“Fondamenti di sharia islamica. Riformismo e ortodossia” di Igiea Lanza Di Scalea

Dott.ssa Igiea Lanza Di Scalea, Lei è autrice del libro Fondamenti di sharia islamica. Riformismo e ortodossia edito da libreriauniversitaria.it: innanzitutto, che cosa è la sharia?
Fondamenti di sharia islamica. Riformismo e ortodossia, Igiea Lanza Di ScaleaSharia è forse uno dei termini più malintesi quando si parla di Religione islamica: quasi sempre difatti si dice automaticamente “sharia law” senza considerare la diversa natura dell’una e dell’altra, ovvero della sharia da un lato e della legge islamica dall’altro lato. A tal riguardo, vi sono da dire due cose fondamentali. Anzitutto, sharia è un termine coranico significante “sentiero”, “percorso”. Così recita il Corano: thumma ja alnaka ala-sharia min alamri fattabiha wa la tattabi ahwa alladhina la ya lamun: allora (dopo; quindi) ti abbiamo posto (sottinteso Maometto) sul chiaro sentiero dell’ordine, seguilo e non seguire i capricci di quelli che non sanno. Linguisticamente quindi, sharia significa “sentiero” da intendersi verso la fonte di abbeveraggio, simbolo di vita se pensiamo al contesto in cui sorse l’Islam. La fonte sarà raggiunta seguendo il percorso indicato e non “i capricci” (ahwa) di “quelli che non sanno”. A seguire, il termine “sharia” è entrato nel linguaggio comune atto a tradurre la legge islamica in generale. Il malinteso sorge proprio a fronte della diversa natura dell’una e dell’altra poiché la sharia, quale percorso islamico, ha una natura divina, in quanto creata da Allah con la discesa del Corano per quanto poi, posta in essere dal Profeta prescelto Maometto. Obbedisci a Dio e obbedisci al Messaggero, comanda difatti il Corano (Corano, 3:32 et al.). La legge islamica invece, almeno quella tecnicamente intesa, nasce con le scuole di pensiero giuridico, ed è quindi ritenuta di origine “umana”. La sharia, nella sua divinità, è comunque una “legge morale”, promulgata da Allah e diretta ai fedeli. Volendo essere precisi, tecnicamente, dovremmo parlare di sharia e di legge islamica. Volendo essere obiettivi, andrebbe notato che, avendo Maometto non solo ricevuto la Rivelazione ma anche governato la umma dei fedeli, dettando legge nel nome di Dio, per primo puntualizzò il percorso da seguire. In altre parole, fu proprio Maometto che, nel dare forma umana al Verbo divino, ha lasciato l’impronta di quella che a seguire sarà la nascita della vera e propria “legge islamica”.

Quali sono le fonti della sharia islamica?
Se accogliamo la traduzione di sharia quale sentiero, le fonti assolute sono il Corano e la Sunna. La prima comanda, la seconda mette in pratica. Il Corano è considerato la “parola di Dio”, rivelata a Maometto attraverso l’angelo Gabriele. Così recita la prima sura al-Fatiha (“L’Aprente”), altrimenti nota come as-sab’u-l-mathani (i sette ripetuti), con riferimento ai sette versi la cui recitazione è obbligatoria del corso della preghiera: “Nel nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso. Lode a Dio, Signore dei mondi, il Compassionevole, Maestro del Giorno del Giudizio. Noi ti obbediamo e in Te cerchiamo aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai benedetto, non di quelli che incorrono nell’ira, né di quelli che si sono fuorviati”. Il Corano rappresenta per i fedeli una guida, una luce, la vita stessa. La Sunna è la tradizione di Maometto, ovvero i comportamenti, le abitudini, i modi di dire e di fare, i giudizi di merito e di diritto. Sunna è tutto quanto afferisca al Profeta prescelto, il rasul Allah (Messaggero di Dio). Il connubio è ben espresso attraverso le seguenti parole: Obbedite a Dio e obbedite al Messaggero” (Corano, 3:32 et al.) perché “Chi obbedisce al Messaggero obbedisce a Dio” (Corano, 4:80). La rilevanza della Tradizione è avvalorata dalla shahada, la professione di fede, il primo dei cinque pilastri dell’Islam che recita: Ashahadu an la Illah illa Allah w ashahadu an Muhammad rasul Allah (testimonio che non c’è Dio all’infuori di Allah e testimonio che Maometto è il Suo Messaggero). La Sunna sciita, includendo anche le tradizioni dei dodici imam, aggiunge alla formula sunnita la figura di Alì quale custode di Allah (w Alì wali Allah).

