
In questo quadro, i neologismi hanno lo spazio principale insieme agli arcaismi (per designare la parola desueta Manganelli crea il termine veterologismo, splendido cortocircuito verbale). Tra le due categorie, come l’autore afferma in più di un saggio, non c’è una reale differenza di status: le unisce la capacità di far evadere dalla prigione del linguaggio d’uso quotidiano, illuminando territori inconsueti, di cui magari non si sospettava neppure l’esistenza. Il Glossario raccoglie 1167 invenzioni lessicali: è un numero che fa di Manganelli uno degli onomaturghi più fecondi della letteratura italiana.
Non tutte le opere presentano lo stesso grado di ricchezza neologica: alcuni testi particolarmente complessi, a partire da Hilarotragoedia e Nuovo commento, raggiungono una densità di invenzioni (e in generale di parole non comuni) che non viene eguagliata in altri testi. Ma è notevole che ogni libro ospiti una certa quota di neologismi; ciò vale anche per le raccolte di saggi e articoli giornalistici, e persino per le lettere familiari e per le schede redatte nell’ambito del lavoro editoriale, pubblicate in volumi postumi. Manganelli è uno di quegli autori per i quali la ricchezza linguistica è un elemento sempre irrinunciabile: prendere la penna in mano per lui significa necessariamente fare appello alle risorse della scrittura letteraria; nessuna sua pagina può essere considerata meramente “di servizio”.
Lo stesso termine che dà titolo al volume, verbapoiete, è una creazione manganelliana..
Quella del titolo è stata una scelta obbligata: quale migliore etichetta per designare un inventore di parole (questo ovviamente il significato) di una parola da lui inventata? Il termine non è isolato nel corpus manganelliano. Oltre ad esso (e a veterologismo, che ho ricordato prima) ci sono varie altre parole che si riferiscono al campo semantico del linguaggio, inteso in senso ampio. Nel fondamentale Discorso dell’ombra e dello stemma, libro che mette in scena il mito di fondazione della letteratura, e ne celebra in modo anticonvenzionale le illimitate potenzialità, si trovano ad esempio autoleggersi ‘leggere le proprie stesse opere’ e autoscrivere ‘scrivere da sé’, prelettore lettore di testi non ancora scritti’ e traleggere ‘leggere attentamente’, nonverbo ‘parola che non appartiene alla categoria dei verbi’ e trasverbale ‘inesprimibile a parole’.
Tale dovizia è facilmente spiegabile: il linguaggio, nelle opere manganelliane, non è mai solo un mezzo, spesso diviene oggetto di rappresentazione o assume addirittura il ruolo di protagonista. Leggere e scrivere appaiono le attività umani fondamentali, quelle più coinvolgenti e anche più avventurose (uno degli amori letterari di Manganelli è Daniello Bartoli, che ha scritto un libro dettagliato sulla Cina senza allontanarsi dal centro di Roma). Ciò è particolarmente evidente nel caso del Discorso, che è dedicato a ragionare, come avverte il sottotitolo, del lettore e dello scrittore considerati come dementi (è bene specificare che la demenza non è vista come condizione negativa, ma come presupposto ideale della letteratura).
Quali procedimenti utilizza Manganelli nel creare parole nuove?
Si può dire che tutti i procedimenti possibili trovano realizzazione nelle pagine manganelliane. La maggior parte di coniazioni sfrutta i due sistemi più produttivi nella neologia italiana: la derivazione e la composizione. Ma è interessante il fatto che in parecchi casi i singoli elementi formativi utilizzati non appartengono all’italiano comune ma sono arcaismi: è ciò che si riscontra in angelescamente ‘in modo angelico’ o mestruomantile ‘assorbente intimo’ (mantile è una voce antica che significa ‘tovagliolo’). Inoltre, l’autore può adoperare anche formanti comuni in modo creativo, in particolare dando vita a composti in cui vengono unite basi disomogenee dal punto di vista stilistico. È ciò che capita in numerosi termini formati da sostantivi comuni o popolari legati ad elementi tecnico-scientifici; per esempio a partire da -dotto (usato normalmente in tecnicismi, come metanodotto) si hanno i bizzarri caccadotto, ideodotto, mortodotto.
Ben rappresentati anche i verbi parasintetici (formati cioè da una base a cui si aggiunge un prefisso oltre alla desinenza), come ingattirsi ‘assumere una tipica posizione da gatto’ o il notevole inlatebrarsi ‘nascondersi’ (da latebra, arcaismo molto caro a Manganelli); e i tamponamenti (fusioni di due termini di cui il primo viene accorciato), come animalizioso ‘che dimostra una maliziosità animalesca’ o taumatorco ‘taumaturgo che ha caratteristiche ripugnanti’ (qui in una sola parola è di fatto condensato un ossimoro: si tratta di una figura retorica che ritorna spessissimo nelle opere manganelliane).
Per dare almeno un’idea della varietà dei meccanismi formativi nelle pagine manganelliane ricordo telegraficamente anche quelli solo sporadicamente messi in atto: il glossario raccoglie retroformazioni (ciondolo ‘l’andare in giro oziosamente, il ciondolare’), metaplasmi (preta ‘sacerdotessa’), conversioni (acquitrino ‘che vive nell’acqua’, usato quindi come aggettivo), incroci (mondarca ‘re del mondo’), conglomerati (mammanonvuole ‘ritroso’) e onomatopee (haha ‘sorpresa divertente’).
