
Quale insospettabile rete di scambi tra opere all’apparenza diverse e a volte lontane nel tempo è stato possibile mettere in luce?
Sono molte le connessioni che si possono individuare tra generi e sottogeneri distanti cronologicamente. In Frontiere del romanzo parlo soprattutto dei rapporti tra vari sottogeneri romanzeschi, ma anche di rapporti tra generi diversi, come appunto narrativa e saggistica. Studiando il romanzo erotico, ad esempio, sono riuscita a scorgere un’insospettabile continuità tra romanzieri della fine del diciannovesimo secolo e romanzieri dell’epoca della movida (è qui che, come dicevo, ho spinto lo sguardo oltre il limite cronologico del 1936). Il romanzo erotico è tutto sommato un sottogenere minore, ma in Spagna era stato, agli inizi del ventesimo secolo, straordinariamente vitale. Se gli autori erotici del primo Novecento riuscirono a godere di certe libertà fu anche grazie al fatto che un gruppetto ‘sovversivi’, autodefinitosi dei ‘naturalisti radicali’, aveva spianato la strada all’uso di tematiche scabrose e scandalose. I naturalisti radicali, infatti, recepirono e fecero propria l’esperienza di Zola e del naturalismo francese in maniera, appunto, radicale. Promotori di una letteratura di rottura, ebbero il merito e il coraggio di praticare una narrativa antiidealistica, provocatoria, di denuncia sociale: per raccontare la realtà, bisognava analizzarla scientificamente e bisognava parlare anche, o forse soprattutto, di argomenti che per la maggioranza del pubblico di allora erano indecenti. Non solo: molti di questi autori attinsero a piene mani le loro argomentazioni da studi dell’allora attualissima medicina sperimentale. Sebbene il romanzo naturalista radicale non fosse esattamente di tematica erotica, nel suo affanno di realismo permise comunque la tematizzazione esplicita delle pulsioni sessuali, anche se da una prospettiva che aveva ben poco a che fare con l’erotismo. Insomma, questo modello, secondo me, permise poi la nascita del vero romanzo erotico dell’inizio del diciannovesimo secolo, che però fu poi bruscamente costretto a un lungo silenzio dalla censura franchista. Con l’avvento della democrazia il sottogenere riemerse con grande forza, al punto che esso divenne quasi l’emblema letterario dell’epoca della movida e della ritrovata libertà. Sono convinta, ed ho cercato di argomentarlo, che questo romanzo erotico degli anni Ottanta del secolo scorso cerca di scandalizzare più alla maniera dei naturalisti radicali che non degli erotici del primo trentennio del Novecento. Nel caso del saggio, poi, mi è stato possibile individuare una fitta rete di relazioni tra generi che portò, sul finire dell’Ottocento, alla nascita di quello che ho definito il ‘microsaggio epistolare’, un peculiare sottogenere giornalistico a metà strada tra il reportage culturale e il saggio brevissimo. Questi testi, che formalmente si presentavano ai lettori come se fossero appunto delle lettere, veicolavano riflessioni e argomentazioni di pura matrice saggistica. Il microgenere affonda le sue radici nel giornalismo del primo Ottocento, quando non fu infrequente la pubblicazione di interi periodici che simulavano la forma epistolare, ma anche nella narrativa epistolare d’invenzione del XVIII secolo, operando tra i due modelli una sintesi originalissima.
In che modo narrativa e saggistica si influenzano reciprocamente?
Dalla seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento si è assistito in tutta Europa, Spagna compresa, a una progressiva affermazione della scrittura saggistica. Dirò di più: se la forma narrativa romanzesca è stata il genere dell’Ottocento, il saggio è forse, come ha affermato Alfonso Berardinelli, il genere del Novecento. Inevitabile, perciò, assistere a forme di contaminazione tra modalità di scrittura diverse tra loro. Se un genere ‘forte’ quale è il romanzo può lasciarsi ‘fecondare’ dalle strategie retoriche e stilistiche e dalle tematiche della scrittura saggistica, allo stesso modo il saggio può rivelare un respiro narrativo simile a quello romanzesco. Mi pare evidente che lo studioso, oggi, debba prestare attenzione a questi fenomeni che inevitabilmente ci guideranno verso una ridefinizione dei confini della letterarietà.
Come è dunque possibile ripensare le frontiere tra generi e sottogeneri in un’ottica più flessibile?