Quale valore hanno il Corano e la Sunna nella vita quotidiana?
Hanno un valore importantissimo. Il Corano è il Libro tra i Libri, viene recitato durante le preghiere obbligatorie (e non solo obbligatorie), taluni passaggi vengono letti per accompagnare il decorso di una malattia, da un cancro a un banale mal di testa. Il Corano è vita per un credente. La devozione è palpabile. Il Corano viene tenuto in un luogo speciale, pulito e mai riposto alla rinfusa in mezzo ad altri libri e solo un fedele in stato di purezza può toccarne una pagina. Il valore del Corano nella vita quotidiana è siffatti elevato che, ad esempio, il regolamento penitenziario sudanese concede uno sconto di pena pari al dieci per cento al detenuto che, durante la carcerazione ne abbia memorizzato tre parti. Invece, per comprendere appieno il valore della Sunna, bisogna ricordare l’importanza rivestita da Maometto per il mondo islamico: colui che fu scelto al fine di ricevere la Rivelazione e di metterne in pratica i dettami per istruire e guidare la neonata umma secondo i precetti di Allah. Per siffatto motivo la Sunna assume un valore esplicativo e, talvolta integrativo. Un semplice esempio: il Corano prescrive l’obbligo della salat (preghiera) senza specificare i modi e/ tempi che difatti, saranno scanditi da Maometto. Anche la meravigliosa ritualistica legata alla prosternazione nasce con la Sunna del Profeta. Ovviamente vi è una profonda differenza di valore in relazione al singolo soggetto e più in generale, al paese in esame, se islamico o meno. Per un musulmano risedente a Roma, la Sunna potrebbe rappresentare un “modello di vita” (indirizzo), per un saudita, sarà anche “fonte di legge”, assumendo quindi un peso specifico diverso. Difatti, il valore della Tradizione si fa più cogente nel normare taluni aspetti non previsti esplicitamente dal Corano: soprattutto per quanto riguarda il sistema penale. I casi sono molteplici. Basti l’esempio canonico della lapidazione degli adulteri, non prevista a chiare lettere dal Testo Sacro bensì introdotta da Maometto sull’idea di uno “stoning verse” esistente ma mai, formalmente trascritto.

Come si articola il sistema punitivo islamico?
Semplificando, vi sono tre categorie di reati, gli hudud, i qisas ed i tazeer. I primi, gli hudud la cui traduzione è “limiti” (proibizioni) includono, secondo la maggioranza delle interpretazioni, sei tipologie delittuose: ridda (apostasia), zina (fornicazione/adulterio), qadf (falsa accusa di zina), sariqa (furto), haraba (brigantaggio, saccheggio), shurb al-khamr (bere alcolici). La caratteristica di questi reati consiste nel definire le punizioni hudud divinamente ispirate perché trovano una base legale e sostanziale nel Corano e nella Sunna. Inoltre, le pene previste sono ritenute fisse e immutabili in quanto rappresentano un diritto di Allah (haq Allah) a che le genti si astengano dal compiere siffatte azioni (si veda la pregnanza dell’effetto deterrente). Questo significa che, se ad esempio, Tizio viene condannato per qadf (ottanta frustate), non vi saranno circostanze attenuanti e/o aggravanti atte a emettere una condanna a settanta frustate. I Qisas invece, riguardano i reati di sangue trattati, quando intenzionali, con la possibilità di richiedere la ritorsione legale (una vita per una vita, un occhio per un occhio). Il qisas è disponibile nei confronti del colpevole di un reato di sangue intenzionale, su richiesta della vittima e/o degli eredi della vittima nel caso di omicidio. Questo meccanismo legale, è stato introdotto dal Corano al fine di superare il rudimentale sistema tribale preislamico, spesso basato su ritorsioni indiscriminate fondate su usi e costumi associati all’onore e al prestigio sociale. Il qisas pone la vittima al centro della scena giuridica, offrendole il diritto di scegliere la pena per il colpevole (qisas, “prezzo del sangue” o eventualmente, anche perdonare). Infine, la categoria dei tazeer inquadra i reati diversi dagli hudud e dai qisas e contrariamente a questi, le punizioni sono affidate alle discrezionalità degli organi giudicanti (entro limiti stabiliti). Un reato tazeer può essere ravvisato in una violazione del comportamento richiesto dal Corano o dalla Sunna, come anche in un nuovo crimine emergente dall’evoluzione sociale, ad esempio il “cybercrime”. Inoltre, un hudud potrebbe essere derubricato a tazeer per mancanza di elementi oggettivi o nei casi di shubhat (dubbio).

