“Giovani e politica. La reinvenzione del sociale” di Andrea Pirni e Luca Raffini

Prof.ri Andrea Pirni e Luca Raffini, Voi siete autori del libro Giovani e politica. La reinvenzione del sociale edito da Mondadori Università: quali prospettive sono state elaborate, in campo sociologico, per l’analisi dell’universo giovanile?
Giovani e politica. La reinvenzione del sociale, Andrea Pirni, Luca RaffiniLa ricerca sociologica sui giovani ha seguito tradizionalmente due binari: da un lato, gli studi sulla transizione alla condizione adulta, dall’altro, gli studi sulle culture giovanili. I primi si concentrano sui percorsi di riproduzione della società attraverso i quali i giovani acquisiscono progressivamente i caratteri e lo status della condizione adulta. I secondi focalizzano le espressioni culturali specifiche dei giovani considerando quello giovanile come un universo relativamente autonomo rispetto al resto della società. Si tratta di due prospettive scarsamente comunicanti: l’una improntata al paradigma strutturalista con tecniche di ricerca di tipo quantitativo, l’altra a quello dell’azione con strumenti di rilevazione sul campo di tipo qualitativo e non standard. A questi filoni tradizionali si aggiunge l’importante prospettiva generazionale che pone l’attenzione, appunto, sulle generazioni politiche ovvero sul gruppo di persone che sono state giovani nello stesso periodo storico e nello stesso contesto politico ed economico sviluppando caratteri specifici – spesso diversificati in unità generazionali, talvolta in conflitto fra loro – che ne definiscono l’agire anche oltre la soglia della giovinezza. Oggi, gli studi legati alla trasformazione della società suggeriscono di riconsiderare queste prospettive alla luce del mutato quadro di riferimento. La sfera politica costituisce un campo di particolare interesse per leggere la relazione tra giovani e mutamento sociale.

Quali sono i nodi principali dei processi di trasformazione della società in corso?
Innanzitutto, l’incertezza, che assume la forma del rischio, della vulnerabilità – diventata oggi condizione potenzialmente universale – e la reversibilità delle scelte e dei progetti di vita. Il concetto di precarietà, molto utilizzato negli anni passati, è a nostro parere oggi superato. Parlare di precarietà implica una comparazione con una condizione di stabilità, ma la stabilità è oggi scomparsa non solo dalle condizioni di vita, ma anche dai modelli normativi e dai valori.

Da questo punto di vista i giovani di oggi sono più equipaggiati per fare fronte all’incertezza perché la certezza non l’hanno mai esperita e hanno interiorizzato il principio del progetto e della scelta continua. In sé il passaggio da biografie standard, lineari, che legano il destino individuale a un destino collettivo, comporta rischi e opportunità, che non sono equamente distribuiti tra gli individui. Il fatto che non esistano più classi sociali chiaramente definibili non significa che non vi siano più differenze di classe, in termini di dotazione delle risorse economiche, sociali, culturali, che consentono di progettare il proprio percorso di vita e di proteggersi dai rischi.

Ma rischio e incertezza non sono gli unici processi che incidono sugli orientamenti e sulle pratiche dei giovani e sul loro rapporto con la politica.

Nel libro abbiamo cercato di riassumerle. Un altro processo trasformativo ha a che fare con la mobilità, sia spaziale sia virtuale, che porta i giovani a vivere un’esperienza di vita “oltre i confini” ovvero forme più o meno ampie di transnazionalizzazione dell’esperienza di vita. Un altro processo importante è la “presentificazione”: si tratta del tendenziale abbandono di progetti di lungo periodo, a favore di uno sguardo che si concentra sul presente come spazio di costruzione di alternative. L’individualizzazione – altro processo chiave – si lega a una propensione alla reticolarità: i giovani costruiscono le proprie relazioni connettendosi con altri individui in forma variabile piuttosto che legandosi saldamente a gruppi, da cui gli aderenti traggono la propria identità. Al contrario, l’identità è il frutto di un processo in divenire che prende forma dalle scelte effettuate e dalle connessioni costruite. Infine, se le generazioni dei loro nonni, e in parte dei loro genitori, erano abituate a vivere in una società composta di diversi ambiti di azione, tra loro rigidamente differenziati e ciascuno dotato del proprio linguaggio, oggi vi è una generalizzata tendenza al superamento dei confini tra, per esempio, lavoro, formazione, tempo libero, volontariato. O tra agire economico, agire sociale, agire politico.

