“Forme d’impresa. Una prospettiva storico-economica” di Vera Zamagni

Prof.ssa Vera Zamagni, Lei è autrice del libro Forme d’impresa. Una prospettiva storico-economica edito dal Mulino: di quale importanza è lo studio delle forme d’impresa così come si sono sviluppate nel corso della storia fino ad oggi?
Forme d’impresa. Una prospettiva storico-economica, Vera ZamagniL’impresa è l’organizzazione fondamentale per l’economia odierna. Attività economiche sono sempre esistite, ma esse hanno teso ad essere praticate all’interno di organizzazioni specificamente destinate alla produzione di beni e servizi quando le attività economiche si sono diversificate e sono diventate di più grande dimensione, ossia a partire dal Medioevo. Le forme giuridiche che tali organizzazioni hanno assunto da allora sono molteplici, perché molteplici sono i fini di un’impresa, un’affermazione che dice fin da subito che non può esistere una forma “ottima” d’impresa che vada bene per qualunque attività economica.

Quali fattori hanno determinato la nascita e lo sviluppo delle diverse forme d’impresa?
L’origine delle imprese va fatta risalire alle città-stato medioevali, particolarmente quelle italiane, che tra XII e XV secolo hanno avuto un’inaspettata e duratura fioritura economica. Da un lato i mercanti-manifattori trovavano sempre più larghi mercati per i loro prodotti e quindi promossero una forma d’impresa – la commenda – a cui soggetti diversi potevano conferire capitali che venivano gestiti da persona da loro incaricata. Questi capitali vennero ben presto a godere di “responsabilità limitata”, mentre i guadagni venivano distribuiti pro-quota. Questa forma d’impresa è l’antecedente della società per azioni (spa). Anche la banca che sosteneva commercio e manifattura venne gestita nella medesima maniera. Dall’altro lato nacquero grandi imprese con capitale donato – gli ospedali, i Monti di Pietà – che reimpiegavano tutti gli “avanzi” prodotti nell’azienda medesima, imprese che oggi chiamiamo non-profit. Ambedue le forme d’impresa venivano gestite con la “partita doppia”, che garantisce correttezza di funzionamento e attenzione alla sostenibilità dell’impresa nel tempo.

Quale valore rappresenta per il tessuto delle imprese il pluralismo delle forme? 
Il pluralismo delle forme d’impresa garantisce che non ci sia uniformità nelle finalità delle imprese e che la gestione possa seguire regole diverse nella distribuzione dei “guadagni”, permettendo una vera libertà di scelta da parte dell’agente economico.

Quali sono limiti e vantaggi della corporation?
Tra le forme d’impresa la corporation ha avuto un destino particolarmente importante, per i motivi che spiego nel libro: la sua forma di spa ha potuto raccogliere grandi capitali con l’ausilio delle borse; la crescita di una categoria di manager appositamente istruiti per gestirle (l’economia aziendale) le ha rese più efficienti; il suo prosperare negli Stati Uniti, dove mancavano strutture di mercato già esistenti, le ha spinte ad aumentare le dimensioni per dominare i mercati (la loro innata tendenza al monopolio dovette essere fermata già nel 1890 da una legislazione anti-trust); la tecnologia da loro sviluppata della catena di montaggio attivava produzioni di massa, allargando i mercati. Talmente di successo è stata questa forma d’impresa che ha teso ad oscurare tutte le altre, fino al punto con Chandler e altri studiosi da venire accreditata come “la” forma d’impresa per eccellenza. Solo da qualche decennio se ne è visto gli aspetti negativi, ai quali ho dedicato un intero capitolo, perché oggi sono diventati talmente dannosi da avere allarmato le corporation stesse: l’insorgere di grandi diseguaglianze di reddito ed opportunità, implicata dallo slogan “massimizzazione dei profitti per gli azionisti”; l’insostenibile inquinamento che sta cambiando il clima e minacciando intere popolazioni; una globalizzazione selvaggia che distrugge la base economica di comunità e territori; la perdita di rilevanza della democrazia, che i più ricchi al mondo possono corrompere. Il libro indica quali possono essere gli interventi di mitigazione delle gravi esternalità negative della corporation, soprattutto il passaggio dallo shareholder value allo stakeholder value, ma resta vero che la questione principale è quella di escludere che questa forma d’impresa sia l’unica che meriti di rimanere in esistenza.

