“Fragili amazzoni. I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti” di Elena Riva

Dott.ssa Elena Riva, Lei è autrice del libro Fragili amazzoni. I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti edito da FrancoAngeli: quale diffusione hanno, tra le adolescenti e le giovani, i comportamenti riconducibili all’ortoressia e alla vigoressia?
Fragili amazzoni. I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti, Elena RivaÈ difficile fornire dati statistici sulla diffusione di ortoressia e vigoressia nell’adolescenza femminile perché queste nuove forme di disturbo alimentare non compaiono (ancora …) nei manuali diagnostici psichiatrici, in particolare nel DSM V (2013). Non è dunque possibile condurre ricerche epidemiologiche confrontando i dati, ma è esperienza condivisa fra i clinici che il controllo del corpo e dell’alimentazione che caratterizza i disturbi alimentari abbia assunto queste nuove forme sintomatiche: se negli anni Sessanta e Settanta è stata l’esplosione epidemica dell’anoressia restrittiva a suscitare allarme, se nei decenni successivi le forme dis-regolate della bulimia e del binge eating hanno superato quelle restrittive, oggi assistiamo all’incremento di condotte vigoressiche, finalizzate a costruire con la pratica sportiva un corpo prestazionale, scolpito nelle forme e allenato alla fatica, più muscoloso che magro, e ortoressiche, orientate ad alimentarsi in modo sano ed equilibrato, grazie a una rigida selezione del cibo e a un ossessivo controllo della preparazione e dell’assunzione dei pasti. Queste nuove forme di disturbo alimentare non perseguono intenzionalmente la magrezza, anche se spesso si accompagnano a una drastica perdita di peso a causa di una sorta di errore di calcolo nell’equilibrio energetico fra introiti e consumi. L’intento non è più quello di raggiungere una magrezza scheletrica, ma di plasmare un corpo iper-definito nelle forme e potenziato nella muscolatura, anche se il rischio di perdere il controllo sulla fame e sulla pigrizia – per queste ragazze i peggiori dei vizi capitali – rende insopprimibile la paura di ingrassare anche per chi non apprezza affatto l’aspetto “pelle e ossa”, che evidenzia dell’inconsistenza della massa muscolare.

A quali valori rimanda la ricerca di un corpo non più esageratamente magro e ascetico ma caratterizzato piuttosto da una muscolatura forte e ben definita?
La costruzione dell’identità femminile è una questione centrale nei disturbi alimentari, che non a caso coinvolgono soprattutto la popolazione femminile (in rapporto 10 a 1 rispetto ai maschi) e la cui fase d’esordio è la fascia d’età fra i 12 e i 25 anni; in questa fase evolutiva, infatti, avviene la mentalizzazione del corpo pubere e la definizione degli ideali di genere, tappe fondamentali dello sviluppo psichico.

Le nuove forme orto-vigoressiche di DCA rivelano la genesi di un’ideale femminile non più orientato a far trionfare la mente (l’anima, la razionalità, lo spirito) sulla carne, riducendo il corpo a scheletro, ma ad imprimere alla femminilità una forma nuova, forte, sana e vincente, con un’importante marcatura narcisistica e una profonda diffidenza nei confronti della dipendenza relazionale.

Il corpo magro dell’anoressica esprimeva il rifiuto di una declinazione identitaria caratterizzata da un’attitudine materna devota e sacrificale (l’angelo del focolare) e dall’assoggettamento al desiderio maschile (la donna-oggetto), per affermare un’autonomia non solo economica e professionale, ma anche relazionale. Le adolescenti del nuovo millennio non sono più costrette a rinunciare al fascino erotico per affermare sé stesse: il corpo atletico plasmato dalla vigoressia rappresenta una femminilità insieme forte e seduttiva, vincente sul piano sociale e lavorativo e nel rapporto con gli uomini. Il mito della magrezza incarnato da un corpo femminile emaciato e scheletrico, “libero” e svuotato di ogni rimando all’accoglienza materna e alla recettività femminile, volge al tramonto, ed è sostituito da un’estetica della femminilità che abbandona ogni rimando simbolico alla rinuncia e al sacrificio, ma ribadisce il rifiuto dalla dipendenza affettiva e aspira a una proattività performante, perseguibile attraverso un rigido controllo del corpo e della mente.

