“Giochi di parole e traduzione nelle lingue europee” di Fabio Regattin e Ana Pano Alamán

Dott. Fabio Regattin, dott.ssa Ana Pano Alamán, avete curato insieme l’edizione del libro Giochi di parole e traduzione nelle lingue europee pubblicato da Aracne: cosa si intende con l’espressione «gioco di parole»?
Giochi di parole e traduzione nelle lingue europee, Fabio Regattin, Ana Pano AlamánLa domanda sembra banale, ma in realtà non lo è per nulla… e una prima risposta potrebbe essere: dipende! Un dizionario (qui ci serviremo dell’ottimo Treccani disponibile online) lo definirà come un “bisticcio, doppio senso, fondato sul contrasto di significato fra vocaboli o locuzioni di suono identico o simile, o sequenza di parole, promossa da intenzione umoristica o ironica, e rafforzata nei suoi effetti dalla genesi immediata e imprevista, che si vale di assonanze e associazioni per deviare l’attenzione da una sfera di significati serî e impegnativi a un’altra, più semplice, familiare e talora banale, o anche per rivelare il sottinteso inconscio di un discorso”. Ma è possibile considerare giochi di parole (o “parole in gioco”, per rubare un’espressione usata da Stefano Bartezzaghi) moltissime pratiche testuali che non rientrano in questa definizione. È almeno quel che abbiamo deciso di fare nel nostro libro, dando spazio ai giochi di parole in senso stretto ma anche a molti usi ludici del linguaggio. Dai giochi enigmistici citati, tra altri casi più canonici, nell’intervento di Stefano Bartezzaghi agli esempi di composizionalità pazzesca del tedesco di cui parla Barbara Ivančić, fino ai palindromi presentati da Gabriella Imposti.

In che modo le varie lingue giocano con le parole?
Una caratteristica condivisa da tutti i giochi di parole, sia nella loro accezione ristretta sia in quella più ampia, è quella di essere legati, più che al significato, alla materialità della lingua – suoni, lettere… –, ovvero a quello che in linguistica chiamiamo “significante”. E, dato che per definizione lingue diverse sono fatte di una materia diversa, ognuna tenderà a giocare in certi modi, a preferire o a suggerire determinati tipi di gioco a scapito di altri. L’evoluzione del francese o dell’inglese, per esempio, ha dato vita in queste lingue a una serie molto ampia di omofoni e paronimi (parole che, pur scritte in modo diverso e aventi significati diversi, si pronunciano allo stesso modo o in modo molto simile); il tedesco può giocare proprio sulla composizione – ricorsiva, volendo, e quindi potenzialmente infinita – delle parole, che possono diventare insensatamente lunghe; l’italiano o lo spagnolo dispongono di queste ricchezze in minor misura, ma hanno altre modalità di gioco, spesso legate alla polisemia di molte parole. E chissà come si potrebbe giocare con le parole in cinese o in giapponese! Quanto a noi, ammettiamo una totale ignoranza della questione: evidentemente, c’è spazio per molti altri libri sull’argomento.

Cosa unisce le varie anime del gioco linguistico?
Anche questa risposta potrà sembrare scontata: a unirle tutte è il gioco! C’è sempre una parte ludica in queste pratiche. E questa parte ludica emerge, crediamo, anche dagli interventi che abbiamo raccolto nel nostro volume – interventi seri e scientifici, certo, ma che non perdono di vista il loro oggetto, e che sanno stupirsi, divertirsi e divertirci parlando dei casi di cui trattano. D’altra parte, come si evince dalle analisi sulle diverse lingue considerate e dalle proposte traduttive raccolte, ciò che accomuna le varie anime del gioco è anche la volontà di scrittori e poeti, ma anche di tutti i parlanti, di sfruttare al massimo le possibilità espressive della propria lingua, tramite la manipolazione più o meno geniale dei segni a livello fonetico (suoni), morfologico e lessicale (sillabe e parole). Il tipo di manipolazione che chiamiamo gioco linguistico permette di scoprire, nel doppio senso di intuire e mostrare in modo sorprendente, che ciò che diciamo racchiude infinite possibilità comunicative.

Quali problemi presenta la traduzione dei giochi di parole?
Abbiamo visto come il gioco di parole sia fortemente legato alla materialità del segno linguistico, come si nutra – più che di significati – di forme, di significanti. Ma la forma, il significante, è proprio ciò che in traduzione siamo obbligati a sostituire. Gli articoli che abbiamo raccolto sono tutti frutto di una riflessione che parte da questo dato ineliminabile.

