
Un ideale di grazia che si manifesta nel suo aspetto pittorico e plastico nel mondo occidentale e in quello poetico e spirituale nella tradizione orientale: concezioni apparentemente lontane, ma unite da una comune ininterrotta aspirazione dell’armonia che si esprime in una tensione estetica rivolta ad un unico obiettivo, quello della perfezione e dell’equilibrio fra arte, umanità e natura.
Che valore assume, in Oriente, il giardino?
Nella tradizione etico-filosofica cinese, il giardino si identifica con un universo poetico che riconcilia la semplicità dell’esistenza con la grandezza del cosmo. È la trascrizione tridimensionale di un’immagine spirituale, di un insieme di sensazioni che non hanno un’immediata corrispondenza formale, ma che generano emozioni e sono soggette alla capacità dell’animo di sintonizzarsi con gli elementi che lo compongono e con lo svolgersi del tempo.
Per capirne lo spirito bisogna liberarsi da ogni condizionamento occidentale riferito ad una composizione architettonica – spesso derivata da ideali collettivi o sociali – ed immergersi in un mondo sensoriale e spirituale, in cui l’obiettivo principale è il raggiungimento di un’armonia dinamica che varia in relazione al tempo, al movimento e agli stati d’animo. Siamo di fronte alla trasposizione tridimensionale di un componimento poetico, in cui è possibile sostare, muoversi e indugiare. Come un poema è interpretabile e godibile in relazione alla sensibilità del lettore, ma deve rispondere a una logica unitaria, che si articola in più parti ed è arricchita da più presenze, che si combinano secondo una logica “mutevole”, che si rinnova continuamente in relazione allo spirito che lo anima e ai sentimenti di chi lo vive.
Un percorso che accomuna Cina e Giappone, fino al prevalere in quest’ultimo del pensiero Zen, quando il giardino diventa il luogo dello spirito, dove l’individuo può perdersi nella natura e nel tempo. Il giardino zen non si attraversa, si contempla. Anche qui, non ci sono regole o modelli da seguire, ma solo principi cui far riferimento, che però non rispondono ad elaborazioni poetiche in quanto sono gli elementi stessi (acqua, rocce, vegetazione) che, animati dal “soffio vitale” della natura, generano la composizione e guidano la sensibilità di chi, con umiltà, ne definisce le forme. È l’empatia con la natura che compone il progetto e ne modella il carattere, in cui ogni presenza superflua è bandita: l’obiettivo è quello di “spogliare” la natura per poter raggiungere l’essenza universale che essa racchiude aldilà delle apparenze. Il giardino diventa così la rappresentazione dell’immensità dell’esperienza, dove anche l’ambito più piccolo, limitato da semplici mura, contiene un universo senza limiti.
Che funzione svolge, nel Medioevo e nel Rinascimento, il giardino?
Nell’Alto Medioevo gli orti entro le mura producono erbe e ortaggi per la cucina, nei conventi vi sono anche erbe medicinali, fiori per gli altari e non mancano alberi da frutto. I documenti fanno riferimento a un centinaio fra piante, erbe e fiori, coltivati per bellezza e per utilità (rose, gigli, malva, papavero ecc.). È un’agricoltura di sussistenza che si applica su un territorio percorso da guerre e malattie e che, solo dopo l’anno Mille, potrà riprendere un cammino operoso. Il giardino tuttavia esiste e non è solo luogo di utilità, ma anche di cura dell’intelletto (interesse per la botanica) e dello spirito tanto che si identifica come oasi mistica, materializzata dal chiostro, in cui la gloria del Signore è associata alla figura di Cristo, il Giardiniere che cura l’orto e la vigna del Padre.
Il chiostro come ambito protetto si avvicina come architettura alle corti-giardino dei palazzi arabi nel Mediterraneo: recinti di natura e di silenzio. Molti sono gli elementi comuni, dalla configurazione dello spazio (recinto e protetto) alla suddivisione del piano in quattro settori con al centro un elemento dominante segnato dalla presenza dell’acqua. Se per il cristianesimo i quattro bracci rappresentano la croce e il sacrifico di Cristo, nel mondo arabo la quadripartizione, che origina dalla tradizione geometrica dell’irrigazione persiana, enfatizza il significato del numero 4 che assume un valore cosmico inverandosi nel quadrato e nel cubo che raffigura la summa delle manifestazioni naturali.
