
I primi libri di Geronimo Stilton furono pubblicati in Italia nel 2000 (la creatrice è la scrittrice Elisabetta Dami), e da allora l’intrepido topo-giornalista e i suoi amici della “Gazzetta del Roditore” hanno viaggiato in tutto il mondo, risolto misteri di ogni tipo e vissuto avventure sorprendenti. C’è un numero apparentemente infinito libri di Stilton da leggere, senza contare gli spin-off. La sorella di Geronimo, Tea, ad esempio, ha anche una sua serie specifica. Naturalmente il roditore ha anche un sito dedicato (https://geronimostilton.com/), dove i bambini che non ne hanno avuto abbastanza possono trovare giochi, cartoni animati e disegni da scaricare.
Sono 29 le collane firmate Stilton (Geronimo o Tea). Tra quelle dedicate al topo-giornalista possiamo citare:
- “A tu per tu”: da Mozart a Frida Kahlo, il topo incontra i nomi famosi della storia e li esemplifica a beneficio dei bambini;
- “Le nuove avventure nel regno della fantasia”: in cui Stilton si trova catapultato di volta in volta in modi irreali tra creature fantastiche;
- “Viaggio nel tempo” e “In vacanza nel tempo”: i viaggi nel passato di Stilton che gli permettono di incontrare personaggi celebri, da Napoleone a Colombo a Leonardo, o simpatici dinosauri e mammut;
- “Storie da ridere” e “Le barzellette per bambini di Geronimo Stilton”: le due collane in cui il topo punta tutto sulla comicità.
È innegabile che il successo della serie (tradotta in 48 lingue, ha venduto oltre 33 milioni di copie in Italia e oltre 140 milioni in tutto il mondo) sia frutto di un’intelligente opera di analisi e studio: è chiaro, insomma, che l’autrice sa bene come avvicinare e avvincere i bambini. Prima di tutto c’è lui, Geronimo. Occhialetti tondi e giacchetta verde, imbranato, talvolta buffo, pieno di buoni sentimenti, Geronimo sembra più un amichetto pasticcione che un intellettuale, nonostante vanti una laurea in Topologia della Letteratura rattica e in Filosofia archeotopica comparata. È evidente che è nato per risultare simpatico.
Non ci sono mai atteggiamenti o termini volgari nelle storie di Stilton: niente armi, alcol, violenza e nemmeno “atteggiamenti non conformi alle norme di sicurezza, razzismo, magia, astrologia, comportamenti deviati”, come precisa l’editore stesso. Insomma, politicamente corretto, bene che inesorabilmente trionfa sul male, storie a lieto fine e nessun rischio di domande scomode ai genitori.
Poi c’è lo stile: linguaggio di facile comprensione, frasi brevi, un cospicuo uso di punti esclamativi e puntini di sospensione, continui neologismi giocati sul termine “topo” e modi di dire “topeschi” (“stratopico”, “per mille mozzarelle”, “mi tremano i baffi per l’emozione”).
E infine la grafica: i libri sono impaginati ad interlinea ampia, inframezzati da disegni e talvolta giochi e quiz, con parole in evidenza (font diverso, colore acceso) per, apparentemente, alleggerire la lettura.
Tutto in funzione di un altro elemento che sembra prioritario nei libri di Stilton: la semplificazione. Anche se meno evidente nelle serie originali, questa tendenza diventa manifesta nei “classici”, o meglio, i cosiddetti “classici della letteratura liberamente adattati da Geronimo Stilton”. È infatti possibile trovare una “versione Stilton” praticamente di qualunque cosa, da Robin Hood a Peter Pan, da Piccole Donne ad Alice nel Paese delle Meraviglie.
Al lettore adulto (che però è stato bambino, e che quei classici li ha letti, e amati, nella versione originale) risulta davvero difficile capire per quale bizzarra ragione un bambino – moderno, per carità, diverso da noi, per carità – debba preferire la seguente descrizione dei lillipuziani che tentano di nutrire l’immenso Gulliver, proposta da Stilton, “Quando tornarono non credevo ai miei occhi: erano carichi di cibo! FORMAGGI, pane frutta, verdura…Tutto sembrava così PICCOLO, rispetto ai cibi che mangiavo di solito! Ingollai tre o quattro panini insieme, che erano per me grandi come BIGLIE, e tutto quello che mi veniva portato alla bocca…Yummm! Mi sembrava di non aver mai mangiato nulla di più squisito” a quest’altra, dalla penna di Swift, “Più di un centinaio di persone salirono su trascinando fino alla mia bocca panieri colmi di cibo, raccolto e là inviato appena il re aveva avuto notizia della mia esistenza. C’erano carni di diversi tipi di animali, che tuttavia non riuscii a riconoscere dal gusto. C’erano spallette, cosci e lombi simili a quelli di montone, ben cucinati ma più piccoli delle ali di allodola. Ne mangiai due o tre alla volta con altrettante pagnotte, grandi come pallini da sparo. Mi avvicinavano il cibo più svelti che potevano, mostrando in mille modi la loro meraviglia e lo stupore dinanzi alla mia mole smisurata e all’appetito che dimostravo”. È vero, i bambini di oggi sono diversi da quelli di ieri. È vero, sono sottoposti a stimoli continui e amano la rapidità. Ma davvero sono i libri a doversi adattare ai loro gusti, o non potrebbero invece essere i loro gusti a venir formati dalla scrittura, quella che implica un po’ di sforzo ma ripaga con parole come “spallette, cosci e lombi” e “mole smisurata”?
Silvia Maina