
Durante i mesi duri della primavera, quando la peste del Covid-19 imperversava, la vista dei camion militari che portavano i cadaveri al cimitero è stato uno shock per chiunque credente o non credente. Una lacerazione culturale. Per di più la tempesta del Coronavirus è stato all’inizio il primo evento storico in cui la religione sembrava spazzata via dalla scena pubblica. Per secoli, dalla peste nera del Medioevo in poi, la Chiesa era sempre presente con le sue messe, le sue processioni, le sue pubbliche litanie, gli ospedali gestiti dai religiosi, i frati e i sacerdoti che nelle strade deserte al suono della campanella del chierichetto portavano gli estremi conforti ai morenti.
E ora, nel 2020, tutta questa presenza era improvvisamente cancellata. Un impatto visivo violentemente negativo. Dominavano la scena soltanto i medici, gli esperti scientifici, i leader politici, i governatori di regione. Per milioni di cattolici le prime settimane sono state di smarrimento. Persino persone atee e agnostiche si sono chiesti in quei giorni di marzo: “Ma dov’è Francesco”?
Papa Bergoglio con grande senso di responsabilità non ha mai voluto arruolare la Chiesa tra le file dei negazionisti o del radicalismo politico di estrema destra (e anche di settori ecclesiali fondamentalisti), che agitato lo spettro di una violazione dei diritti fondamentai a causa del confinamento.
E tuttavia Francesco si è reso conto rapidamente che nell’infuriare della peste doveva intervenire.
In che modo Francesco ha saputo incarnare e dare voce allo smarrimento e alla paura di questi giorni?
Con il rito assolutamente eccezionale del 27 marzo Francesco ha parlato al mondo. Ha “afferrato” le paure e le fragilità di centinaia di milioni di uomini e donne di qualsiasi fede e orientamento filosofico.
Piazza San Pietro – deserta in mezzo a Roma deserta, all’Italia deserta, a intere regioni del mondo deserte per il terrore del contagio (anche alla Mecca non si vedeva più nessuno) – si è riempita degli interrogativi di tutti, dello smarrimento di fronte alla morte che avanzava, della domanda di senso che ha tormentato i tanti chiusi tra le mura delle proprie abitazioni, del bisogno di trovare una via d’uscita con il cuore e la mente.
Francesco, per il quale Dio non è un padrone confessionale ma è padre di tutti, ha parlato in modo evangelico e del tutto laico insieme. È la sua caratteristica. Non ha invocato la vecchia immagina della punizione divina (peraltro propria anche ad Omero quando cantava l’Iliade e che ha attraversato per secoli tante culture). Non ha parlato di giudizio di Dio. Ma invece ha esortato i contemporanei – donne e uomini del XXI secolo – a capire che era il momento di formulare il proprio “giudizio”, scegliendo quale via imboccare in presenza di un evento straordinario e letale. Cosa è importante e cosa è secondario? Come posizionarsi dinanzi al sacrificio di medici, infermieri, badanti, personale dei servizi essenziali? Rimanere soltanto spettatori o comprendere che di fronte alla catastrofe non si può sperare di salvarsi da soli. Prendendo coscienza che davvero, nel mondo globalizzato, si è tutti nella stessa barca e che più che mai questo deve impegnare ciascuno ad agire attivamente perché la società sia “umana” e garantisca la dignità di tutti.
È un pensiero, sviluppato negli ultimi decenni da tutti i papi quali che siano il temperamento delle loro personalità e le sfumature del loro orientamento teologico. Da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, da Paolo VI a Giovanni Paolo II a Francesco.
Il papa argentino a questo filone di pensiero dà una vena di grande concretezza, chiedendo ai cristiani di testimoniare fattivamente le parole di Cristo nella parabola del Buon Samaritano. Non sono favole improntate al buonismo. Sono esempi che si confrontano con la realtà, che abbiamo dinanzi agli occhi. Avere un servizio sanitario nazionale, che accoglie tutti, significa credere in una comunità statale solidale – cosa diversa dal vivere in un paese contraddistinto da un sistema assicurativo dove se non sei titolare di una polizza comprata a caro prezzo, ti gettano sulla strada.
Lavorare per un vaccino con uno sforzo multilaterale perché sia disponibile per tutti al minor prezzo possibile, come sta facendo l’Unione europea, è diverso dall’idea di accaparrare per la propria nazione quante più dosi possibili a suon di milioni. Rafforzare in questo tragico momento l’Organizzazione mondiale della Sanità è l’opposto del sabotaggio propugnato dall’amministrazione Trump nel suo intento di trascinare tutti in una nuova guerra fredda Stati Uniti-Cina.
In questo senso la prospettiva indicata da Francesco, benché radicata in valori religiosi, è totalmente laica. E non è un caso che tanti atei o agnostici o seguaci di altre religioni abbiano seguito con interesse ed emozioni l’intervento di Francesco in piazza San Pietro. Un uomo come noi dinanzi alla Storia.
