La geopolitica del web. Intervista ad Antonio Lamanna

Antonio Lamanna, geopolitica del cyberspazioDott. Antonio Lamanna, Lei è Presidente di Alpha Institute, centro studi che si occupa di geopolitica del cyberspazio: quale rilevanza geopolitica ha assunto ormai il web?
In Alpha cerchiamo di coprire l’intero spettro di temi che girano attorno alla geopolitica e all’intelligence con un focus particolare sugli interessi nazionali italiani e alla partnership pubblico privato. Tra le nostre aree di ricerca, grande rilevanza viene data alla geopolitica e all’analisi del cyberspazio. Vorrei iniziare distinguendo il web – che è la rete mondiale nella quale navighiamo quotidianamente per accedere ai social, alle caselle e-mail, ai motori di ricerca eccetera, dal cyberspazio, che è invece un sistema molto più complesso e che comprende diversi elementi come le infrastrutture fisiche, i protocolli logici di comunicazione tra le macchine, le applicazioni e le interazioni sociali degli utenti. Alla luce di tutto ciò si capisce come il web sia solo una piccola parte di ciò che possiamo intendere oggi con il concetto di cyberspazio, che però rimane la parte utilizzata dalla stragrande maggioranza delle persone, e maggiormente utilizzata per le interazioni tra gli utenti. Dunque questa rimane più interessante dal punto di vista sociale e geopolitico. Come sappiamo, il web ha avuto negli anni recenti una grande importanza in avvenimenti politici di rilevanza mondiale: le elezioni americane, da Obama e Trump, o le Primavere Arabe, per citarne solo un paio. Questa rilevanza è dovuta al fatto che la rete potenzia le capacità di partecipazione e organizzazione politica e le estende anche al di fuori dei confini geografici degli Stati. La natura transnazionale del web è una delle caratteristiche che lo rendono così rilevante dal punto di vista geopolitico. Considerazioni geografiche e politiche permeano infatti il web fin dal momento della sua creazione, la posa dei cavi sottomarini ad esempio è un’operazione per la quale è necessario prendere in considerazione elementi geografici come la profondità e lo stato dei fondali, la possibilità di danni naturali o umani, ma è necessario anche valutare l’opportunità del loro posizionamento in zone politicamente sicure e che rispecchino determinati interessi socio-economici, e la stessa cosa vale per i cavi sotterranei. Dunque considerazioni e necessità geopolitiche influenzano il modo in cui la rete viene fisicamente creata fin dal momento della sua creazione, in cui la rete inizia a modificare il mondo. Queste infrastrutture sono inoltre posizionate in luoghi geografici ben definiti sui quali in ogni caso ricade la sovranità territoriale di uno Stato, che a sua volta applica le proprie leggi su queste infrastrutture. Gli Stati hanno difatti la facoltà di filtrare i contenuti in entrata e in uscita dai propri confini in base ai propri interessi nazionali, fino ad arrivare al cosiddetto kill switch, ovvero alla predisposizione di un punto di controllo dal quale è possibile interrompere tutto il traffico Internet nel Paese. Oltre alle infrastrutture anche gli utenti che utilizzano i servizi Internet sono sempre geograficamente locati, così come i cybercriminali e i loro obbiettivi. È dunque chiaro che quando parliamo di web ci riferiamo ad un ambiente che rientra a pieno nella vita reale del pianeta e pensare che la virtualità degli scambi informatici sia slegata da ciò che accade nel mondo fisico è assolutamente fuorviante e dannoso.

A mio avviso, tuttavia, il punto fondamentale della questione è l’azione degli Stati tesa a territorializzare il cyberspazio, ovvero il tentativo di applicare le logiche territoriali tradizionali ad esso con l’obiettivo di estendere la sovranità e il controllo. Sebbene gli Stati posseggano già strumenti e risorse per il controllo del cyberspazio, la battaglia si gioca su un altro fronte, di soft-power, in cui gli Stati devono vincere la battaglia su come il cyberspazio viene rappresentato, e questa rappresentazione deve far apparire lo Stato come un soggetto agente naturale e indispensabile. Infine lo Stato deve apparire come unica entità in grado di amministrare il cyberspazio con delle regole e applicare delle punizioni in caso di violazione delle sue leggi. E così il cyberspazio viene rappresentato come un luogo anarchico e pericoloso nel quale, una volta superata la barriera delle capacità tecniche, regna la legge del più forte. Una sorta di visione hobbesiana nella quale lo Stato viene visto come quell’entità fondamentale alla quale gli individui cedono tutti i loro diritti in cambio di sicurezza interna e protezione dall’esterno. Una visione che, per contro, viene contrastata da un’altra rappresentazione: quella di un cyberspazio libero dal giogo delle logiche capitalistiche e gestito dagli utenti per mezzo di comunità virtuali, all’interno di una visione che affonda le proprie radici nella cultura degli anni ’80-90 del secolo scorso e che, francamente, appare come un’utopia.

Non sappiamo verso quali direttrici si svilupperanno gli equilibri planetari nei prossimi anni, ma possiamo ben dire il cyberspazio è il principale teatro nel quale questi saranno determinati.

