
Come si è evoluto il fenomeno turistico dalla sua nascita all’attuale “età del turismo”?
Il turismo è un fenomeno che si è rafforzato, evoluto e, al contempo, differenziato e articolato nel corso del tempo. Con il passare dei secoli ha creato una sorta di ecumene dall’estensione variabile, funzionale alle esigenze delle diverse classi sociali e delle articolate pratiche che turisti e operatori hanno messo in essere di volta in volta. La comparsa del turismo e la ricostruzione storica delle sue pratiche sino ai nostri giorni risultano un processo non semplice e persino arduo. Tale percorso peraltro è sprovvisto di fonti o di fonti affidabili soprattutto per le epoche o le regioni a noi più lontane. La ricostruzione dell’evoluzione del fenomeno turistico è pertanto un lavoro geostorico impegnativo e impone un’inevitabile schematizzazione e semplificazione. Il turismo è nato nella notte dei tempi, in un momento storico imprecisato, manifestandoci in più regioni del nostro pianeta. Esso si è poi progressivamente diffuso, secondo logiche molto diversificate ed eterogenee, con velocità e successi variabili, che hanno portato prima a una sua crescente internazionalizzazione e poi a una sua diffusione alla scala globale coinvolgendo un consistente numero di abitanti della Terra. Se si vuole adottare questa schematizzazione si può individuare una prima fase prototuristica che muovendo i suoi primi passi e le sue prime esperienze nelle grandi civiltà antiche dell’Asia orientale e meridionale, è passata per il Medio Oriente (Ebrei, Fenici, Antico Egitto) ed è arrivata al bacino del Mediterraneo (con le pratiche turistiche presenti nella Grecia classica e nell’Antica Roma). In questa fase prototuristica rientra anche l’epoca medievale (si pensi ad esempio ai pellegrinaggi religiosi cristiani o verso La Mecca dell’epoca) e quella che, dalla fine del Cinquecento e sino alla fine del XVIII secolo, vide fiorire la pratica del Grand Tour, della villeggiatura marina e della scoperta della montagna come meta turistica. Una seconda fase, quella del cosiddetto “turismo moderno”, nasce quasi impercettibilmente nella transizione tra XVIII e XIX secolo, quando l’epoca napoleonica si chiudeva per lasciar posto a una nuova fase politica in Europa che ridarà vigore a pratiche consolidate (viaggi, termalismo, villeggiatura in campagna, al mare e in montagna) ma che introdurrà anche elementi di novità (turismo d’élite, villeggiatura in Costa Azzurra e nelle Riviere liguri). Una terza fase è quella del “turismo di massa” che nasce tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento negli USA e dopo gli anni ’50 nell’Europa occidentale. Il turismo di massa ha poi ricevuto nuovo impulso con l’arrivo di Internet e l’uso dei motori di ricerca che facilita il “turismo fai da te”. Dagli anni ’90 del Novecento una nuova fase, la quarta, quella del cosiddetto “turismo postmoderno” o “turismo globale” sembra aprirsi e arrivare sino al presente. Fanno la loro comparsa nuove pratiche turistiche che in realtà sono spesso semplici rivisitazioni di forme già presenti in epoca prototuristica o moderna (turismo rurale, ecoturismo, turismo culturale, turismo enogastronomico, turismo chez l’habitant, turismo religioso, termalismo che oggi viene affiancato dal wellness, turismo sportivo, ecc.).
Quale complessità caratterizza il turismo contemporaneo?
La complessità del turismo contemporaneo dipende innanzitutto dalla sua dimensione ormai globalizzata, dall’eterogeneità delle pratiche messe in essere dai turisti, dai variegati e articolati impatti che l’industria del turismo realizza nello spazio geografico, sulle società e le culture, sulla sfera ambientale, nei diversi sistemi produttivi, nei processi comunicativi e in molti altri settori. Questa complessità richiede di essere indagata attraverso una prospettiva olistica, volta a considerare anche lo spazio consumato, gestito, immaginato, narrato e rappresentato dal turismo contemporaneo. La necessità di una prospettiva di questo tipo è avvertita da tutte le scienze sociali e per questo da alcuni anni è vivo un proficuo dibattito interdisciplinare volto a mettere in discussione gli approcci tradizionali al turismo a partire dalla critica della definizione di turismo proposta nel 1995 dall’United Nations World Tourism Organization (UNWTO). Lo studio del turismo contemporaneo richiede dunque un approccio il più possibile ampio e comprensivo di tutte le sfumature che contraddistinguono il fenomeno turistico nella sua articolazione e complessità. I sostenitori di questo dibattito sono giunti a promuovere l’introduzione di una scienza turistica dotata di uno statuto epistemologico proprio: la “turismologia”. Tale proposta serve essenzialmente a tracciare una strada per superare le visioni parziali inevitabilmente espresse da saperi disciplinari che, per loro natura, tendono a parcellizzare la conoscenza e a non riconoscere la complessità del turismo contemporaneo.