Dopo il Mille, al filone mistico e all’interesse per le piante si affianca il piacere di stare all’aperto e nel corso del Trecento, con il miglioramento dell’economia in tutta l’Europa, i giardini diventano il complemento di molte dimore, tanto da essere definiti da Pietro De’ Crescenzi “necessari per tutte le persone”.
Col progredire degli scambi e dei commerci l’Italia centrale raggiunge una particolare floridezza che si riflette nelle arti e si affiancano all’interesse e alla conoscenza delle scienze e delle leggi universali. È la cultura che caratterizza l’Umanesimo e impronta la società ad una visione più razionale, tecnicamente orientata, che pone la logica e l’armonia delle parti come dell’insieme alla base dei nuovi canoni estetici, scanditi dai ritmi dettati dalle Regole, la cui perfezione è parte di una Ragione fondata sulla “divina proporzione” che, attraverso l’applicazione della prospettiva, è controllata e misurata su e da l’Uomo. La grande lezione del Rinascimento è in atto e la costruzione del giardino si lega all’architettura ed è architettura essa stessa: una sorta di proiezione a terra dell’edificio che ha le caratteristiche di un prospetto architettonico, con impianto regolare all’interno di uno spazio definito, segnato da partizioni geometriche, ordinato secondo un asse di simmetria e ispirato a criteri di immutabilità della scena, in cui si privilegiano le siepi sempreverdi, le statue e i decori fissi e i fiori non sono protagonisti.
I giardini di Versailles incarnano l’epoca dell’assolutismo: come nasce e si sviluppa tale modello?
La nascita di un modello è sempre da ricercarsi nell’organizzazione sociale e politica che lo genera. Nel corso del Seicento il cambiamento del gusto è parte di un rivolgimento sociale, che vede la nobiltà impoverirsi e vivere in posizione parassitaria all’ombra della corte, mentre la ricchezza è nelle mani del re e degli alti funzionari dello Stato.
La costruzione del “bello” non passa più per la ricerca della Misura (l’armonia e le regole), ma per un artificio complessivo e sovraordinato in cui l’arte è ispirata dal sovrano e portata al popolo come graziosa concessione di cui tutti, operatori e fruitori, possono godere e in cui tutti possono (o devono) riconoscersi in quanto riflette ideali estetici proposti da un’investitura che deriva direttamente da Dio e quindi è, sacralmente, perfetta. Il paese che più incarna questo ideale è la Francia che con Luigi XIV consolida un potere esclusivo e assoluto, che necessita di una cornice e di una rappresentazione adeguata. Versailles, la nuova reggia voluta fuori Parigi, è concepita come una scena trionfale articolata in tre aree: la città, il castello e il giardino o meglio un parco stupefacente in grado di celebrare la sfarzosa della vita di corte e la gloria del sovrano: il Sole che illumina la Francia.
È la definizione e la consacrazione della scena barocca, segnata non solo dalle ricercatezze e dalla ricchezza del decoro, peraltro già presenti nel manierismo, quanto dalla magnificenza e dalla profondità del campo visuale che si allunga sul terreno e si serve della prospettiva per dilatarne la portata e introdurre il legame con l’immensità dell’infinito.
Quale cambiamento impone l’industrializzazione?
L’Illuminismo e la Rivoluzione francese travolgono ogni gerarchia di potere: la natura e la campagna guidano i nuovi modelli che si aprono al paesaggio. Un idillio campestre che finisce con l’industrializzazione e la forte crescita della popolazione nelle città. Il progetto del verde passa da manifestazione individuale di raffinata ricchezza alla definizione di aree pubbliche in un contesto pianificato.