Quali principi, derivanti dal Corano e dalla Sunna, ispirano il diritto islamico?
Lo studio di entrambi, Corano e Sunna, può risultare estremamente ricco in termini di principi valoriali, sociali e quindi, giuridici che definirei assolutamente antecedenti rispetto ai principi occidentali secolarizzati poiché nati con la rivelazione del Corano stesso. Alcuni esempi: il principio di uguaglianza riassunto in un hadith di Bukhari che termina con la celebre frase di Maometto “se Fatima facesse questo (furto) le taglierei la mano”. La responsabilità penale personale per cui “nessuna anima può essere influenzata dal peccato di un’altra” (an-Nasai, Libro 45, n. 127), e ancora, il principio di imputabilità, più volte evidenziato dalla Sunna attraverso le seguenti parole: “ci sono tre persone le cui azioni non sono registrate: un dormiente finché non si sveglia, un pazzo finché non viene riportato alla ragione e un ragazzo finché non raggiunge la pubertà” (Abi Dawud, Libro 33, n. 4384). E ancora, nei casi di furto, il valore minimo del bene rubato (nisab) e lo stato di bisogno sono considerate alcune delle condizioni fondamentali affinché venga sentenziato il taglio della mano. Non ultime, la legittima difesa e il perdono, parimenti introdotte dall’Islam e dalla sharia islamica.

Quali sono le maggiori scuole di diritto islamico e in cosa divergono?
Le maggiori scuole di diritto islamico sunnita, da cui nasce il fiqh vero e proprio, quindi la giurisprudenza islamica tout court, sono quattro: la scuola hanafita, la scuola shafita, la scuola malikita e infine, quella hanbalita. Per quanto riguarda l’Islam sciita invece, nel 1959 l’Università di Azhar ha attribuito alla giurisprudenza jafarita lo status di quinta scuola di pensiero, affiancandola alle quattro sunnite. Tutte le scuole hanno pari dignità giuridica poiché riconoscono quali fonti di diritto primarie e indiscusse il Corano e la Sunna. La principale differenza riguarda prevalentemente il sistema delle fonti secondarie per quanto, in realtà, sussistano interpretazioni diverse anche in merito alle stesse fonti primarie. Queste divergenze hanno fatto sì che uno stesso argomento possa essere trattato in modo dissimile dando luogo a quella che può essere definita la frammentarietà mondiale del panorama giuridico islamico.

Qual è la concezione islamica dei diritti umani?
La concezione islamica dei diritti umani è riassunta nelle seguenti parole: “i diritti dell’uomo nell’Islam non dipendono dalla generosità di un Re o di un governo, né dalle decisioni emanate da un potere locale o da un’organizzazione internazionale, si tratta di diritti cogenti in virtù della loro origine divina, che non possono essere soppressi, abrogati, invalidati o trascurati” (introduzione alla Dichiarazione sui diritti dell’uomo nell’Islam del Consiglio islamico d’Europa, 1981). I diritti umani sono definiti “disposizioni divine a cui attenersi” nella certezza che proteggerli sia un atto di adorazione come d’altro canto, contestarli sia assolutamente vietato dalla legge islamica. Volendo fare un veloce esempio, se Tizio viene condannato per qadf, quelle ottanta frustate previste dal Corano non saranno mai considerabili tortura poiché imposte da Dio per il primario interesse della comunità islamica stessa (maslaha). Il punto focale casomai, legato al “come” applicare la sanzione (spesso corporale) ha dato luogo all’elaborazione di una “metodologia punitiva”, affinché le pene possano espletare il proprio effetto “espiativo e purificatore” senza generare tortura. A ben vedere, per quanto i diritti umani islamici siano indiscutibilmente preesistenti ai diritti umani non islamici, quello che sembra mancare nella concezione islamica dei diritti umani è un vero e proprio diritto dell’individuo poiché il diritto del singolo appare subalterno rispetto al diritto della umma e ai diritti di Dio.

Igiea Lanza di Scalea, sociologa, criminologa, ha conseguito un PhD in Sharia and Islamic Law presso l’International University di Khartoum. Docente di Islam e sharia islamica presso l’università di Sassari, ha collaborato con l’Università della Calabria e Roma Tre. Già Presidente della ONG VPM, svolge attività di ricerca nel campo delle tematiche sociali e criminologiche. Ha pubblicato diversi saggi sul mondo islamico, tra cui: Fondamenti di sharia islamica. Riformismo e ortodossia (Libreria Universitaria, 2021), Tra lingue e culture. La comunicazione interculturale fra italiani e sudanesi (Ca’ Foscari, 2019).

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