Quali sfide relative all’autenticità, alla sostenibilità, e all’evoluzione delle pratiche turistiche nonché alle trasformazioni dei luoghi turistici pone il turismo contemporaneo?
Per rispondere a questa domanda molto complessa bisogna premettere che esistono diversi tipi di turista, ciascuno con una propria motivazione, con una specifica aspettativa e un differente approccio all’esperienza turistica. È in questa condizione contemporanea (che molti definiscono “postmoderna”) che la questione dell’autenticità deve essere affrontata, all’interno di una più ampia cornice afferente all’edonismo. Quest’ultimo, tendenzialmente, favorisce un’aspirazione al “godimento estetico delle superfici” più che alla conoscenza in profondità di ciò che si osserva durante un’esperienza turistica, sia essa autentica o meno. La sostenibilità invece è strettamente connessa alla turisticizzazione dei luoghi che spesso porta al deterioramento dei valori culturali o naturali di una località (o forse sarebbe meglio dire del significato socialmente attribuito e riconosciuto ad essa). La perdita di una certa aura di autenticità e naturalità e le trasformazioni che intervengono nei luoghi turistici (che in molti casi però sono alla base del loro successo come mete turistiche) spingono molti turisti ad assumere atteggiamenti e pratiche meno commerciali e più rispettose del patrimonio ambientale e della biodiversità. Sono dunque numerose le attività economiche oggi presenti nelle varie aree del pianeta che hanno come obiettivo una crescita “verde”, una valorizzazione rispettosa del patrimonio materiale e immateriale, una fruizione responsabile del paesaggio e dei territori in cui si vive quotidianamente e quelli in cui si viaggia temporaneamente. Questi percorsi, che implicano pure una responsabilità sociale delle diverse imprese e dei singoli individui, investono appieno anche il settore turistico nelle sue variegate forme teoriche e pratiche e rappresentano una delle maggiori sfide delle variegate e articolate pratiche turistiche messe in essere nella nostra contemporaneità.
Come sono organizzati i flussi turistici nazionali ed internazionali?
A partire dagli anni Ottanta del XX secolo, l’espansione progressiva dell’ecumene turistico ha conosciuto nuove forme e nuove narrazioni che hanno ulteriormente diversificato l’offerta, i flussi, le mode e le pratiche turistiche. Questo ridisegno, su basi più articolate, del mondo turistico ha consentito di coinvolgere nuovi protagonisti e territori e di aprire nuove rotte al turismo internazionale e ai turismi nazionali che hanno affiancato quelle già presenti e rivolte a località e regioni di consolidata fama ed esperienza nel settore. Così a fianco dell’Europa (con le sue consuetudini e forme turistiche plurisecolari che hanno alimentato cospicui flussi nazionali e internazionali di visitatori) e del Nordamerica (con percorsi turistici simili a quelli europei ma in un arco temporale più ristretto, con un coinvolgimento minore di popolazione ma su uno spazio geografico più ampio) si sono aggiunti le nuove offerte e i nuovi spazi turistici dei cosiddetti “paesi emergenti” sparsi tra America Latina, Africa, Asia e Oceania. In questa nuova fase turistica, alcuni paesi demograficamente importanti sono così entrati in scena, a fianco dei Paesi leader degli ultimi decenni, per dare il loro forte contributo nel ridisegno di nuove rotte turistiche, nella produzione di nuovi flussi di turisti nazionali e internazionali, nella creazione di nuovi punti di partenza e di arrivo per milioni di viaggiatori, nella messa in essere di sistemi turistici più o meno solidi e articolati.