Che relazione esiste tra giovani e politica?
Da molti anni ormai, vi è una narrazione diffusa che descrive i giovani come apatici, disinteressati, passivi. I giovani, si sostiene, non sono capaci di assumere protagonismo nella società, di realizzare delle scelte, di mettersi alla prova, di compiere sacrifici per raggiungere degli obiettivi. Non sono, si aggiunge, interessati e capaci di mobilitarsi, di lottare per i propri diritti e per conquistare un proprio spazio nella società, anche esprimendo conflitto. L’accusa che si rivolge loro, a ben vedere, è quella di rimanere sospesi in una condizione di limbo, che si protrae spostando sempre più in là l’acquisizione dello status di adulto. È una narrazione che non considera i fattori culturali e strutturali profondi che spingono oggi – in Italia più che altrove – i giovani in un cono d’ombra. E che, in particolare, non considera che i giovani sono oggi socializzati in un contesto che incentiva e promuove approcci individualistici – nel nome della competizione e del merito – e disincentiva l’azione collettiva. I giovani sembrano oscillare tra l’invisibilità e una tematizzazione pubblica come problema, e il multiplo scenario di crisi in cui stiamo vivendo non migliora certamente il quadro.

L’immagine dei giovani come individualisti e disinteressati alla politica si è cristallizzata, negli anni, sulla base di una comparazione più o meno esplicita con le generazioni precedenti, e in particolare quella che ha vissuto il Sessantotto, considerata l’emblema di una generazione proattiva e protagonista. Si tratta di una lettura assai parziale, che tende a enfatizzare oltremodo le presunte virtù delle generazioni precedenti quanto a stigmatizzare in maniera eccessiva i giovani di oggi.

Del resto, a ben vedere, le “accuse” che si rivolgono ai giovani possono essere oggi applicate all’intera società. Se il rapporto con la politica è permeato di individualismo, disinteresse, apatia, se non di tratti apertamente antipolitici, non di giovani stiamo parlando, ma dell’intera società.

Ebbene, questo è un lato della medaglia, quello di solito messo più in luce, e che riguarda il rapporto con la dimensione istituzionale della politica: con i partiti e con le istituzioni. Sull’altro lato, l’agire politico prende una pluralità di altre forme, che non riusciamo a cogliere se interpretiamo la politica solo in modo convenzionale. Non ci riferiamo solo all’associazionismo e ai movimenti conflittuali – a loro volta ambiti che vedono oggi partecipare i giovani quanto i meno giovani – ma, in particolare, a una serie di pratiche in cui la dimensione politica si “ibrida” e si integra in altre forme di azione. L’imprenditoria sociale, il consumo critico e l’economia collaborativa, per esempio. Molti giovani oggi si mobilitano in prima persona per trasformare l’ambiente in cui vivono, non rivolgendosi alle istituzioni, ma praticando quello che i colleghi Bosi e Zamponi hanno definito “azione sociale diretta”.

Il rapporto tra giovani e politica è insomma assai complesso, e passa anche per un processo di reinvenzione, che prima ancora che la politica riguarda il rapporto tra dimensione individuale e dimensione collettiva. La parte più proattiva dei giovani ci dimostra che l’individualizzazione, che è un processo irreversibile, non si traduce automaticamente in individualismo, e che sono possibili nuove forme di solidarietà e di azione collettiva (o meglio, connettiva, come suggeriscono alcuni colleghi statunitensi): una partecipazione che non celebra e mobilita un’identità preesistente ma che genera identificazione a partire dalla diversità e dall’eterogeneità delle condizioni.

