
Se sul 1827 possiamo essere abbastanza certi, sul giorno ed il mese da indicare con precisione gli storici, oltre che analizzando i testi disponibili, hanno basato le loro deduzioni sull’osservazione complessiva dei fattori che potessero indicare delle date possibili: luce solare diurna, orientamento del Sole, previsioni meteo stagionali, posizione della finestra, possibili ostacoli come la presenza di edifici o alberi ad alto fusto.
Niépce portò con sé questa veduta, non ancora una fotografia in senso moderno, ma certamente un suo prototipo, in Inghilterra dove la mostrò, insieme a altre immagini simili sempre da lui ottenute, a diverse personalità della Royal Society, ad accademici, studiosi, scienziati e nobili, con la speranza di incuriosire anche il Re, con la speranza di ottenere un brevetto, cosa che non accadde.
Nicéphore Niépce rientrerà in Francia lasciando questo esemplare della sua invenzione in regalo a Francis Bauer, divenuto suo buon amico. Bauer era un noto botanico, disegnatore e illustratore ufficiale dei giardini di Kew e del Re. Il botanico tenne con sé la lastra e la tramandò ai figli che a loro volta la cedettero. Nel 1952 lo storico della fotografia Helmut Gernsheim la riconobbe come certissima opera di Niépce e la ritenne la più antica immagine automatica giunta fino a noi.
Chi era Nicéphore Niépce e in che rapporti era con Daguerre?
Niépce era un uomo del suo tempo, un francese vissuto tra il 1765 e il 1833, epoca assai tumultuosa in Francia. Nato in un’agiata famiglia della Borgogna, a Chalon-sur- Saône, studiò teologia e legge. Dopo la Rivoluzione decise di dedicarsi, insieme al fratello Claude, alla loro grande passione: l’innovazione tecnologica.
Fu così che divenne inventore dedicandosi a diversi settori: dall’ideazione di un nuovo motore, detto dai fratelli Niépce “pireoloforo”, per il quale ottennero anche un brevetto decennale, a nuove tinture per tessuti e a nuovi filati, fino a concentrare l’attenzione su come ottenere immagini in modo completamente meccanico, senza alcun intervento artistico manuale, ma solo con strumenti meccanici.
Niépce entrò in contatto con Daguerre intorno al 1824, grazie alla comune conoscenza dell’ottico Chavalier, tra i migliori di Parigi, di cui entrambi si servivano; Niépce per perfezionare la sua camera oscura, Daguerre per le ottiche che utilizzava per realizzare le grandi scenografie dei suoi spettacoli di diorama. Fu Daguerre a cercarlo per primo, incuriosito da quanto aveva sentito sull’invenzione cui stava lavorando Niépce. Si conobbero effettivamente nel 1827, mentre Niépce stava andando in Inghilterra. Al ritorno dal viaggio siglarono il contratto societario per lo sviluppo dell’innovazione per ottenere immagini con l’ausilio della luce solare. Daguerre si sarebbe occupato delle ottiche e di trovare possibili finanziatori, Niépce avrebbe messo a punto quanto già era riuscito ad ottenere, concentrandosi soprattutto sulla diminuzione dei tempi di esposizione. I rapporti tra i due rimasero sempre improntati sulla collaborazione tecnica e societaria, con scambio di informazioni, soprattutto per corrispondenza, ma si incontrarono ancora poche volte prima della morte improvvisa di Niépce, il 5 luglio del 1833.
Niépce dedicò decenni di ricerca per comprendere come realizzare immagini in modo completamente automatico: come giunse alla sua invenzione?
A cavallo tra XVIII e XIX secolo l’invenzione della fotografia era “nell’aria”. In molti si stavano dedicando a questa possibilità, alcuni ottenendo anche ottimi risultati, basti pensare a William Henry “Fox” Talbot, che, negli stessi anni di Niépce, mise a punto il procedimento delle carte salate e dei “disegni fotogenici”, anche loro alle radici della moderna fotografia.
Nièpce iniziò le ricerche nel campo della riproduzione d’immagini, intorno al 1801, perché voleva inventare un modo completamente automatico per trasferire i disegni calcografici dalla stampa ottenuta al torchio alla lastra litografica, altra innovazione dell’epoca che aveva grandemente influito sulla diffusione delle immagini e della loro riproducibilità.