Quale ruolo assume l’avventura nell’esperienza turistica contemporanea?
In alcune tipologie di esperienza turistica assume una particolare rilevanza la performatività dei luoghi turistici (ovvero la loro capacità di assumere significato attraverso le pratiche che i soggetti mettono in atto interagendo con essi). La ricerca non è in questi casi necessariamente rivolta verso una specifica località in virtù di sue caratteristiche oggettivamente date o collettivamente riconosciute. Il turista contemporaneo raggiunge talvolta la piena soddisfazione grazie all’esperienza vissuta in sé, mentre lo spazio in cui ciò avviene può essere secondario, apparendo solo come una sorta di sfondo, ovviamente necessario ma rilevante soltanto in seconda istanza.
Il senso del luogo viene in questi casi creato attraverso l’azione, si realizza di fatto una particolare forma di placemaking, nella quale il soggetto mette in gioco il proprio corpo e la propria integrità fisica allo scopo di sperimentare una maggiore connessione con la natura, con il luogo, con il tempo o con la popolazione locale. Si tratta quindi di una pratica fortemente introspettiva e autocentrata, che però si può realizzare solo attraverso l’interazione con lo spazio e il viaggio. Un apparente paradosso quindi, che però è alla base di quello che possiamo genericamente definire come il turismo d’avventura. Si tratta per la verità di una pratica molto antica, la cui origine può essere ricercata agli albori stessi della storia del turismo, quando sparuti gruppi di avventurieri partivano in cerca di esperienze eccezionali in terre lontane, per esempio attraversando deserti, dedicandosi alla caccia grossa in Africa o scalando le cime più alte dell’arco alpino.
Nel contesto del turismo contemporaneo, l’avventura ha poi assunto caratteri in parte nuovi. Non sfugge infatti alla più generale commercializzazione di tutte le pratiche turistiche e viene in alcuni casi semplificata e banalizzata per essere adattata e standardizzata alle esigenze del consumo di massa. A questo proposito si parla a volte di “disneyzzazione” dei luoghi e delle pratiche connesse al concetto di “avventura”, per renderle accessibili a un pubblico pagante il più possibile ampio. Ciò non significa tuttavia che essa perda del tutto il suo valore; cambia ovviamente senso, ma rimane una pratica basata sulla totale immersione fisica nella natura e finalizzata a soddisfare il bisogno narcisistico di affermare la propria prestanza fisica e le proprie doti mentali di resistenza alla fatica, alla sofferenza o all’imprevisto. Non cambia quindi il senso profondo dell’avventura, semplicemente si modificano le pratiche e le forme che possono essere ricondotte ad essa e le caratteristiche dei protagonisti. Il caso del turismo d’avventura in alta montagna (si pensi al caso emblematico dell’Everest), che sta conoscendo una crescente popolarità, ci ricorda però che il turismo può rapidamente diventare tragedia grazie al numero crescente di viaggiatori inesperti o che non sono adeguatamente preparati per affrontare certi percorsi turistici. È necessario legare lo sforzo fisico e la sfida con se stessi con un efficace storytelling e una maggiore responsabilità da parte di chi propone determinati tour e di chi vi vuole partecipare. È probabilmente questa la strada da percorrere se si vuole sostenere il progresso del turismo in alta montagna come pratica utile per comprendere nell’arcipelago turistico contemporaneo un insieme di pratiche volte esplicitamente a spingere a gli uomini a confrontarsi onestamente con se stessi e con la natura.
Quali proporzioni hanno assunto oggi l’ecoturismo ed il turismo en plein air?
