“Gesù, il figlio del falegname. Due parole semplici sul Gesù storico” di Renato De Zan

Prof. Renato De Zan, Lei è autore del libro Gesù, il figlio del falegname. Due parole semplici sul Gesù storico, pubblicato dalle Edizioni Messaggero Padova: come si è sviluppata la ricerca sul problema storico di Gesù?
Gesù, il figlio del falegname. Due parole semplici sul Gesù storico, Renato De ZanQuesto piccolo libro è stato pensato per persone che vogliono conoscere, ma hanno poco tempo a disposizione per leggere opere voluminose e documentatissime come il lavoro di Dunn in otto volumi o quello di Meier in cinque volumi (editi, cui seguiranno altri due volumi). Onestamente ho pensato a mio padre, che dopo aver fatto il falegname, a causa del cattivo stato di salute, si è rassegnato a fare il commerciante e non aveva tempo se non per leggere il giornale al mattino presto, prima di aprire il negozio. Negli anni ’60 del secolo scorso non c’erano gli orari di apertura o chiusura per i negozi di paese. Il primo cliente che arrivava, in genere verso le 6,00 o 6,30 del mattino, segnava l’inizio della sua giornata lavorativa.

La ricerca sul problema del Gesù storico viene da lontano. Mentre gli scrittori dell’antichità – nemici del cristianesimo – come Celso o Porfirio, non hanno mai messo in dubbio l’esistenza storica di Gesù di Nazaret, verso la fine del sec. XVIII alcuni studiosi cominciarono a porsi delle domande molto serie in merito a questo tema. Prima si cominciò a distinguere tra il Gesù storico, il personaggio reale vissuto in Palestina nel sec. I d.C. e il Cristo della fede, personaggio rivisitato dalla fede dei primi credenti. Successivamente si cominciò ad affermare che gli insegnamenti del Maestro di Galilea stavano benissimo in piedi senza l’aiuto dei miracoli, negando il soprannaturale. Poi si è giunti a considerare Gesù un mito e, quindi storicamente non esistito. Ciò che impressiona è che molti di questi studiosi non erano né storici né filologi né biblisti. In genere erano filosofi e teologi. Con tutto il rispetto per le varie scienze, si può comprendere come un aneurisma all’aorta non ce lo facciamo operare da un ingegnere, ma da un cardiochirurgo. Così succede per un progetto di un aereo: ce lo facciamo fare da un ingegnere aeronautico, ma non da un laureato in agronomia. Purtroppo, oggi, girovagando in internet si nota come sul tema del Gesù storico ci siano numerosissimi dilettanti che vogliono affrontare il tema con esiti alle volte esilaranti o, come minimo, sconfortanti. La scienza storica si è fortemente sviluppata dal sec. XIX al sec. XXI ed ha classificato gli studi sulla ricerca del Gesù storico in tre grandi tappe, sulle cui tappe è giusto avere una certa elasticità cronologica: la First Quest (dalla fine del sec. XVIII alla metà del sec. XX), la New Quest o Second Quest (1954-1984 ca.) ed infine la Third Quest (1985 ad oggi). Qualcuno comincia a dire che siamo entrati nella Fourth Quest. Mentre tra la prima ricerca e la seconda c’è una rottura metodologica notevole come notevole è la rottura sempre metodologica tra la seconda ricerca e la terza, non si vede onestamente ancora una rottura tra la terza ricerca e un qualche cosa di assolutamente nuovo. Studiando seriamente la New Quest e la Third Quest si può dire che la metodologia della ricerca è diventata estremamente raffinata, precisa e robusta.

