Martin Fernández de Navarrete aveva scritto che lo spagnolo Alonso de Ojeda nel suo primo viaggio [nel 1499] si era imbattuto in certi inglesi nei pressi di Coquibaςoa (golfo caraibico nell’odierno Venezuela). Navarrete è considerato storico attendibile e ben documentato, anche se in tale caso non vi è stato accenno alle fonti utilizzate. Che questi inglesi siano stati Caboto e i suoi che dalle coste nordorientali americane avrebbero disceso il continente fino al Venezuela, entrando negli spazi di pertinenza spagnola? Non si conoscono altre spedizioni inglesi transatlantiche in quegli anni da potere avere toccato tali latitudini. La carta manoscritta del mondo opera di Juan de la Cosa nel 1500 mostra le coste orientali dell’America del Nord costellate di bandiere inglesi, oltre a coste dell’America centrale e meridionale. Colombo non le aveva raggiunte. Chi avrebbe dato al cartografo queste informazioni? La Cosa aveva partecipato a questa spedizione di Ojeda, insieme ad Amerigo Vespucci, tornata in Spagna nel giugno 1500. Che esse siano state estorte dagli spagnoli agli inglesi di Caboto all’incontro presso Coquibaςoa?
A infittire maggiormente il mistero della scomparsa di Giovanni Caboto, contribuisce la quasi totale mancanza di informazioni su di lui dopo il 1498. I cronisti e gli storici del XVI secolo hanno menzionato il solo Sebastiano, facendo calare una coltre di nebbia sulla figura di Giovanni, ricordato solo come padre dell’altro Caboto. Voci malevole anche da parte di storici contemporanei hanno motivato tale silenzio con l’intenzione da parte del figlio di offuscare i meriti del padre per attribuirli a sé stesso. Ma questa tesi si pone in contrasto con la carta del mondo redatta da Sebastiano nel 1544 ora a Parigi, in cui una legenda a latere di essa riporta che la scoperta della “prima terra vista” è avvenuta a opera di Sebastiano insieme al padre Giovanni.
Non meno affascinante e ambigua è la figura di suo figlio Sebastiano.
La sua carriera è stata particolarmente lunga, essendo rimasto sempre in attività fino alla morte nel 1557, dopo il ritorno dalla Spagna per mettersi nuovamente al servizio dell’Inghilterra. Sebastiano aveva lasciato l’Inghilterra di Enrico VIII nel 1512 per assumere la carica di “capitan da mar” nella Spagna di Ferdinando d’Aragona. Nel 1518 viene nominato “piloto mayor”, la più alta carica navale della Spagna di allora, che terrà fino al 1548, quando tornò definitivamente in Inghilterra. Tra il 1526 e il 1530 guidò una spedizione che invece di raggiungere le Molucche come previsto a caricare spezie sulle orme di quella di Magellano, entrò nel Rio de la Plata risalendo i fiumi Paranà e Paraguay alla ricerca di favolose ricchezze di cui aveva avuto voce trovarsi presso la catena andina, nel paese di un misterioso “rey blanco”. Ne era conseguito un itinerario fluviale caratterizzato da incomprensioni, tradimenti, stenti e fame dovuti a un ambiente ostile, contatti con nativi ora amichevoli ma più spesso conflittuali da indurre a interrompere la spedizione stessa. Il tutto con la costruzione di un effimero dominio fluviale, con la figura di Caboto assurta a capo carismatico tra i nativi stessi, fino ai disastri finali. Vicenda, questa, richiamabile facilmente – con sensibilità tutta contemporanea – a quella uscita dalla fantasia letteraria di Joseph Conrad, Heart of Darkness. Comunque, Sebastiano risulta l’unica figura storica ad avere tentato, pur senza esiti favorevoli, di raggiungere l’Asia su tre rotte: una tra i ghiacci verso nordovest, un’altra attraverso lo stretto di Magellano e la terza con un impossibile passaggio a nordest, cercato non da lui personalmente ma comunque secondo una rotta ispirata da lui, con esito nel Mar Bianco presso la città russa di Arcangelo.
Tuttavia, di Sebastiano in questa monografia viene riportata solo la vicenda ad averlo visto protagonista di ricerca di passaggio a nordovest per l’Asia nel 1508-1509. Allora era diventato palese che il Nuovo Mondo, lungi dal costituire un’appendice dell’Asia, si trattava in realtà di un continente a sé stante, allora considerato improduttivo e quindi da scavalcarsi in favore di una rotta agevole per le favolose ricchezze asiatiche. E Sebastiano Caboto, reputato in Inghilterra abilissimo cartografo e navigatore nonostante la sua giovane età, guidò una spedizione in tale senso, a portarlo probabilmente ad affacciarsi sulla baia di Hudson. In proposito, si è raccontato che a causa di un ammutinamento dell’equipaggio fosse stato costretto a tornare indietro. Sebastiano rimase convinto di avere trovato il passaggio a nordovest per l’Asia, mentre in realtà si sarebbe spinto all’ingresso della baia di Hudson, sorta di Mediterraneo nordico ghiacciato per gran parte dell’anno, trappola mortale per le navi che si sarebbero immancabilmente bloccate nella banchisa a fine estate. Dunque, Sebastiano tornando indietro salvò probabilmente la sua vita, le navi e gli equipaggi.