Come si articola la cybergeografia?
Possiamo parlare di cybergeografia perché è possibile in qualche modo intendere il cyberspazio come uno spazio geografico. Il significato dello spazio geografico è costituito dalla relazione che intercorre tra le attività umane e il territorio, che possiamo ritrovare nel rapporto che ad oggi per esempio, in seguito all’aumentare della complessità della rete e alla globalità del cyberspazio, intercorre tra gli utenti e il cyberspazio. Dunque, esattamente come la geografia si occupa di descrivere i luoghi e di rappresentarli, la cybergeografia fa lo stesso con il cyberspazio, e lo fa attraverso le mappe in rete, quelle che utilizziamo quotidianamente come Google Maps, OpenStreetMap ecc. Ciononostante, data la natura non soltanto fisica del cyberspazio, esso è rappresentato anche in base alle relazioni spaziali e sociali degli utenti, attraverso i dati e le informazioni, e le sue strutture logiche. Tuttavia, la riflessione su una geografia del cyberspazio rimane aperta ed in continua evoluzione.

Quali nuovi equilibri determina la cybersecurity?
Ad oggi gli Stati si ritrovano a dover fronteggiare minacce legate alla sicurezza nazionale, che non hanno a che fare soltanto con aspetti esclusivamente territoriali, ma con immateriali come ad esempio il controllo delle informazioni e la gestione delle tecnologie. La cybersecurity è oggi un imperativo per gli Stati, in particolare per quelli più avanzati dal punto di vista industriale e tecnologico. Sempre più aspetti della vita dei cittadini, dell’organizzazione statale e della difesa dipendono da servizi e infrastrutture informatiche gran parte delle quali sono connesse alla rete mondiale. I nuovi equilibri dipendono, e dipenderanno, dalla capacità degli Stati di gestire questo cambiamento, di padroneggiare le nuove tecnologie sia in chiave difensiva che offensiva, e penderanno dal lato di chi lo saprà fare meglio. Ad oggi pochi Stati hanno capacità avanzate che potrebbero rappresentare un vantaggio strategico in un eventuale conflitto, alcuni coincidono con le grandi potenze e sono gli USA, la Russia e la Cina, ma capacità molto avanzate sono riconosciute anche all’Iran e alla Corea del nord. Tuttavia, ciò che concerne le capacità cibernetiche degli attori statali ha molto a che fare con lo spionaggio e con tutta una serie di tecnologie e informazioni strategiche che costituiscono i mezzi della competizione statale, sia in parte dal punto di vista militare, sia appunto sul piano spionistico, ma anche come mezzi per la guerra economica. Uscire completamente allo scoperto oggi significherebbe per gli Stati perdere una serie di vantaggi strategici nei confronti dei potenziali competitor e avversari. Se infatti da un lato le grandi potenze cyber ci tengono a sottolineare le proprie capacità, chiaramente tacendo le loro tecnologie decisive, con l’obiettivo di generare una sorta di meccanismo di deterrenza, le potenze minori si guardano bene dal pubblicizzare i propri assets strategici. Ciò che possiamo oggi affermare è che un nuovo equilibrio è in definizione, e che dipende strettamente da come gli Stati gestiranno nel prossimo futuro la rivoluzione digitale. Se assisteremo all’emergere di una potenza egemone nel cyberspazio o ad un consesso di Stati organizzati, è ancora presto dirlo.

Quali scenari strategico-militari pone la dottrina del Cyber Warfare?
Il concetto di cyber warfare, che in italiano può essere espresso con uno stato di belligeranza “nel” e “per mezzo” del cyberspazio, è innanzitutto molto diverso da quello anche più comunemente utilizzato di cyberwar, che indica appunto una cyber-guerra, dunque uno scontro diretto tra due o più potenze che si identificano a vicenda come avversari e si dichiarano guerra. Il cyber warfare impone invece un costante impegno da parte di tutti gli Stati, che sono continuamente oggetto di attacchi o tentativi di intrusione da parte di altri Stati oppure da altri tipi di attori, nell’attuazione di misure difensive a protezione del proprio territorio, delle proprie infrastrutture critiche, dell’opinione pubblica del suo popolo. Possiamo infatti intendere lo scenario del cyber warfare, semplificandolo, secondo queste tre direttrici: 1) gli attacchi informatici tesi a distruggere o interrompere servizi essenziali alla società di una Nazione; 2) i tentativi di spionaggio tesi alla sottrazione di informazioni strategiche sia economiche che politiche; 3) azioni rivolte invece alla manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la quale indurre un governo a prendere delle decisioni dannose o ad astenersi dal prendere quelle vantaggiose per sé, regalando in tal modo l’attaccante – o gli attaccanti, e competitors – vantaggi politici od economici. Abbiamo detto che oggi gli Stati hanno sempre meno a che fare con aspetti esclusivamente territoriali ma devono invece includere nelle loro “preoccupazioni” anche aspetti più immateriali, e lo abbiamo fatto in riferimento a questo scenario. Ciò non comporta assolutamente, come invece è stato in passato sostenuto, una “morte della geografia”. Tutt’altro, la geografia riveste ancora una fondamentale importanza e anzi si rivela uno strumento fondamentale per comprendere i nuovi mutamenti negli assetti del potere mondiale proprio grazie alle sue potenzialità di analisi spaziale, fondamentali nel cyberspazio. La guerra nel mondo fisico, le operazioni cinetiche tradizionali, non stanno sparendo, ma sono sempre più integrate in un ambiente che trascende la fisicità dell’essere umano, che è fatto di macchine e sistemi informatici, ma che agiscono sul territorio fisico o hanno obiettivi fisici. Le motivazioni e gli obiettivi delle strategie ultime degli Stati nella perenne lotta per la sopravvivenza, che a volte vuol dire supremazia, hanno e continueranno ad avere un profondo significato geografico.

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