Che relazione esiste tra imprese familiari e sistemi territoriali?
A dispetto del fatto che le imprese familiari erano state diagnosticate come in fin di vita, un recente studio ha dimostrato che esse sono le forme d’impresa più diffuse al mondo ancor oggi e non solo nella categoria delle piccole imprese. Questa forma d’impresa, soprattutto nella sua versione di media impresa, ha un legame col territorio molto forte; per poter competere a livello internazionale si rivolge a produzioni e servizi di qualità con una forza-lavoro molto specializzata. Essa è dunque molto più disponibile della corporation a svolgere un ruolo attivo di responsabilità sociale dell’impresa e a praticare una distribuzione dei profitti più attenta agli stakeholder e al territorio di insediamento. I suoi aspetti negativi sono in generale legati al passaggio generazionale e alla limitata capacità di fare ricerca, che può essere però rafforzata da reti di imprese e da interventi pubblici sul territorio.

Quando e come si sviluppa l’impresa cooperativa?
La forma cooperativa d’impresa è sorta nel corso dell’Ottocento, in quanto è basata sull’auto-aiuto. Sia il capitale sia il management della forma cooperativa sono attivati dal gruppo stesso di persone che la fondano e ne diventano soci paritari. Ciò presuppone un livello di risparmio e di capacità di gestione sufficientemente diffuso, che non si poteva ritrovare prima dell’avvio della rivoluzione industriale. Da allora, questa forma d’impresa si è diffusa in tutto il mondo, soprattutto in settori come la distribuzione commerciale, la banca (il credito cooperativo), l’assicurazione, la produzione agro-alimentare, i servizi alla persona e oggi può svolgere un ruolo molto positivo in tante attività di servizio e anche nelle cosiddette “cooperative di comunità”.

Quali sono le caratteristiche dell’impresa sociale?
Mentre il welfare state amministrato dagli Stati ha eliminato la necessità di certe imprese sociali sorte nel passato con il fine esplicito di produrre servizi alla persona come gli ospedali, oggi finanziati e amministrati in generale dal settore pubblico dell’economia, tanti altri bisogni di servizi alla persona e di interventi di supporto al pubblico rendono ancora di grandissima utilità la creazione di imprese con finalità esplicitamente sociali e con capitale donato, che infatti hanno una forte presenza soprattutto nei paesi più civili. Anche il volontariato svolge un ruolo fondamentale per responsabilizzare i cittadini nei confronti della cosa pubblica e per formulare suggerimenti e richieste di intervento legislativo da parte degli Stati.

In un mondo sempre più globalizzato e digitale, quali forme d’impresa possono più e meglio raccogliere le sfide della modernità?
Le conclusioni del mio libro si concentrano sulla “biodiversità” delle imprese che va salvaguardata. Infatti, mentre il riduzionismo è un impoverimento in tutti i contesti, in quello economico il riduzionismo significa togliere la libertà agli agenti di scegliere le finalità più proprie alla propria attività imprenditoriale e impedire la creatività gestionale. Le imprese devono poter competere non solo sui beni e servizi che producono, ma anche sulle modalità di gestione che utilizzano e sui valori che esse vogliono esprimere. Non erano meno imprenditori i Crespi che in provincia di Bergamo costruirono un intero villaggio per loro lavoratori e dirigenti vicino alla fabbrica, comprensivo non solo di abitazioni, ma delle infrastrutture necessarie: la chiesa, la scuola, la palestra, il negozio, il salone per attività di aggregazione (oggi patrimonio Unesco dell’umanità). Non erano meno imprenditori il belga Solvay, o il milanese Bocconi, che addirittura fondarono università.

Di sicuro oggi tutte le forme d’impresa che metteranno in opera attenzioni specifiche e concrete per il loro territorio di insediamento, provvedimenti per l’armonizzazione tra vita privata e lavoro, interventi di carattere ambientale e territoriale e un management più condiviso e partecipato saranno quelle che avranno maggiore successo, indipendentemente dalla forma giuridica e dal tipo di proprietà che si troveranno ad adottare. Va però anche detto che la corporation sembra oggi la forma d’impresa più restia ad andare in questa direzione, anche se va ricordato che nell’agosto 2019 c’è stata una presa di posizione di 181 grandi dirigenti d’azienda americani che hanno dichiarata finita la visione dell’impresa come massimizzatrice dei profitti per gli azionisti, senza però indicare in quali modi questa “conversione” della corporation potrà in concreto realizzarsi.

Vera Negri Zamagni, Ph.D.in storia economica (Oxford, GB, 1976), ha insegnato in molte università italiane. Oggi docente all’Università di Bologna e al SAIS Europe della Johns Hopkins University. Fondatrice della European Review of Economic History (1996); laurea ad honorem dall’Università di Umea (Svezia, 2001); membro del CNR (1994-1999), dell’ANVUR (2011-2013), del Comitato Scientifico dell’Enciclopedia Treccani (2006-2011); vicepresidente della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna 2000-2002. Le sue pubblicazioni includono più di 130 saggi e 20 volumi sulla storia economica italiana ed europea, con particolare riferimento alla storia del movimento cooperativo.

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