Quali criteri metodologici adotta l’indagine sul problema storico di Gesù?
Oggi la scienza storica e la scienza esegetica concordano nel proporre due strade di ricerca. La prima riguarda – adoperando un linguaggio classico – la cosiddetta critica esterna. Si indaga su tutto ciò che è esterno ai documenti biblici cristiani: analisi critico-scientifica sulle testimonianze storico-letterarie semitiche e greco-latine su Gesù, coincidenze archeologiche con i dati evangelici, verifica storico-critica sui testi biblici e la loro “veridicità”. La critica interna, invece, si chiede quanto è possibile attraverso i testi evangelici risalire alle ipsissima verba (stessissime parole) o alla ipsissima vox (stessissima voce, intesa come concetti) di Gesù. In questo caso la seconda e la terza ricerca hanno formulato una serie di metodologie così riassumibili: l’incompatibilità fra lo stile letterario greco, proprio dell’evangelista e Gesù (l’evangelista ha un suo stile, diverso dai suoi colleghi: sottraendo al teso biblico discorsivo lo stile dell’evangelista si ottiene un testo molto semplificato che di norma ha un forte sapore semitico e che va ulteriormente esaminato alla luce degli altri criteri); la retroversione aramaica del testo greco neotestamentario discorsivo (spesso, non sempre, ciò è possibile e il testo va ulteriormente esaminato alla luce degli altri criteri); le verità lesive (dire che Gesù era un “mangione e un beone” è una verità lesiva del personaggio e non appartiene al mondo dell’invenzione) e il controllo sociale (i testi evangelici, nel loro stadio primitivo, erano “controllabili” anche da testimoni diretti non cristiani); il criterio dell’imbarazzo (nel vangelo ci sono episodi – come il Battesimo di Gesù o l’agonia nell’orto del Getsemani – che nel vangelo di Marco, il più antico, vengono raccontati mentre nei vangeli più recenti – cf Luca e Giovanni – vengono sfumati o addirittura soppressi); il criterio della discontinuità e della continuità con il mondo giudaico e la chiesa nascente (è necessaria una mens storica ed esegetica per operare con questi criteri in quanto sono molto delicati da gestire); criterio della molteplicità delle attestazioni (in storia c’è un principio estremamente severo: Testis unus, testi nullus, un solo testimone è troppo fragile); criterio del rifiuto (ci sono diverse “parole” di Gesù che sono state rifiutate in modo drastico dai suoi ascoltatori: non si inventa il “rifiuto”) e criterio della coerenza (i vari testi ottenuti non possono essere in contraddizione tra di loro). Ogni singolo passaggio dovrebbe essere spiegato molto più ampiamente di quanto è stato fatto qui e ciò porta a una conclusione semplice: nessun criterio da solo è determinante, ma solo la convergenza di più criteri può dare una certezza storica.

Quali fonti non cristiane parlano di Gesù?
Se vogliamo circoscrivere le fonti temporalmente vicine al sec. I a.C., sono diverse: Thallo, Giuseppe Flavio, Svetonio, Tacito, Plinio il Giovane, Mara Bar Sarapion e Luciano di Samosata. Di fragilissimo valore storico – per non dire quasi nullo – sono le notizie del Talmud del sec. IV-V d.C. Alcuni studiosi che non sono né storici né biblisti, hanno voluto sminuire il valore testimoniale di Giuseppe Flavio, senza tuttavia fare delle analisi critiche storico-testuali sui modi linguistici di esprimersi di Giuseppe Flavio. Questi esami critici rivelano come il Testimonium Flavianum sia in parte interpolato da glosse cristiane (amanuensi medioevali!) e in parte autentico. La parte autentica è sufficiente a dimostrare l’esistenza storica di Gesù in Palestina ai tempi di Tiberio e di Pilato, i suoi miracoli, la sua predicazione, la sua tragica fine e la testimonianza che i suoi, immediatamente, lo predicarono come risorto. Le altre testimonianze in modo diretto o indiretto confermano tutto questo.