Per esempio, nel primo contributo, Dire quasi le stesse due cose, Stefano Bartezzaghi considera gli anagrammi, la crittografia mnemonica, gli indovinelli e altri casi di “sistematica dell’ambiguità” – la definizione che l’autore dà dell’enigmistica – per sostenere che il lavoro del traduttore di fronte a questi fenomeni consiste nel soppesare le relazioni e le differenze che si pongono fra langue e langue, tra due codici linguistici. Da qui l’idea che tradurre i giochi di parole sia in un certo senso dire due volte (quasi) la stessa cosa.

Nel testo Il Labor Day di GiorGio e il PlayDay del Labrador: la traduzione dei giochi di parole come pratica pedagogica, Franco Nasi considera la traduzione di giochi di parole una pratica didattica che può permettere agli studenti di lingue di migliorare, divertendosi, la propria competenza linguistica. Ma non solo: essa può anche dotarsi di una valenza pedagogica e politica, in quanto sollecita il pensiero critico e la creatività.

Nell’articolo Per non restare a bocca asciutta. Tradurre pun e giochi di parole in testi letterari, audiovisivi e giornalistici, Marina Manfredi si concentra sui pun in lingua inglese e sottolinea come numerose tipologie testuali facciano spesso ricorso ai giochi linguistici, per via della struttura di questa lingua e della tradizionale passione per i giochi verbali della cultura britannica. Attraverso l’analisi di numerosi esempi di traduzione, dimostra come tradurre pun e giochi di parole sia non solo possibile, ma anche auspicabile e gratificante.

Barbara Ivančić, in La libertà di giocare. I giochi di parole negli autori plurilingui di lingua tedesca, parte da un esempio comico e volutamente estremo, che le permette di approfondire il principio di composizione e la creazione di parole che condensano i significati e che possono arrivare a colpire e confondere il destinatario. Ivančić prende in esame la traduzione di alcune parole composte nei testi di autrici che “vivono in più lingue”, e conclude sottolineando come lavorare su questi testi porti anche il traduttore a provare un senso di piacere e di libertà.

Il testo “L’ape vale se vola”: tradurre le parole in gioco nei versi di Gloria Fuertes, di Ana Pano Alamán, propone uno studio dei numerosi giochi paronimici e dei calembour presenti nei versi della poetessa spagnola Gloria Fuertes. Come dimostra la riflessione attorno alle proposte di traduzione dei giochi verbali analizzati, il traduttore affronta una doppia sfida e compie un doppio movimento: deve prima identificare i dispositivi linguistici che stanno alla base del gioco nel testo di partenza, e poi cercare le forme e i sensi che permettano di rigiocare con le parole della lingua-cultura di arrivo.

Nel suo Biodiversità, paesaggi adattativi, svincoli. Pratica della traduzione à contrainte con Perec, Prévert, Queneau e Vian, e alcune conseguenze per una didattica della traduzione, Fabio Regattin lavora a cavallo tra il francese e l’italiano. Una prima parte dell’articolo offre il resoconto di due seminari dedicati alla resa dei testi à contrainte. I risultati ottenuti in quelle occasioni vengono poi incrociati con due nozioni tratte dalla biologia, “biodiversità” e “paesaggio adattativo”. Da questo incontro emerge la necessità di moltiplicare, in una prima fase del lavoro di traduzione, le opzioni traduttive: solo in questo modo sarà possibile arrivare a soluzioni soddisfacenti.

Infine, l’articolo di Gabriella Elina Imposti, Palindromo e traduzione, restringe il campo del gioco di parole al palindromo, ma amplifica l’area linguistico-culturale esplorata, mediante un’analisi che unisce il russo (lingua di partenza) a inglese, tedesco e italiano (lingue di arrivo). Il contributo offre un’interessante storia del palindromo nella letteratura russa, concentrandosi in particolare sul poeta Velimir Chlebnikov e sui suoi componimenti Pereverten’ e Razin. Segue una raffinata analisi-traduzione di due versioni del primo dei due testi – quella “semantica”, in inglese, e quella “formale”, con riproduzione del vincolo originale, in tedesco.

Come si vede, la carne al fuoco è tanta… Se siete arrivati fin qui, il consiglio che possiamo darvi è il seguente: leggete il nostro libro, ma poi passate alla pratica, che, secondo molti degli autori qui riuniti, resta il modo migliore per apprezzare il gioco di parole – un anagramma del quale, significativamente, recita “crealo, poi godi” (provare per credere!).

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