Sono diffuse ormai in gran parte del mondo variegate pratiche e forme turistiche che hanno come obiettivo quello di promuovere di volta in volta un turismo definito ecologico, verde, dolce, green o altro ancora. L’ecoturismo spinge per una valorizzazione rispettosa del patrimonio materiale e immateriale, una fruizione responsabile del paesaggio e dei territori in cui si viaggia temporaneamente. In particolare, con crescente attenzione l’ecoturismo viene esercitato nelle aree protette dove trova successo e sostegno presso un vasto pubblico di attori istituzionali, imprese specializzate, turisti, escursionisti e visitatori. In tal modo non solo si è assistito a una proliferazione del numero delle aree protette istituite nel mondo ma anche alla diffusione di pratiche turistiche nel verde e nei parchi per
sperimentare da vicino la necessità di tutelare i paesaggi fisici, di conservare gli spazi naturali e di preservare le specie ivi presenti a fronte degli effetti contrastanti derivanti da un processo di sviluppo antropico accelerato. La possibilità di fruire di questo patrimonio tangibile e visibile con responsabilità
e con comportamenti sostenibili ed ecologicamente corretti ha messo in nuova luce i parchi, le riserve naturali e della biosfera che non sono più solo percepite come spazi di conservazione e tutela dove il turismo è escluso. Le aree protette sono invece entrate nella sensibilità ambientale comune, nell’immaginario collettivo di molte società e nelle pratiche turistiche di milioni di individui come terreno ideale e privilegiato per praticare l’ecoturismo.
I rapporti sul turismo in libertà in camper, in caravan e nei campeggi elaborati da Eurostat nell’ultimo decennio dimostrano la crescente importanza del cosiddetto turismo en plein air che non è più da considerare pertanto un elemento marginale nella crescita turistica di determinate località. A solo titolo di esempio nel 2016 il 9% dei turisti in Europa ha alloggiato in campeggi e aree di sosta per camper e caravan. Si tratta di numeri decisamente importanti: 86,1 milioni di arrivi (su circa 914 milioni di arrivi totali nel “Vecchio continente”) e oltre 382 milioni di pernottamenti (su quasi 2,7 miliardi di notti totali trascorse dai turisti in Europa). Anche alla più ridotta scala italiana il fenomeno del turismo en plein air ha numeri significativi: sempre nel 2016 circa 8,4 milioni di turisti (stranieri e italiani) hanno scelto il camper o il caravan per fare turismo in Italia (+3,7% rispetto al 2015).
Il successo e la crescita di queste forme turistiche poggia sulla decisione di determinati individui di passare il proprio periodo di vacanza all’aria aperta, in cerca di un ideale di libertà che si pensa di poter raggiungere scegliendo una struttura ricettiva mobile, percorsi non prefissati e un contatto più stretto con la natura. L’idea di fondo è che in questo modo sia possibile svincolarsi dai ritmi standardizzati dalle strutture ricettive fisse. La mobilità dell’alloggio è pertanto da intendersi come un espediente che permette di rompere con le abitudini urbane della vita quotidiana. Non a caso spesso questa pratica turistica viene ritenuta la migliore per avvicinarsi alla natura. Parte del successo sta poi anche nel fatto che il turismo en plein air si presta a strutturarsi in associazioni che facilitano la socialità degli aderenti, l’organizzazione di raduni e momenti ludici. Per i suoi numeri e la sua tendenza ad espandersi queste pratiche e forme turistiche evidentemente non possono più essere trascurate da quelle località che vogliono elaborare strategie di sviluppo turistico in più direzioni.
Come si è sviluppato il turismo dei cinesi in Italia e nel mondo?