Quali problemi solleva la datazione della nascita e della morte di Gesù?
Con i testimoni, biblici e non, che conosciamo, i problemi sono diversi. Per quanto riguarda la nascita di Gesù, i problemi più importanti sono due: la nascita di Gesù a Betlemme, cosa negata da alcuni studiosi, e la datazione della nascita al tempo del censimento di “tutto l’impero” ai tempi in cui Quirinio era “governatore” della Siria. Per il primo problema, oltre alla consonanza delle testimoniane di Matteo e di Luca, c’è la testimonianza di Giustino martire nella sua prima Apologia. Accanto a questo argomento, storicamente forte, c’è il fatto che il patronimico Nazareno/Nazoraio non indica il luogo di nascita, ma l’appartenenza di Gesù a un gruppo di discendenti di Davide (“nazoraioi” = i virgulti) che avevano stabilito la loro dimora a Nazaret, di ritorno da Babilonia all’epoca dei Maccabei. Per il secondo problema, alcuni biblisti semplificano il tutto, affermando, per esempio, che Luca si è sbagliato a proposito del censimento di Quirinio come “governatore della Siria: ciò sarebbe accaduto solo nel 6 d.C. Le cose non stanno esattamente così perché leggendo tra le righe di Giuseppe Flavio, di Tacito e dell’iscrizione di Emilio Secondo, si può collocare il “governatorato straordinario” di Quirinio in Siria proprio a ridosso del 6 a.C., anno su cui convergono tutti gli altri dati per indicare l’anno della nascita di Gesù, avvenuta probabilmente durante la bella stagione. Per la datazione della morte di Gesù, il problema più importante risiede nella duplice datazione dei Sinottici e di Giovanni. Stando ai dati dei Sinottici e di Giovanni, Gesù muore il venerdì, mentre al giovedì viene celebrato il processo presso Pilato e il giorno precedente, il mercoledì si ha il processo presso il Sinedrio. Nella notte tra martedì e mercoledì c’è l’interrogatorio di Gesù presso la casa di Anna, preceduto dall’episodio al Getsemani, che segue l’ultima cena. Secondo i Sinottici si tratta di una cena pasquale, secondo Giovanni no. Per Giovanni la Pasqua cadrebbe il sabato successivo alla morte di Gesù e la cena pasquale si sarebbe dovuta celebrare la sera in cui Gesù viene deposto nel sepolcro. La soluzione, inizialmente non ben accolta dai biblisti, mentre ora è accettata con buon favore anche se non da tutti, viene da una docente di storia, A. Jaubert (maître de recherche au Centre national de la recherche scientifique). Nel libro dei Giubilei trova un calendario, seguito dai monaci di Qumran e dai suoi simpatizzanti. Da dove viene questo calendario? All’epoca di Antico IV (poco prima della metà del sec. II a.C.) un buon numero di sacerdoti del tempio di Gerusalemme si erano ribellati all’imposizione del nuovo calendario di Damasco, accettato, invece, in maniera prona dal sommo sacerdote Menachèm, che per dimostrare la sua sudditanza ad Antioco aveva grecizzato il proprio nome in Menelao. All’epoca di Gesù, al tempio c’era un calendario, mentre a Qumran permaneva in uso il vecchio calendario precedente. Esaminando accuratamente i dati, nel 30 d.C., anno in cui muore (e risorge) Gesù, la Pasqua di Qumran venne celebrata nel giorno di mercoledì (più esattamente: martedì sera-mercoledì sera): questo è il calendario seguito dai Sinottici. Il calendario di Giovanni, che è il calendario del tempio, al quale il quarto evangelista era molto legato, celebrò la Pasqua nel giorno di sabato (più esattamente: venerdì sera-sabato sera). Questo dato spiegherebbe la divergenza di datazione tra i Sinottici e Giovanni. La data più probabile della morte di Gesù sarebbe, dunque, il 7 aprile del 30 d.C. Non dobbiamo meravigliarci di tutte le titubanze che si possono avere su queste tematiche. Del mondo antico abbiamo pochissimi documenti e non sempre utilissimi. Per esempio, non abbiamo nessuna lettera dell’imperatore Tiberio, ma del periodo di Tiberio abbiamo una lettera di protesta di un vecchietto greco contro un giovanotto che lo ha maltrattato, facendolo cadere per strada.

