Da quando ero un bambino piccolissimo, quattro o cinque anni. Ne ho parlato nel mio libro Ragazzo italiano, che è uscito l’anno scorso. Da allora non ho mai trovato niente di più divertente e appassionante. Diverso il discorso per quella che io chiamo la mia vocazione editoriale. Questa è nata al liceo ed è proseguita all’università. Quando mi sono laureato, sapevo che a me i libri piaceva leggerli, ma che mi interessava molto farli. Volevo sapere i meccanismi, i mestieri, tutto il lungo processo che porta i libri ad essere quello che sono. Ho molto sgomitato per poter arrivare all’interno di una casa editrice. (Aggiungo che la apoditticità del titolo del mio libro intitolato appunto Libro, non è mia, ma è una caratteristica della collana in cui è comparso, che prevedeva un titolo di una sola parola, come, per dire, Democrazia, Libertà, eccetera.)
La Sua opera prima si intitola apoditticamente Libro: nella società attuale, tecnologica e iperconnessa, quale ruolo per i libri?
Secondo me il ruolo, la funzione dei libri non è minimamente stata intaccata. Vedo che tutt’oggi le cose veramente importanti, le idee che cambiano il mondo, i mutamenti del gusto, l’avvento di nuove sensibilità, passano primariamente attraverso i libri. Rimangono la spina dorsale del nostro universo culturale.
Inoltre i libri, attraverso il loro mezzo espressivo che è la scrittura, possono dar luogo a una specifica forma d’arte, la letteratura, che più di ogni altra attraversa il tempo e parla direttamente a ciascuno di noi.
I dati Istat evidenziano come oltre il 60% degli italiani non legga: quali a Suo avviso le cause e quali le possibili soluzioni?
Le cause sono storiche e hanno a che vedere con le vicende, e gli squilibri, del nostro Paese. Quando l’Italia si è unita, nel 1870, gli analfabeti erano circa il settanta per cento della popolazione ed erano rimasti il trenta alla vigilia della seconda guerra mondiale. Tutt’oggi, per quanto riguarda i tassi di lettura e acquisto dei libri, l’Italia settentrionale appartiene all’Europa continentale, l’Italia meridionale all’Europa mediterranea. Quanto ai rimedi, la soluzione è nell’educazione alla lettura. Sulla quale oggi disponiamo sia di conoscenze scientifiche sia di esperienze accumulate negli ultimi anni. La scienza, la neurofisiologia in particolare, ci dice che l’assuefazione, cioè la familiarità con il libro, nasce prestissimo, nei primi anni di vita e una volta acquisita non si sradica più. Tra le esperienze pratiche, notevole è quella della benemerita associazione Nati per leggere, che ha messo insieme pediatri e bibliotecari dimostrando in concreto come si possa fare una concreta educazione alla lettura e al libro. Su questi principi si era provato gli anni scorsi ad avviare una sperimentazione mirata, prodromo necessario a una vera e propria campagna nazionale. Il progetto è stato poi lasciato cadere a favore di manifestazioni di maggiore impatto mediatico, ma di sostanziale inutilità. Il problema non sono tanto i costi, in sé non stratosferici, quanto la gittata del progetto, i cui risultati diventano visibili a decenni di distanza. Un arco temporale troppo lungo, inconciliabile con i tempi e le esigenze della politica.
Lei è stato per anni ai vertici di Mondadori Libri: quali prospettive, a Suo avviso, per il mercato editoriale italiano?
Il mercato dei libri in Italia è stabile, se si è ottimisti, o statico, se si è pessimisti. Non subisce significative variazioni nel tempo. È costituito da un nucleo ferreo di lettori abituali, intellettuali certo, ma non solo, anche casalinghe e gente comune, i quali sono librodipendenti, ai libri non rinunciano. Intorno al nucleo dei lettori abituali, che determina il mercato, si stende una cintura periferica di lettori saltuari che comperano libri in quanto sono conseguenze o derivati di altri media, televisione, giornali, social. Mentre i lettori abituali permangono nel tempo, quelli saltuari si avvicendano a seconda delle ondate mediatiche. Nel 2020 il mercato italiano si è dimostrato impermeabile al COVID, è rimasto quello che era, con un valore di un miliardo e due-trecento milioni, crescendo sul 2019 di poco più dell’uno per cento. Una dimensione più che rispettabile, e infatti quello dei libri è di gran lunga il maggior consumo culturale in Italia, tre volte quello del cinema (box office 2019, cioè pre COVID) e quattro quello della musica. La prospettiva realistica è quella di mantenersi così com’è. L’apertura di nuovi orizzonti sarebbe legata a un consistente e progressivo aumento dei lettori abituali, il che non è per ora alle viste.
Quali consigli darebbe ad un aspirante scrittore?
All’aspirante scrittore consiglierei a) di scrivere e riscrivere fino a quando è convinto di non poter far meglio di così; b) di far leggere il suo testo al maggior numero possibile di persone del cui gusto e del cui giudizio si fida; c) se ha ottenuto un buon numero di consensi, di cercarsi un agente. Oggi ve ne sono parecchi, giovani e bravi.
La tecnologia fatta di tablet ed e-book reader insidia il libro cartaceo: quale futuro per i libri?
Nessuna insidia. Il libro è sempre il libro, sia in formato elettronico, sia stampato su carta, sia persino come audiolibro. La scelta tra una versione e l’altra è una questione di gusto, di comodità e di propensioni individuali. Io, ad esempio, leggo indifferentemente in entrambe le versioni, stampata ed elettronica, con una preferenza per quest’ultima quando si tratta di libri che non penso di conservare o che desidero leggere da sdraiato, a letto o simili. Comunque al momento l’e-book occupa una frazione fortemente minoritaria del mercato, a cavallo del cinque per cento. Il cambiamento di abitudini consolidate, soprattutto per un pubblico conservatore e orgoglioso di esserlo come quello dei lettori abituali di libri, è una faccenda di generazioni, non di anni. Ma, ribadisco, il libro elettronico è un libro a tutti gli effetti e non esiste ragione per ostracizzarlo.
Quali provvedimenti andrebbero a Suo avviso adottati per favorire la diffusione dei libri e della lettura?
Come in parte ho già detto rispondendo alla terza domanda, i “provvedimenti”, con i quali credo si intendano gli interventi pubblici, legislativi e statali, dovrebbero essere limitati e concentrati su quello che le imprese private, cioè le case editrici, non possono fare. Cioè allargare strutturalmente la base di lettura del nostro Paese. Tutto il resto sono chiacchiere e pannicelli caldi. Per cambiare in maniera radicale il profilo del lettore, occorre una campagna permanente che duri vent’anni, sensibilizzi le famiglie, investa i neonati e li segua nella loro crescita. Non costa troppo e coinvolgendo pediatri e bibliotecari sarebbe realizzabile. Si potrebbe fare, ma purtroppo nessuno vuole farla.