
Dico questo per dire che quando partono da queste premesse, almeno per quanto mi riguarda, gli orientamenti confessionali in materia sono praticamente da mettere da parte, con le dovute eccezioni, limitate però ad argomenti specifici e non riguardanti il quadro generale.
Per quanto concerne gli orientamenti non confessionali, invece, semplificando, potremmo elencarne quattro:
1) Chi vede Gesù come un maestro sapienziale (una sorta di Budda o Lao Tzu palestinese, per capirci);
2) Chi lo vede come uno dei profeti apocalittici (falliti) che, secondo le fonti dell’epoca, circolavano nella Palestina del I secolo;
3) Chi, senza dissentire dall’ipotesi precedente, lo vede anche schierato in un qualche modo (non necessariamente, e comunque non prevalentemente, militare) nella resistenza antiromana.
4) Chi ritiene che non sia esistito un Gesù storico e che la sua figura sia esclusivamente mitologica. Sono i cosiddetti “miticisti”.
Mentre esiste un’ampia letteratura sul dibattito tra la prima e la seconda posizione – sicuramente le più rappresentate in ambito non confessionale e accademico – sono più rari i dibattiti che coinvolgano anche una sola delle ultime due. Il nostro testo è sicuramente uno dei primi al mondo, se non il primo, a presentare un confronto tra sostenitori delle teorie del Gesù resistente e miticisti. Un altro elemento da sottolineare è il fatto che, nonostante la discreta fama raggiunta dai miticisti nella letteratura mondiale sull’argomento, i due più celebri tra loro, i nostri coautori Carrier e Price, non siano mai stati tradotti in italiano.
Quali sono le argomentazioni addotte dai sostenitori delle tesi miticiste?
I miticisti non mancano di argomenti interessanti. Ne elenco alcuni:
1) Il Gesù rappresentato dai vangeli è un personaggio in larga misura mitologico. Certo, si può discutere su quanta parte della sua rappresentazione sia di questa natura. Ma persino in ambito confessionale il fatto è oramai, sia pure in misura minore, generalmente riconosciuto.
Più in particolare, le assonanze di particolari della biografia di Gesù narrata dai vangeli con caratteristiche delle divinità dell’affollato pantheon ellenistico (che comprendeva religioni provenienti da ogni angolo del mondo antico) sono sorprendenti: nascite virginali, resurrezioni, ascensioni, miracoli facevano regolarmente parte della “biografia” di personaggi mitologici. È naturale che tutto ciò porti a dubitare della sua intera biografia.
Questo da solo, tuttavia, non implica che non sia esistito un Gesù storico. Le costruzioni mitologiche si sono fatte per secoli anche intorno a personaggi certamente esistiti.
2) Le testimonianze letterarie e documentali sulla biografia di Gesù esterne al Nuovo Testamento sono praticamente nulle per il primo secolo (esistono solo due brevi cenni dello storico Giuseppe Flavio databili intorno al 90 e, per consenso praticamente generale, almeno il più significativo dei due è stato manomesso da mani cristiane). Ci sono autori del primo secolo di cui ci è giunta ampia letteratura e, considerati gli argomenti ai quali dedicavano più spazio nei loro scritti (in particolare Filone d’Alessandria e Seneca), è davvero sorprendente che non abbiano mai citato né Gesù né il cristianesimo. I cristiani giustificano questa lacuna con la marginalità del personaggio (contraddicendo secoli di amplificazione della figura), i miticisti traggono invece da tale mancanza di evidenze un argomento per negare la reale esistenza del personaggio nella storia.
3) Gli stessi primi testi cristiani (in particolare quelli di Paolo di Tarso) forniscono pochissime indicazioni biografiche su Gesù (secondo i miticisti, nessuna veramente valida) e danno spesso l’impressione di collocare la sua vicenda e la sua passione in una dimensione ultraterrena, immateriale. Lo stesso Paolo dichiara di avere ricevuto tutto quello che sa su Gesù direttamente dallo stesso Gesù con una “rivelazione” (Galati 1:11 “Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.”). E, tenendo conto che altrove dichiara di non averlo conosciuto “nella carne”, è ovvio che sorgano sospetti non lievi che sia stato lui a dare l’avvio alla costruzione di un mito.
Lei è un sostenitore della posizione del Gesù insurrezionale: quale interpretazione emerge, della figura di Gesù, da tale orientamento?
Faccio una premessa. Le fonti storiche ci hanno fornito molti particolari su un gruppo religioso importante nel giudaismo del primo secolo: gli esseni. Di questo gruppo viene sottolineato il carattere ascetico, aggiungerei quasi pacifista. Alcune fonti li descrivono addirittura come vegetariani. Ebbene, nel 1947 vennero scoperti a Qumran, non lontano da Gerusalemme, i celebri rotoli del Mar Morto, una biblioteca appartenente a un gruppo che qualcuno identifica come esseni tout court, altri come risultante da una scissione in ambito esseno. In ogni caso si trattava di una comunità non troppo distante da quelli che le testimonianze definiscono esseni. Tra questi preziosi documenti ce n’è uno che è stato chiamato “Il Rotolo della Guerra”. In esso veniva prescritta con agghiacciante precisione la condotta che i membri della comunità avrebbero dovuto tenere nella battaglia finale dei “figli della luce contro i figli delle tenebre”, cioè quando fosse arrivato il momento in cui, con l’intervento delle schiere angeliche inviate da Dio, i figli della luce avrebbero sconfitto i “Kittim” (un termine che con ogni probabilità nel primo secolo la comunità che considerava sacro questo documento usava per indicare i romani) e li avrebbero scacciati dalla Terra Promessa. Per fare un esempio, il rotolo prescrive persino come ripulire le spade dal sangue dei nemici.