È possibile sapere qualcosa di preciso sulla predicazione del Gesù storico?
Dopo che Bultmann aveva categoricamente affermato che non è possibile raggiungere il Gesù storico attraverso i Vangeli, ma bisogna accontentarsi di conoscere il Gesù della fede, i suoi discepoli e i suoi contemporanei hanno risposto negativamente, rifiutando la posizione di Bultmann e iniziando uno studio serrato sulla metodologia scientifica al fine di poter raggiungere attraverso i Vangeli le stessissime parole di Gesù (ipsissima verba Jesu). Questo accadeva nella New o Second Quest. I risultati sono stati notevoli, anche se i legami del pensiero di Gesù con il mondo giudaico non hanno potuto emergere data la rigidità con cui veniva adoperato il metodo della discontinuità (con il mondo giudaico e il pensiero della Chiesa nascente). Le metodologie, perfezionate dalla Thirth Quest, hanno portato dei risultati migliori. Oggi siamo in grado di giungere alla ipsissima vox Jesu, ricuperando il pensiero originario di Gesù, se non sempre le sue parole precisissime. L’opera di Charlesworth o di Dunn o di Meier ne sono un esempio. Nel libro Gesù, il figlio del falegname ho riportato un piccolo esempio con la parabola dei vignaioli omicidi. L’ho fatto con una certa nostalgia, ripescando un vecchio lavoro di tesi fatto con il compianto prof. Giuseppe Segalla di Padova, ordinario di Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica di Milano.

Qual è l’aspetto storico della risurrezione di Gesù?
Posta così, la domanda ha un sapore malizioso. La risurrezione, infatti, è un avvenimento accaduto nella storia, ma non appartiene alla storia bensì all’escatologia. Non è, perciò, direttamente conoscibile con il metodo critico-storico. La risurrezione in sé appartiene al delicato mondo della fede, alla quale ho il dono di aderire e di appartenere. Si possono conoscere, però, a livello storico-critico le ricadute che la risurrezione ha avuto nella storia. Non dimentichiamo che i primi testimoni sono persone che appartengono alla storia e che le loro testimonianze sono tranquillamente sottoponibili all’esame critico-letterario e critico storico. Le varie obiezioni, che il vecchio e nuovo razionalismo hanno posto, oggi sono state ampiamente superate. Non sono più sostenibili a livello di critica storica le tesi come la teoria della morte apparente o la teoria del furto. Non è più sostenibile a livello di scienza psichiatrica la tesi delle allucinazioni spacciate come visioni del risorto. A livello critico-storico le varianti sul numero e sul nome delle donne al sepolcro non inficiano il dato, ma, per chi conosce la scienza storica, lo rafforzano (l’unanimità porta al sospetto della copiatura reciproca o addirittura dell’invenzione). A livello critico-letterario la priorità di Marco non annulla la testimonianza degli evangelisti successivi a causa della loro indipendenza da Marco. Sempre a livello storico-letterario è infondata la tesi del “fatto disgiunto dalla sua interpretazione”: non si può esprimere un fatto senza minimamente interpretarlo. Il vocabolario dei vangeli e delle lettere mostra che la Chiesa nascente ne è pienamente consapevole. A livello di storia delle religioni i racconti evangelici sulla resurrezione non sono un’invenzione mitica come i racconti pagani. Il mito è collocato in un orizzonte senza spessore storico e privo di controllo sociale. I racconti evangelici sono collocati in un orizzonte fortemente storico e sottoposti al controllo sociale. Come si può notare, non è possibile raggiungere storicamente il mistero della risurrezione in modo diretto, ma si può benissimo indagare sulle sue ricadute storiche.

Renato De Zan ha conseguito il dottorato in Liturgia presso il Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo in Roma e il dottorato in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico in Roma. Ha insegnato al Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo di Roma e alla Pontificia Università Gregoriana. Ha partecipato alla traduzione della Bibbia CEI (2008) e alla traduzione del Messale italiano (2020). Per le edizioni Messaggero di Padova, negli anni 2001-2002, ha pubblicato una lectio divina sul libro di Isaia in due volumi e I molteplici tesori della Parola (2012). Nel 2011 ha pubblicato Il culto che Dio gradisce. Studio del “Trattato sulle offerte” di SirGr 34,21-35,20 per le edizioni Gregorian & Biblical Press. Per CLV ha pubblicato nel 2021 Erudi, Domine, quaesumus, populum tuum spiritalibus instrumentis. La lettura dell’eucologia latina: appunti per la ricerca di un metodo e Unius verbi Dei multiplices thesauri. La lettura liturgica della Bibbia: appunti per un metodo.

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