
Gli Stati Uniti sono, in un certo senso, la patria dell’homeschooling: in quale contesto culturale e sociale matura prevalentemente tale scelta?
Non dobbiamo mai dimenticare che la scuola di massa è un fenomeno che si è affermato nell’età contemporanea e che al suo interno ha spesso generato critiche da parte delle diverse culture politiche. Negli Stati Uniti il fenomeno nella sua veste contemporanea si afferma nel corso degli anni Sessanta sull’onda della cultura di sinistra che contestava il conservatorismo e la rigidità della scuola. La figura chiave in questa fase è John Holt un insegnante che per la sua resistenza agli obblighi legati alla valutazione aveva già avuto problemi con i dirigenti scolastici. Holt nei suoi testi da oltre un milione di copie come How Children Fail e How Children learn (“Come i bambini apprendono” tradotto di recente in italiano da una brava madre homeschooler) sosteneva che la scuola distruggeva la curiosità dei bambini e produceva solo studenti volti a compiacere gli insegnanti. Holt ottenne un successo crescente grazie ai suoi libri e iniziò a collaborare con importanti riviste come Life e a produrre una newsletter per chi voleva educare i figli in casa. La partecipazione al “Phil Donahue Show” pur con un pubblico di persone ostili alla pratica garantì un successo notevole e moltiplicò la platea di padri e madri pronte a misurarsi con la scuola in casa. Holt era laico e progressista (si oppose con decisione alla guerra in Vietnam) ma fece da apripista alla seconda ondata dell’homeschooling negli Stati Uniti che aveva una connotazione di stampo religioso e conservatore. La maggiore organizzazione e forza economica dei gruppi religiosi portò a conquiste di cui tutto il movimento oggi beneficia: la legalizzazione della pratica pur con differente regolamentazione in tutti gli Stati Uniti. Oggi mi pare utile sottolineare come negli Stati Uniti ci sia una tendenza sempre maggiore da parte delle minoranze come gli afroamericani e i latinos a fare scuola in casa per ragioni legate alla lingua, all’emarginazione culturale che si riscontra anche nei testi scolastici e a un velato razzismo anche da parte del corpo docente. Va poi ricordato che alcuni gruppi suprematisti bianchi fanno la scelta dell’educazione in casa per ragioni ovviamente opposte.
Quali motivazioni spingono i genitori homeschooler a questa pratica educativa?
Alcuni studiosi ci ricordano che la varietà della popolazione nel mondo dell’istruzione parentale è uno specchio di quella che popola la scuola pubblica o paritaria. Fatta questa premessa mi pare di aver riscontrato nel nostro paese (i dati quantitativi sono difficili da raccogliere e un lavoro etnografico offre opportunità di conoscenza più immediate) una buona fetta di persone che fanno questa scelta per ragioni di tipo pragmatico come bullismo, incomprensioni tra insegnanti e allievi e ragioni legate a orari o distanze dell’abitazione dalla scuola più vicina. Vi sono i gruppi che sono animati da ideali e filosofie di vita piuttosto radicate come gli homeschooler che ho definito “puerocentrici” che nello spirito di Holt fondano le loro scelte sulla libertà del bambino e sulle sue esigenze agganciandosi a tradizioni pedagogiche che con l’homeschooling non hanno molto a che fare come i metodi montessoriani o quelli steineriani. Troviamo gruppi di genitori “statofobici” che potremmo definire anche libertari che hanno una spiccata insofferenza verso gli obblighi imposti dallo Stato. Gli obblighi possono prendere la forma di esami di idoneità o di profilassi legate ai vaccini che da alcuni genitori sono vissute con fastidio o timore. Vi sono poi le esigenze di controllo del cibo che i bambini mangiano e le mense in questo caso pur facendosi carico delle differenze culturali legate al pasto non possono accontentare tutti. Infine vengono i gruppi religiosi che non si accontentano delle scuole paritarie religiose (considerate come una copia sbiadita di quelle pubbliche) e che ho chiamato “identitari” per la forte connotazione conservatrice di stampo religioso che vede con paura e angoscia le espressioni della contemporaneità come le pratiche educative più democratiche all’interno della scuola e l’educazione al rispetto della diversità in qualsiasi declinazione.
Come disciplina il nostro ordinamento la pratica dell’homeschooling?
Nel nostro Paese l’obbligo di istruzione può essere assolto tramite l’educazione parentale. Da un punto di vista legislativo la possibilità di istruire in casa i figli era garantita anche dalla legislazione che precedeva l’Italia repubblicana. Gli articoli 30 e 34 della Costituzione Italiana consentono la pratica. Da questi articoli emerge chiaramente il dovere dei genitori nell’assolvere il compito dell’istruzione ma nel caso vi siano impedimenti di vario genere possono subentrare altri soggetti come lo Stato. Questi articoli consentono inoltre ai genitori di non adempiere all’istruzione in strutture pubbliche o paritarie ma di farlo in autonomia fatta salva la capacità di dimostrare di esserne in grado. Con l’approvazione della famosa Legge 107 del 2017 (la Buona scuola) è obbligatorio che i minori in istruzione parentale sostengano alla fine di ogni anno scolastico un esame di idoneità in una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo
Come è organizzato nel nostro Paese il movimento degli homeschooler?
Credo che la realtà sia pulviscolare e molto variegata con posizioni diverse che si differenziano sul ruolo delle associazioni nei confronti delle autorità scolastiche. Alcuni sono più indirizzati a confronti pubblici aperti e alieni da contrasti mentre altri sono più movimentisti e fanno di questa opposizione radicale alla scuola la forza trascinante della loro azione. In ogni caso moltissimi conoscono e almeno nelle fasi iniziali sono passati per il sito educazioneparentale.org che sulla rete mi è parso il più organizzato e attivo. Detto questo credo che la pandemia che ci ha colpito potrebbe portare a un aumento degli homeschooler pragmatici che per timore del contagio e avendone la possibilità sceglieranno di educare i figli in casa.
Paolo Di Motoli è dottore di ricerca in Scienze sociali all’Università di Padova e in Studi Politici all’Università di Torino. Si è occupato di nazionalismo in Israele, fondamentalismo e musulmani in Europa. Ha pubblicato saggi e monografie in ambito accademico. Ha collaborato per riviste e quotidiani con interventi di taglio divulgativo. È insegnante di Scienze Umane al Liceo Bobbio di Carignano, vive a Torino è sposato e ha due figli.