Qual è il potenziale politico della giovinezza nella modernità radicale?
La modernità radicale è un tipo di società in cui le strutture sociali, economiche e politiche sono in discussione. Ciò significa che tutte le istituzioni, i modelli culturali, i tipi di relazioni sociali non vengono sistematicamente ri-prodotti ma, in misura crescente, criticati, rielaborati, modificati. Generando molteplici varianti. Queste sono il risultato dell’azione collettiva, in gruppi strutturati o in aggregati temporanei, ma anche dell’azione individuale. Alcuni sociologi definiscono questo fenomeno con l’espressione “riflessività sociale” e i giovani ne sono certamente fra i massimi protagonisti. Ciò in virtù della loro collocazione ibrida nella società: non sono più adolescenti ma non sono ancora… cosa? Di solito la dialettica è tra giovani e adulti. La stessa categoria di “adulto” è, tuttavia, oggi in discussione insieme alle dimensioni tradizionali della società: con adulto intendiamo qualcuno che ha terminato definitivamente gli studi, è inserito stabilmente nel mondo del lavoro, è autonomo dalla propria famiglia di origine, ha realizzato una propria famiglia attraverso una relazione sentimentale duratura, con dei figli e – venendo ai nostri fini – ha stabilito un’appartenenza politica definita e solida. Possiamo facilmente sostenere che gli individui rispondenti a tutti questi requisiti sono rapidamente in riduzione mentre, dall’altro lato, leggiamo un progressivo stiramento della giovinezza ovvero un protrarsi di caratteri tipicamente giovanili ben oltre le soglie anagrafiche tradizionali. In sintesi. In una società caratterizzata da forme sempre meno nette e più ibridate i giovani o, meglio, i caratteri qualificanti la condizione giovanile, assumono una rilevanza ben maggiore rispetto al passato. In che modo, dunque, i giovani hanno un potenziale politico importante? Perché reinventano il sociale agendolo direttamente. Che vuol dire? Molto meno influenzati da mappe cognitive consolidate e trasmesse dalle generazioni precedenti, i giovani compiono azioni che definiscono nuovi modi di realizzare e di interpretare le relazioni sociali.

In che modo i giovani stanno operando una sorta di ripoliticizzazione della società?
I giovani contribuiscono a una – parziale, difficile, incompleta – ripoliticizzazione della società perché attribuiscono nuovi significati alla politica e la praticano in forme innovative. In un contesto in cui la politica, nelle sue forme istituzionali, tende a depoliticizzarsi, rinunciando all’obiettivo di trasformare la società sulla base di valori, ideali e modelli, i giovani, spesso in forma inconsapevole, colorano di significati politici comportamenti e pratiche che scandiscono la propria vita quotidiana. La decisione di acquistare un prodotto invece di un altro, di attivarsi in un’officina di riuso, di utilizzare il bike sharing, di impegnarsi in una start-up di impresa sociale, da una parte, l’apertura nei confronti della diversità e degli orientamenti religiosi, sessuali, ecc, costituiscono un contributo a un modello di società più sostenibile, più equa, più aperta.

Naturalmente, la ripoliticizzazione della società segue una pluralità di forme. Lo scenario di crisi multiple, l’incertezza e le forme di vulnerazione che ne derivano si riflettono anche in fenomeni di neo-tribalismo e in orientamenti anti-democratici. Ma si tratta di dinamiche che non riguardano certo soltanto i giovani. Al contrario, i giovani appaiono meno propensi a questi atteggiamenti rispetto alle generazioni precedenti, in particolare quella di mezzo, la cosiddetta generazione x: una generazione vissuta a cavallo tra due mondi sociali diversi, generando una profonda disillusione.

Anche i giovani appaiono a tratti precocemente disillusi, e combinano questo sentimento con uno spiccato pragmatismo, che li distingue dalle generazioni di giovani che li hanno preceduti. Ma si mostrano nondimeno capaci di coniugare in forma inedita pragmatismo e idealità.

Andrea Pirni e Luca Raffini, sociologi della politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Genova.
Andrea Pirni presiede il Centro strategico di Ateneo su Sicurezza, Rischio e Vulnerabilità e insegna Processi partecipativi e di attivazione, Relazioni digitali tra cittadino e PA, Sociologia politica e rischio ambientale.
Luca Raffini, è vice-coordinatore del Corso di studio magistrale in Informazione ed editoria e insegna Sociologia politica dell’opinione pubblica e comunicazione istituzionale, Sociologia politica dell’Unione europea e Innovación social y cambio político.

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