Nonostante le numerose fonti a parlarne, non escono ritratti a tutto tondo sulla sua persona, che appare sfuggente, enigmatica. Come il padre, Sebastiano per tutta la sua vita beneficiò della stima dei sovrani, finanche dell’imperatore Carlo V. Ma ebbe anche acerrimi nemici tra gli ambienti mercantili e di corte, disposti a tessere contro di lui congiure e a pianificare rivolte non sempre affrontate dal nostro con la necessaria determinazione. I 36 anni passati a servizio della Spagna in cui aveva detenuto altissime cariche non gli avevano impedito di intrattenere rapporti spregiudicati sia con gli ambienti altolocati inglesi sia con Venezia, madrepatria lasciata dalla tenera età senza avervi fatto mai più ritorno. La storiografia cinquecentesca lo ha giudicato, in genere, abile cosmografo e cartografo ma pessimo comandante di uomini. Quella contemporanea tra tardo Ottocento e primo Novecento lo ha accusato, oltre che di incapacità di comando, di tradimento del paese che gli ha conferito fama, ricchezza e onori e di mancato rispetto degli ordini ricevuti. Ma questi ultimi giudizi risalgono a tempi di grande intensità dei nazionalismi europei, quando si tendeva ad attribuire all’età rinascimentale valori di attaccamento alla propria patria in fondo estranei al mondo di allora. Differente è stato il caso degli studiosi italiani, che hanno rivalutato la sua figura, motivando di volta in volta la legittimità delle sue scelte. Ma a oggi non esiste, neanche per Sebastiano, una monografia attuale ed esaustiva. Opera, questa, che intenderei realizzare prossimamente con la medesima casa editrice.
Qual è il lascito di Giovanni Caboto?
Giovanni Caboto poco dopo il suo ingresso rumoroso nella storia (e nella geografia) dell’Inghilterra, se era andato discretamente, quasi in punta di piedi e quasi senza lasciare traccia di sé. Infatti, dopo i suoi viaggi l’Inghilterra Tudor per quasi un secolo non ha preso in considerazione una eventuale colonizzazione dell’America del Nord sull’itinerario tracciato da lui: l’espansione marittima inglese iniziò solo in età elisabettiana. Tuttavia, appena scomparso Caboto subito dopo il 1498, appariva con sempre maggiore evidenza che il Nuovo Mondo scoperto da lui nel nord non poteva trattarsi dell’Asia. E quindi utilizzando la sua rotta nordica, inglesi e portoghesi avviarono la ricerca di un passaggio a nordovest per l’Asia creduta raggiungibile, una volta superati i ghiacci, in pochi giorni di navigazione. Oggi Caboto viene considerato lo scopritore della terra canadese, definito come “quello che è Colombo per il popolo degli Stati Uniti”. Anche se, in realtà, il suo vero lascito è stato il consolidamento della scoperta di aree atlantiche ricchissime di pesce e diventate per secoli paradiso dei pescatori provenienti dall’Europa. Comunque, nel 1997 alle celebrazioni per il quinto centenario della scoperta del Nordamerica, Giovanni e Sebastiano sono stati individuati come soggetti ideali multiculturali per i festeggiamenti relativi: nel viaggio del 1497 non erano avvenuti contatti con i nativi, evitandosi così l’accusa di instaurazione di rapporti asimmetrici nei loro confronti, con relativa sottomissione di questi; inoltre, i Caboto erano veneziani, cittadini di un Paese che a differenza di Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia non aveva partecipato alla conquista del continente vessando le popolazioni locali, fino a una creazione della nomea dell’uomo bianco schiavista, colonizzatore e distruttore delle culture altre da sé.
Antonio Violante si è laureato in lettere a indirizzo classico presso l’Università Statale di Milano nel 1980. Dopo anni di insegnamento nella scuola secondaria, dal 1998 al 2001 è stato docente nelle università di Seoul e di Belgrado. Nel 2001 è entrato come ricercatore di Geografia nell’ateneo che lo aveva formato, nel quale dall’aa 2014/2015 è professore associato. Attualmente insegna Geografia storica nel corso di laurea in Storia presso il Dipartimento di Studi Storici. I suoi interessi scientifico disciplinari hanno riguardato diversi settori della geografia (e della storia), dall’età antica alla contemporaneità, partecipando a congressi, con articoli, contributi in volume e monografie. Tra queste ultime, è autore di Luoghi e paesaggi della Bosnia ed Erzegovina, Guerini Scientifica, 2006; e, con Alessandro Vitale, L’Europa alle frontiere dell’Unione. Questioni di geografia storica e di relazioni internazionali delle periferie continentali, Unicopli, Milano, 2010.