Perché faccio questa premessa? Perché, nel clima estremamente teso della Palestina del primo secolo, con la spietata oppressione romana che suscitava veementi reazioni improntate al fanatismo religioso e politico, non deve sorprendere che un profeta descritto per certi versi come pacifista, potesse coltivare con la sua comunità l’illusione di un intervento divino risolutivo per restituire agli ebrei la terra che Dio aveva loro donato. E, secondo la profezia di Zaccaria (Zc 14), questo intervento divino avrebbe preso le mosse proprio, guarda caso, dal Monte degli Olivi. Non è certo una combinazione che gli storici ci riferiscano di altre sommosse partite proprio dal Monte degli Olivi e schiacciate dai romani nel sangue.
Gli indizi rimasti nei testi canonici che Gesù potesse essere una figura animata da un profondo carattere religioso ma allo stesso tempo fremente dall’ansia di liberazione della sua terra dai romani sono numerosissimi. Nel libro ne sono elencati a decine. Noi sosteniamo che Gesù fosse visto dai suoi (e probabilmente anche da sé stesso) come aspirante al trono di Israele, il trono che era stato di Davide. Da solo non è certamente un elemento conclusivo ma non si può fare a meno di notare che il suo appellativo “Cristo” vuol dire esattamente “Re” (alla lettera è il greco della parola ebraica “Messia” che vuol dire “Unto” e, siccome si diventava re con una cerimonia di unzione, si tratta in fin dei conti di una metonimia per “Re”).
Una novità di questi ultimi anni è stata l’emergere di un dibattito tra due posizioni che quasi mai avevano dialogato, grazie al confronto tra Bart Ehrman, esponente del filone “apocalittico”, e Robert Price, icona del cosiddetto “miticismo”: quali spunti offre alla ricerca sul Gesù storico tale dialogo?
Lo spunto per la proposta del dialogo che il libro documenta è sorto dall’insofferenza per l’atteggiamento di sufficienza riservato ai migliori miticisti da buona parte della comunità accademica.
Justin Meggitt, uno studioso delle origini del cristianesimo dell’Università di Cambridge ha scritto: “La questione della storicità di Gesù non appartiene al passato e non è irrazionale sollevarla. Non dovrebbe essere liquidata con dei problematici appelli a competenze e autorità”.
Pur essendo io stesso un sostenitore della probabile storicità della figura di Gesù, ritengo che dietro molto dello snobismo verso i miticisti, oltre alla non rara semplice ignoranza, si celi in realtà l’incapacità di opporre dei seri argomenti alle loro tesi. Alcune delle quali sono, a mio parere, tutt’altro che banali o trascurabili. Un’altra tipica strategia del mondo confessionale (ma non solo di quello) è il prendere in considerazione nelle critiche le versioni più deboli o addirittura caricaturali delle tesi miticiste. È vero infatti che nella galassia miticista circolano tesi di dubbia o addirittura risibile consistenza ma è anche vero che i lavori dei migliori miticisti – Carrier e Price sono sicuramente tra questi – hanno avanzato argomenti che, anche in caso di disaccordo col loro contenuto, sono intellettualmente utili per chiunque desideri ripensare criticamente la figura di Gesù.
Per non parlare del fatto che proprio gran parte della letteratura di stampo confessionale, dalla quale tale atteggiamento snobistico emerge in modo più frequente e sonoro, è viziata dal massiccio uso di argomenti ad hoc e da interessi nascosti di natura religiosa e teologica che spesso impediscono una riflessione critica e onesta sul personaggio al centro del culto cristiano.
Va anche sottolineato il fatto, sul quale critici frettolosi e improvvisati sorvolano distratti, che le tesi dei miticisti sono formulate in termini probabilistici. Giacché, come è chiaro a qualunque studioso serio dell’argomento, nelle ricostruzioni della figura di Gesù non può che parlarsi di probabilità. In base a suoi ragionamenti, per esempio, Carrier assegna una maggiore probabilità alla non esistenza storica di Gesù, senza però escludere la possibilità dell’esistenza. Altrettanto facciamo io e Fernando Bermejo-Rubio anche se, ovviamente, consideriamo molto più probabile la tesi dell’esistenza con le caratteristiche sopra accennate.
In verità, mi sento di affermare che il nostro libro argomenti in modo significativo come la visione del Gesù impegnato in un qualunque modo nella resistenza antiromana sia l’unica che possa credibilmente sottrarre Gesù alla nebbia dell’inesistenza storica e come nel loro insieme le due visioni coprano di fatto l’intero spazio delle probabilità.