Quali ansie e quali timori ispirano il tentativo orto-vigoressico di costruire un corpo rivestito da una solida corazza muscolare?
Il drammatico quanto involontario esperimento sociale con cui la pandemia ha messo alla prova le risorse evolutive degli adolescenti, provocando un netto aumento del disagio psichico, ha evidenziato come maschi e femmine abbiano reagito in modalità opposte: gli uni accentuando il distanziamento sociale prescritto e cercando rifugio nella realtà virtuale, le altre allenando forsennatamente la mente e il corpo per prepararsi alla ripartenza.

Le ragazze che per indole propria e cultura affettiva familiare avevano adottato ben prima della pandemia uno stile di funzionamento orientato all’eccellenza prestazionale e all’attivismo multitasking, hanno reagito all’obbligo di fermarsi con profonda angoscia e hanno tentato di contenerla esercitando un rigido controllo sul corpo e sulla vita; tali modalità di controllo hanno finito per travolgerle, colonizzando le loro giornate e i loro pensieri.

In un’epoca di radicali trasformazioni nei rapporti fra i generi, l’impegno delle adolescenti a costruire personalità in grado di integrare i diversi valori affettivi si esaspera nelle più fragili e ambiziose in violente manipolazioni del corpo; spaventate dalle trasformazioni che la pubertà attiva nei loro corpi e nel loro mondo interno, si aggrappano a un’autarchia narcisistica di marca regressiva: i loro corpi plasmati da rigide prescrizioni estetiche incarnano un ideale femminile forgiato da un’onnipotenza svincolata dallo scambio.

Il progetto orto-vigoressico “dà forma” al corpo ispirandosi a un ideale che non è, affatto, prettamente estetico: un corpo atletico ed efficiente, impenetrabile e compatto, auto-sufficiente, meccanico e instancabile come un orologio mai scarico, allevia la paura di trasformarsi in una donna vulnerabile, dipendente e passiva. Ortoressia e vigoressia interpretano la deriva patologica di una femminilità fondata sulla negazione delle fragilità, di cui il corpo è il luogo originario. Quando la corazza muscolare che protegge queste giovani donne schiacciate da un’ideale ipertrofico che le sottomette a un’implacabile disciplina inizia a sfaldarsi e i meccanismi di controllo del corpo e della volontà mostrano segni di cedimento, appare evidente l’assenza di desiderio capace di animare una progettualità esistenziale fondata esclusivamente sulla ricerca di approvazione e sull’accettazione passiva delle aspettative degli adulti. La paralizzante disperazione, equivalente a un breakdown depressivo, che ne deriva, rivela il vuoto narcisistico di un Sé che l’adesione compiacente ai modelli familiari e sociali di successo ha privato di una progettualità identitaria autentica.

Quale ideale di genere ispira la declinazione postmoderna della femminilità?
Il corpo femminile esprime sia istanze valoriali della cultura che lo produce, sia sofferte narrazioni soggettive; i disturbi alimentari rivelano le difficoltà e i conflitti che accompagnano la costruzione dell’identità di genere e la definizione dei suoi valori.

Le diverse espressioni sintomatiche dei disturbi alimentari rispecchiano differenti declinazioni dell’utilizzo identitario del corpo femminile; vecchie e nuove sindromi alimentari sono accomunate da un rapporto disfunzionale con il cibo e l’immagine corporea, utilizzate entrambe come canali di comunicazione di un malessere psichico non altrimenti esprimibile. L’osservazione clinica delle adolescenti che adottano le modalità più estreme, e dunque più patologiche, di relazione con il corpo e con il cibo, consente di riflettere sui modelli che ispirano la costruzione dell’identità femminile e sugli esiti che ne derivano.

La femminilità post-moderna è ispirata a nuovi valori identitari: sepolta per sempre la femminilità debole, dipendente e devota di Biancaneve in trepida attesa di un Principe Azzurro cui affidare il proprio futuro, sul palcoscenico della contemporaneità sono comparse giovani amazzoni impavide e determinate, apparentemente invincibili, il cui mito di riferimento è Wonderwoman, bella, forte e intelligente, libera e autosufficiente.