I dati quantitativi dei flussi turistici dell’ultimo decennio testimoniano dell’ascesa “dirompente” della Cina, non solo come nuova meta turistica internazionale che attira un numero crescente di visitatori provenienti dall’estero ma anche come paese produttore di crescenti e ingenti flussi di turisti che si indirizzano verso le altre regioni turistiche sparse nei vari angoli del mondo. La fase storica che vedeva lo Stato centrale cinese in prima linea per favorire il turismo inbound che portava valuta estera da reimpiegare per lo sviluppo economico del paese ha dunque lasciato il posto a una nuova fase nella quale la Cina riscopre il proprio patrimonio materiale e immateriale in funzione dell’industria turistica nazionale ma non ostacola anche i flussi outbound dei propri cittadini desiderosi di viaggiare e fare esperienze all’estero. Il turismo in uscita dei cinesi è cresciuto rapidamente grazie alla volontà di apertura del governo, come conseguenza della maggiore disponibilità di denaro e la crescente curiosità verso l’estero delle classi medio-alte residenti nelle grandi aree urbane della Cina centro-orientale. A interessare sono soprattutto i paesi più facilmente raggiungibili, più economici e dove si parla il cinese (Hong Kong, Macao, Taiwan). Ad essi poi si aggiungono, spesso con le stesse motivazioni, altri paesi del Sud-Est Asiatico e dell’Asia-Pacifico (Thailandia, Giappone, Singapore, Vietnam, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea del Sud, Australia). Negli ultimi anni l’Unione Europea, grazie ad una serie di accordi bilaterali sino-europei, è diventata la meta preferita dei turisti cinesi all’estero sulla lunga distanza. In questo contesto anche il flusso di turisti cinesi in Italia ha conosciuto negli ultimi anni una crescita rapida e continua. Ad attirare i turisti cinesi in Italia non è solo la fama e la narrazione del patrimonio ambientale e culturale del “Belpaese” (il clima, il paesaggio, i monumenti e le città d’arte, il riconoscimento di importanti siti da parte dell’Unesco, la fama ottenuta attraverso il cinema, il teatro, la musica o la lirica) ma anche di alcune sue eccellenze (il made in Italy, lo shopping, la moda, il design, l’enogastronomia, gli eventi, gli sport, lo stile di vita). Per attori e operatori il successo dei flussi di turisti cinesi obbliga però anche una riflessione su quei fattori che potrebbero maggiormente favorire o sfavorire lo sviluppo dell’industria turistica e potenziare o depotenziare l’attrattività del nostro paese rispetto ad una forte concorrenza di altri Paesi.
Quali prospettive future per il turismo?
Le pratiche turistiche messe in essere alle diverse latitudini e longitudini del nostro pianeta sono tra i uno dei principali fenomeni delle società contemporanee. Nulla fa pensare al momento che tali pratiche non lo saranno anche in futuro. Questo implica una sfida gigantesca in diverse direzioni (economiche, politiche, culturali, sociali, educative, ambientali, paesaggistiche e geografico-spaziali). Il turismo dunque è e sarà anche nel prossimo futuro un elemento singolare e da gestire, una sfida che si inserirà più o meno armoniosamente nei cambiamenti delle società umane di oggi e di domani, con posizioni e significati variabili nelle economie, società, culture, territori e nella costruzione di nuovi luoghi di svago, relax, divertimento, ecc.. Le pratiche turistiche daranno il loro contributo alle trasformazioni, si spera in chiave sostenibile e responsabile, che l’umanità dovrà affrontare sul medio-lungo periodo. Esse si inseriranno inoltre nelle dinamiche della globalizzazione e della competizione tra i territori, poseranno nuove prospettive occupazionali nella filiera turistica e imporranno inevitabilmente delle scelte verso una manodopera che si può immaginare stagionale e improvvisata, poco specializzata e dunque spesso sfruttata o, al contrario, culturalmente preparata, più professionale e meglio retribuita. Infine le pratiche turistiche seguiranno inevitabilmente le innovazioni tecnologiche, comunicative e rappresentative e dipenderanno anche dalle nuove modalità di viaggio e di utilizzo dei trasporti pubblici e privati. La sfida sarà anche nel campo finanziario dove l’attuale sistema capitalistico e le forme neoliberali dell’economia dominano prepotentemente. Gli investimenti nel settore turistico dipenderanno spesso dai mercati finanziari, dalla disponibilità dei capitali, dalle previsioni di guadagno, dalle strutture e dalla taglia delle imprese coinvolte. In estrema sintesi a noi appaiono oggi queste le prospettive e le sfide future per l’articolato e vasto ecumene turistico.
Dino Gavinelli è professore ordinario di Geografia all’Università degli Studi di Milano. Si interessa di: organizzazione regionale; geografia culturale, dei luoghi e delle culture locali; spazi rurali; fenomeni urbani; turismo e aree protette; didattica della geografia. È direttore della rivista Geography Notebooks (LED Edizioni) e condirettore delle collane Kosmos (Mimesis Edizioni) e Tratti Geografici (FrancoAngeli).
Giacomo Zanolin è assegnista di ricerca post-doc e docente a contratto di Geografia all’Università degli Studi di Milano. Si interessa di: processi territoriali; geografia dell’ambiente e del paesaggio; percorsi di gestione, fruizione e valorizzazione di territori turistici; nuove strategie di insegnamento.