Niépce osservò la capacità della luce solare di alterare alcune sostanze in modo che su queste rimanessero tracce dell’azione luminosa. Provò diverse sostanze ed emulsioni su vari supporti: carta, pietra, metalli. I migliori successi li ottenne cospargendo con bitume di Giudea delle lastre di peltro argentato, ponendovi a contatto la stampa calcografica ed esponendole a lungo al sole o, successivamente, ponendola davanti alla camera oscura, una piccola scatola cubica con un foro e un obiettivo per l’ingresso della luce, e dalla parte opposta, una parete mobile in cui inserire la lastra metallica resa sensibile all’azione luminosa. Ottenuta una traccia dell’immagine procedeva incidendo le linee, come fosse un’acquaforte, e quindi, usando questa come matrice, trasferiva il disegno sulla lastra in pietra. Un procedimento con molti passaggi, che non migliorava significativamente i tempi di realizzazione o la qualità delle immagini ottenute.
Ciò che potremmo definire il salto intuitivo, cioè il passaggio dalla ricerca di una soluzione per qualcosa già noto – come appunto la stampa – al capire che si è inventato qualcosa di nuovo, Niépce lo ebbe quando decise di non porre un disegno o una stampa davanti alla camera oscura, ma direttamente ciò che egli stesso vedeva. Puntò quindi l’obiettivo sulla finestra aperta della sua soffitta e lasciò passare il tempo. La differenza era che, così agendo, aveva ottenuto una veduta del reale, per com’era, senza alcun intervento manuale sulla traccia lasciata dall’azione della luce solare.
Definì questo risultato “Punto di vista sulla natura, veduta dalla finestra a Le Gras”.
Non di meno, rispetto a molti altri che stavano cercando come lui di catturare le ombre, Niépce riuscì a fermare il processo di annerimento e quindi a fissare l’immagine in modo permanente. Rispetto a chi cercava di bloccare il processo, non riuscendovi, lui scelse di togliere quanto la luce solare non aveva alterato, così che non vi fosse più, sulla lastra esposta, materiale reagente.
Quando l’immagine automatica divenne di dominio pubblico?
Nicéphore Niépce rimase entusiasta dei risultati ottenuti e li comunicò subito al fratello Claude, che si trovava in Inghilterra ormai da anni, al tipografo Lamaitre – con questi quasi scusandosi di dedicarsi più ai “punti di vista sulla natura” che non alle tecniche tipografiche – ai parenti che spesso lo sostenevano economicamente, ad altri conoscenti tra i quali lo stesso Daguerre.
Dal memorabile giorno del 15 luglio del 1827, data in cui Nièpce realizzò il punto di vista sulla natura a Le Gras, passeranno poche settimane e l’autore dovrà partire in fretta per l’Inghilterra, proprio per raggiungere il fratello. Nei mesi trascorsi tra Kew e Londra, Niépce riuscirà a mostrare la sua invenzione e a presentarla alla Royal Society, purtroppo non raccogliendo il successo sperato. Molti non capirono che si trattava di una vera e propria invenzione; l’Accademia non accolse di buon grado le reticenze di Niépce a svelare tutto il suo procedimento, di cui comunque si definiva orgogliosamente l’inventore, conscio non vi fosse nulla di simile al mondo.
Rientrato in Francia avrebbe voluto pubblicare un libro, un manuale, per rendere nota la sua invenzione; ma il socio Daguerre lo sconsigliò, giudicando che fosse prematuro, volendo prima perfezionare la tecnica e migliorare i risultati. Per questo fondarono la società e a questo lavoreranno insieme fino al 1833.
La morte di Niépce non interruppe le ricerche di Daguerre che nel 1839 si sentì pronto per l’annuncio ufficiale; con una comunicazione presentata all’Accademia delle Scienze di Parigi, davanti ad un folto e incuriosito pubblico, richiamato da grandi annunci sulla strabiliante novità; Daguerre si disse l’unico artefice dell’invenzione che da lui prese il nome di dagherrotipo. Da allora l’immagine automatica conquisterà il mondo nel giro di pochi mesi e ancora oggi è parte integrante della nostra quotidianità.
Giovanna Bertelli, storica della fotografia e photoeditor, ha lavorato per Electa, l’agenzia Grazia Neri, Fratelli Alinari, archivi del Touring Club Italiano, dell’Istituto Luce e dell’Ansaldo. Ha insegnato Storia della fotografia presso l’Accademia di costume e moda di Roma, la Libera Università Maria SS. Assunta (Palermo), le Accademie di Belle Arti di Napoli, Palermo, Brera, l’Istituto Europeo di Design (Roma) e l’Università di Bari.