Le immagini di papa Francesco solo in una piazza San Pietro deserta sono, come lei dice, destinate a entrare nella storia: cosa ha significato per la Chiesa la pandemia?
È stata una prova, un test per comprendere il suo posto nella società di oggi. Tanti preti hanno confessato che improvvisamente liberi da agende sovraccariche, non più in grado – perché impediti dal confinamento – di correre di qua e di là per seguire i molteplici programmi quotidiani, sono stati costretti a riflettere, a fare bilanci, a individuare ciò che è veramente necessario e cosa no. Parecchi di loro non hanno voglia di tornare ai ritmi sfibranti di prima. Nel dramma della peste, che ha reso tutti nudi e fragili, è emerso anche con chiarezza che cosa la fede e i preti hanno da offrire alla contemporaneità. Come hanno detto molti di loro: “stare accanto” a chi soffre, ascoltare chi è in difficoltà, aiutare gli uomini e le donne del nostri tempo ad andare avanti in dignità, superando le difficoltà e impegnandosi perché nessuno rimanga indietro, abbandonato e solo. Durante la pandemia, che ora sta tornando con violenza forse maggiore, Francesco stava scrivendo la sua enciclica e non è un caso che sia un testo in cui l’immagine simbolica e l’esempio sia il Buon Samaritano. Una figura accessibile a tutti. Non si tratta di andare a messa e pregare per conto proprio, non si tratta di dare qualche offerta – ciò di cui c’è bisogno sono persone che, come il Samaritano, scendono dalla propria cavalcatura (cioè siano disposti a non rimanere chiusi nel proprio spazio egoistico) e raccolgano il ferito in mezzo alla strada accompagnandolo finché non sarà guarito. È molto semplice come comandamento. Essere cristiani, per Francesco, significa curarsi delle sorelle e dei fratelli che ci stanno intorno nel mondo globalizzato.
La peste del Coronavirus in questo senso rappresenta un impulso potente a fare un esame di coscienza.
Qual è la proposta di papa Francesco per la rinascita post-Covid?
Oggi, mentre la seconda ondata della peste Coronavirus colpisce ancora più violentemente l’Europa, le Americhe e larghe parti di Asia e Africa, papa Francesco è l’unica voce internazionale che pone la domanda sul “domani”. Come ricostruire società ed economia? Dalla crisi – dice il Papa – non si esce come prima. Si esce soltanto o peggio o meglio. Già in primavera il pontefice ha istituito in Vaticano una commissione per studiare gli effetti sociali, economici, culturali della crisi e le proposte per un assetto migliore sia a livello nazionale che internazionale.
Durante la pandemia il Papa ha scritto l’enciclica “Fratelli tutti” e dunque la sua proposta è chiara. Nessun paese può rinchiudersi in una prospettiva egoistica. Nessuna società può reggere se ispirata alla logica darwiniana della lotta di sopraffazione di ognuno contro tutti. A livello internazionale non ci potrà essere un assetto di pace e uno sviluppo ecosostenibile se non in una prospettiva di cooperazione multilaterale.
Già adesso nella sfera mondiale gli indicatori socio-economici sono gravi: aumenta di centinaia di milioni la povertà, si è interrotto il ciclo di espansione dell’economia, crescono disuguaglianze e ingiustizie. La richiesta di un vaccino per tutti e non per le nazioni più forti è all’ordine del giorno.
Il Papa è in polemica con i leader populisti che dicono “Prima la Mia Nazione”. Francesco chiede di guardare in faccia le questioni che danneggiano l’umanità: l’abisso insopportabile tra una cerchia ristretta di super-ricchi (l’1 per cento della popolazione mondiale possiede quello che ha il 99 per cento; e ancora, secondo i dati Oxfam, 26 individui ultramiliardari possiedono quanto i tre miliardi e mezzo più poveri del pianeta), le nuove schiavitù lavorative e sessuali, il precariato e l’insicurezza di massa, i devastanti danni sociali procurati dal degrado ambientale, la marginalizzazione sistemica di vasti strati della popolazione.
In piena tempesta della pandemia, Francesco non evoca il giudizio di Dio ma chiama gli uomini e le donne nostri contemporanei a decidere che via intraprendere per risorgere. La sfida di Francesco per costruire una società più inclusiva è di estrema attualità.
Marco Politi è a livello internazionale uno dei maggiori esperti di questioni vaticane. Nel 2004 con un’intervista al cardinale Ratzinger ha prefigurato la sua elezione al papato. Vaticanista de “la Repubblica” per quasi un ventennio, poi editorialista del “Fatto Quotidiano”, collabora con Abc, Cnn, Nbc, Bbc, Rai, Zdf, France 2. Con Carl Bernstein ha scritto il bestseller mondiale Sua Santità su Giovanni Paolo II. Francesco tra i lupi. Il segreto di una rivoluzione (Laterza), pubblicato in Europa, negli Stati Uniti e in Argentina, è diventato una chiave interpretativa del pontificato di Bergoglio, seguito nel 2019 da La solitudine di Francesco.