Si può dire che il verde attrezzato nasca con la città ottocentesca, nella quale compaiono, organizzati secondo un piano urbanistico, parchi, viali e giardini. Tipologie e funzioni che definiscono ancora oggi il verde urbano come contributo per la salute degli abitanti (il ‘polmone verde’ per il ‘respiro’ della città), con spazi attrezzati per l’esercizio all’aperto, il riposo e la sosta in ambiti dove la salubrità dell’aria si accompagna all’idea della reintroduzione della natura in città. Al successo di queste sistemazioni contribuiscono l’interesse per l’estetica urbana e una crescente curiosità scientifica che esplode nella costruzione di orti botanici, giardini specializzati e nelle esposizioni floreali, che si accompagnano all’interesse economico per la valorizzazione dei terreni adiacenti ai parchi.
Il volto delle città cambia: Il giardino continua ad essere uno status symbol, ma il suo inserimento in un adeguato tessuto urbano conferma l’opulenza e le doti organizzative della classe dirigente borghese. Sono gli anni dei grandi piani di sistemazione urbanistica e di “risanamento” delle capitali (Parigi, Londra, Vienna ecc.), in cui il verde è protagonista delle trasformazioni, sostituisce le cinte murarie e si pone come raccordo fra i tessuti urbani più antichi e le nuove espansioni.
Quali modelli caratterizzano l’era contemporanea?
Il concetto di giardino, per come era concepito in passato, oggi non esiste più: all’arte di progettare la natura si è sostituita la necessità di curarla e interpretarla per accordarne l’evoluzione alle trasformazioni della vita dell’umanità e del pianeta. Modelli, tendenze, esigenze estetiche e funzionali si combinano in relazione alle collocazioni geografiche e alle scale d’intervento, da cui emerge un meticciato di gusti, stili, aspirazioni orientate verso lo spazio pubblico e con un’ottica che è passata da particolare a sistemica, in cui ogni intervento deve confrontarsi con il territorio attraverso le sue molteplici articolazioni e relazioni per contribuire ad una generale riqualificazione ecologica in cui tutte le scale d’intervento, come tutte le situazioni, sono comprese e non ignorabili.
Il progetto del verde è, ormai, parte integrante della strategia di contrasto ai mali del pianeta. Scienza e tecnica, competenze e risorse, sono sostegni indispensabili e necessari, ma non va dimenticato come l’estetica giochi un ruolo non secondario nel ridare dignità a luoghi e persone, acquistando la dimensione etica e politica di interprete e misuratore di dignità ed equità. In quest’ottica il progetto dello spazio pubblico esprime l’esigenza sociale di una progettazione legata al territorio, rispettosa di quantità e qualità, di requisiti di sicurezza e funzionalità, attenta al benessere e alla biodiversità, ma anche capace di definire ambiti gradevoli e confortevoli. All’utilità e alla bellezza si aggiunge, infatti, in relazione alle crescenti estensioni e concentrazioni urbane, la necessità di disporre di una presenza capillare e diffusa di verde, in cui ogni segmento diventa la tessera di un mosaico sistemico di interazioni e integrazioni.
Restaurare, recuperare, rigenerare e riqualificare sono oggi le azioni prioritarie in cui confluiscono scienza, tecnica, arte, inclusività ed estetica: il microcosmo del giardino si è aperto all’intero mondo e offre la sua storia di cultura, bellezza e utilità al futuro della Terra.
Mariella Zoppi, architetto, professore emerito dell’Università di Firenze, ha progettato piani urbanistici, parchi e giardini in Italia e all’estero e insegnato a Berkeley (University of California) e alla Zhejiang Normal University (Cina). Fra le pubblicazioni: Progettare con il Verde (3 vol. 1989-92) Storia del giardino in Europa (1995, ingl. v. 2019), Beni culturali e comunità locali (2007), Le Voci del Giardino (2015), Vivere i centri storici (2017), Zhejiang: il tempo e le acque (2018), La lunga storia della legge urbanistica del ’42 (2018), I giardini di Boboli: una passeggiata nella storia (2020).