Manganelli non si accontenta di rimanere nei confini della lingua italiana: episodicamente inventa infatti nuove parole latine (manumplectatio ‘colpo di mano’), greche (pornoepiscopoi ‘guardiani delle prostitute’) o inglesi (musiction ‘critica musicale che ha le caratteristiche proprie della scrittura di finzione’), e arriva a mescolare elementi appartenenti a lingue diverse, dando così vita ad ibridi italolatini (astroianua ‘porta del cielo’), italogreci (hyperipotesi ‘ipotesi onnicompensiva’), italoinglesi (cosmobehaviour ‘comportamento universale’), italofrancesi (boureauismo ‘atteggiamento da impiegato’; probabilmente si tratta di una svista: ci si attenderebbe bureauismo), italotedeschi (lumpendefunti ‘morti di bassa condizione sociale’), anglotedeschi (Narrenparnassus ‘parodia di Parnaso’: indica cioè uno scrittura fintamente elevata), fino ad un virtuosistico composto trilingue (Weltskybalon ‘escremento universale’).
Quale funzione svolgono le coniazioni di Manganelli?
È necessario parlare di funzioni, al plurale: infatti l’onomaturgia manganelliana può soddisfare esigenze diverse a seconda dei casi. Schematizzando si possono individuare due strategie più frequentemente messe in atto da Manganelli. La prima, relativamente semplice, consiste nell’usare parole inventate per conferire un tono brillantemente ironico al discorso; la si rileva soprattutto negli interventi giornalistici, o anche in pagine polemiche dei saggi letterari. Nei corsivi raccolti in Improvvisi per macchina da scrivere, per esempio, si trovano parecchi casi di questo genere; le neoformazioni vengono adoperate per sottolineare il carattere inconsueto, o francamente bizzarro, di ciò che di volta in volta ha catturato l’attenzione dell’autore: amatoteca ‘raccolta di ricordi di persone amate’, armitengolo ‘che detiene illecitamente armi’ (la protagonista dell’episodio raccontato è un’ottuagenaria che conservava in casa armi da guerra), scimpauomo ‘creatura concepita fecondando una scimmia con seme umano’ (si parla di possibili derive della ricerca scientifica). L’esempio più notevole è probabilmente erodismo ‘teoria per la quale è giusto uccidere i bambini’: Manganelli porta alle estreme conseguenze il suo amore per i paradossi esponendo in un vero e proprio manifesto «l’ideologia della Strage degli Innocenti».
La seconda direzione che può prendere l’onomaturgia manganelliana si spiega con l’idea, sostenuta in varie occasioni, secondo la quale le parole non si limitano a descrivere la realtà, ma di fatto la creano: l’invenzione delle parole è quindi una sorta di incantesimo, attraverso il quale lo scrittore può infondere vita a ciò che immagina, alle sue allucinazioni. In Hilarotragoedia viene esposta una teologia negativa: in questo libro tanatocentrico (cioè incentrato sulla morte) tutti gli uomini sono destinati all’inferno (sono quindi adediretti o inferanti, pronti a divenire infernici), e nella loro discesa (catalevitazione), nel corso della quale incontrano creature sventuranti, si dimostrano comprensibilmente angosciastici. Nel Discorso sulla difficoltà di comunicare con i morti (in Agli dèi ulteriori), per provare a raggiungere la tanatocomunicazione a cui fa riferimento il titolo è necessario rifarsi alla tanatoglossa, cioè alla ‘lingua dei morti’ (anche chiamata avernese), e servirsi alla bisogna di strumenti come il defuntofono; ma l’impresa rischia di rivelarsi deludente: tra coloro che hanno passato l’infuocata piroporta che immette nell’aldilà possono esserci creature poco nobili come i metateppisti, gli spaccalampioni e persino gli stupranonne.
Molte opere di Manganelli contengono elementi propri della letteratura fantastica, interpretata perlopiù in modo non canonico. Nell’ultimo libro pubblicato in vita, Encomio del tiranno, prende corpo un catalogo di creature immaginarie che pare la riattualizzazione postmoderna dei bestiari medievali: vi si raccolgono tra gli altri l’optodonte (che ha occhi forniti di denti), l’anacardio (privo di cuore), l’udenopto (privo di identità ma provvisto di un occhio) e infine, più inquietante di tutti, l’agatosauro, dedito ad opere buone.
Credo che dagli esempi che ho portato emerga chiaramente come in alcune opere la creazione di neologismi possa concorrere alla fondazione di mondi mentali. In generale, le scelte linguistiche di Manganelli possono essere interpretate correttamente solo mettendole in relazione con i contenuti, attraverso un’analisi stilistica ad ampio raggio. È quello che sto cercando di fare in un volume che conto di pubblicare nel 2022, per il centenario della nascita di uno degli autori italiani più importanti del secondo Novecento.
Luigi Matt è Professore Associato di Storia della lingua italiana presso il Dipartimento di Storia, scienze dell’uomo e della formazione dell’Università di Sassari. È condirettore degli «Studi linguistici italiani».