A correnti e tendenze estetiche, ideologie, stili e tecniche di scrittura troppo spesso vengono applicate con estrema fiscalità delle etichette che finiscono per creare delle rigide schematizzazioni. Rinchiudere i fenomeni letterari dentro gabbie definitorie impedisce non solo di coglierne le sfumature, ma anche la vitalità. Le categorie, secondo me, vanno sempre intese in maniera elastica. Inoltre, la storia letteraria, e mi scuso se insisto su questo punto, non va intesa soltanto come un compendio cronologico di capolavori. In una certa misura, già il formalismo russo aveva avvertito la necessità di non ignorare i minori, benché essenzialmente come mezzo di contrasto per meglio evidenziare i capolavori. Oggi la nostra prospettiva è cambiata e qualsiasi studioso di letteratura dovrebbe, a mio parere, tentare delle ricostruzioni storiche non viziate da amputazioni: dovrebbe, insomma, supere le barriere imposte dal canone precostituito, quello attraverso cui, come dicevo prima, i gruppi dominanti tendono a imporre il proprio gusto e la propria visione della realtà. E naturalmente dovrebbe, con la stessa flessibilità, utilizzare gli strumenti messi a disposizione dagli studi di teoria della letteratura. Ritengo che solo così si possa tentare la via di una riconsiderazione generale di quelle frontiere che, costantemente, vengono create e imposte anche in campo letterario. Ed è questo l’approccio critico che ho cercato di adottare nel mio libro.
Che rapporto esiste, nella modernità letteraria spagnola, tra letteratura alta e produzione di consumo?
Letteratura alta e produzione di consumo sono ovviamente concetti che applichiamo a posteriori alla letteratura del passato. Mi spiego: nella modernità letteraria spagnola ci fu una grande permeabilità del confine tra letteratura alta e letteratura di consumo. Nel periodo di cui stiamo parlando non era infrequente, ad esempio, che autori di letteratura alta collaborassero con autori, diciamo, ‘commerciali’. A questo proposito vorrei citare un caso che ritengo emblematico: l’8 maggio del 1886 il Madrid Cómico, un settimanale molto diffuso, cominciò la pubblicazione a puntate di un romanzo collettivo, Las vírgenes locas [Le vergini folli]. Si trattava della parodia di un romanzo d’appendice basato su un meccanismo narrativo piuttosto complicato, visto che alla stesura dei dieci capitoli più l’epilogo si sarebbero avvicendati undici autori diversi e senza la possibilità di concordare la trama. Insomma, una sorta di anticipazione della scrittura collettiva surrealista del cadavre exquis. Ebbene, Las vírgenes locas è un brillante esempio di come lavorando fianco a fianco, o meglio passandosi il testimone l’un l’altro, undici scrittori grandi, minori e minimi scrissero un romanzo pensato come prodotto di consumo, ma che si rivela di una sorprendente qualità. Ancora più normale era trovare tra i nomi dei collaboratori delle pubblicazioni destinate al grande pubblico, come ad esempio le collane di brevi romanzi popolari in vendita nelle edicole, anche quelli di scrittori che poi col tempo sarebbero entrati nell’olimpo della ‘classicità’, come ad esempio (e cito un nome su tutti) Ramón María del Valle Inclán. Insomma, quello che sinteticamente sto cercando di dire è che la frontiera tra letteratura alta e letteratura di consumo nella modernità letteraria spagnola fu, in sostanza, abbastanza ‘liquida’.
Quale quadro emerge della produzione letteraria spagnola moderna e contemporanea?
Dalla fine dell’Ottocento e fino all’inizio della guerra civile la letteratura spagnola era stata vivace, plurale, trasgressiva, avanguardista. Eppure, esiste un pregiudizio critico che la vorrebbe sempre un passo indietro rispetto alle altre letterature europee e che è stato a lungo alimentato dall’immagine trasmessa da un canone paradossalmente costituito proprio dagli stessi spagnoli. È anche per questo che la letteratura spagnola è ancora poco e male conosciuta. Non dobbiamo dimenticare che la Spagna ha dovuto fare i conti con un sistema censorio forte che ha cercato per molti anni di seppellire tutto quanto non fosse in linea con i principi del franchismo. Basti pensare che un romanzo straordinario come La Regenta (1884-85) di Leopoldo Alas ‘Clarín’ è rimasto praticamente nell’ombra fino alla metà del Novecento proprio a causa della sua carica trasgressiva. Questo spiega perché un simile capolavoro, che non ha molto da invidiare, per esempio, a Madame Bovary o Anna Karenina, è oggi conosciuto in patria ma ben poco all’estero. Insomma, come dicevo all’inizio, sono convinta che se guardiamo alla produzione letteraria spagnola della modernità liberandoci dai preconcetti, scopriamo un panorama di estremo dinamismo e vitalità, ricco di interessanti sorprese.
Donatella Siviero insegna Letteratura spagnola all’Università di Messina. Si occupa principalmente di letteratura moderna, anche in prospettiva comparata, e di temi e problemi della traduzione letteraria. Fa parte del comitato scientifico di riviste di ispanistica e comparatistica. Tra i suoi lavori, il volume Personaggi perduti. Aspetti del romanzo spagnolo tra Otto e Novecento (2009) e alcune curatele, come le edizioni italiane del saggio España y los españoles di Juan Goytisolo (2005) e del romanzo collettivo di fine Ottocento Las vírgenes locas (2012).