I corpi non più esageratamente magri, ma straordinariamente “in forma” delle nuove anoressiche testimoniano l’abbandono di una declinazione ascetica e sacrificale della femminilità, in nome di nuovi valori estetici e prestazionali. Nella cultura del narcisismo, il disinvestimento della carne e l’iperinvestimento della mente dell’anoressica restrittiva sono stati sostituiti dai fisici vigoressici esibiti sui social, forti e attraenti, onnipotenti nella loro combinazione di attributi maschili e femminili: l’ideale non si incarna più nella leggerezza della farfalla, ma nel mix onnipotente di forza e leggerezza dell’atleta, muscolosa ed elastica, esile e forte insieme.

L’aspirazione a integrare nel corpo forza e seduzione espresso da questo immaginario presenta tuttavia dei rischi, in particolare quello di risolversi nell’esibizione di un’onnipotenza narcisistica priva di autentica tensione relazionale: la radicalizzazione dell’ideale di genere femminile post-moderno ne evidenzia la deriva patologica. Se il modello femminile tradizionale era espressione di un collasso simbolico fra il femminile e il materno, lascito di epoche storiche in cui la maternità non era una scelta ma il destino “naturale” di ogni donna, le figlie del nuovo millennio, socialmente autorizzate ad esprimere senza limitazioni la propria soggettività, stentano a integrare in modo armonico i diversi aspetti del Sé; la volontà di superare le connotazioni di debolezza e dipendenza della femminilità tradizionale le induce a rifiutare e negare ogni fragilità, a vergognarsene e contrastarle ricorrendo a una rigida corazza difensiva. In questo modo la nuova femminilità di cui le amazzoni vigoressiche sono paladine, lungi dal valorizzare le risorse femminili di empatia ed inclusione, si appropria di valori e stili di funzionamento virili: illudendosi di eliminare ogni traccia di vulnerabilità dal corpo e dalla mente, rinuncia ai principali attributi della femminilità, la recettività, la dolcezza, l’apertura, valori quanto mai necessari non solo nelle relazioni fra individui, ma anche in quelle fra i popoli e le culture. Il tentativo di rivalsa da una millenaria storia di subalternità che induce le donne a rendersi più forti e meno vulnerabili per evitare di essere sopraffatte e assoggettate nell’incontro con il maschio, rischia la deriva di un’onnipotenza solipsistica che annulla le potenzialità trasformative di una presenza femminile più autorevole e creativa, in famiglia e nella società.

La pressione culturale rivolta alle giovani donne perché si adeguino a modelli prestazionali caratterizzati da parametri intellettuali ed estetici d’eccellenza, rischia così di distorcersi in una sterile e regressiva autoreferenzialità narcisistica, che ne distrugge le potenzialità vitali, creative e generative, come rivela il rischio demografico che minaccia i paesi occidentali. Soggettivarsi non significa essere perfette, ma essere autentiche: all’impenetrabilità della corazza difensiva vigoressica, alla staticità del blocco evolutivo, all’angoscia del cambiamento evocata dai reiterati rituali alimentari, è necessario opporre una ri-significazione che valorizzi la fragilità e la resilienza femminile, strumenti necessari ad affrontare le sfide evolutive indossando una forma identitaria aperta alle esperienze e alle relazioni, senza che il timore di essere di nuovo ferite costringa a rifugiarsi nel guscio impenetrabile di una corazza muscolare che protegga dalla vita.

Elena Riva, psicoterapeuta e psicoanalista, membro ordinario della SPI (Società Psicoanalitica Italiana) e socio fondatore dell’Istituto Minotauro. Coordina l’équipe sui disturbi del comportamento alimentare e dell’immagine corporea dell’istituto Minotauro. Insegna presso la scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto. Ha scritto libri ed articoli sull’adolescenza, sulla psicodiagnosi e sull’identità di genere. In particolare, sui disturbi alimentari: Adolescenza e anoressia: corpo genere e soggetto (Raffaello Cortina, 2009); Il mito della perfezione (Mimesis, 2014); Ferite e ricami nella clinica dei disturbi alimentari (2016); Fragili amazzoni (Franco Angeli, 2022).

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