“Finanza e potere lungo le Nuove Vie della Seta” di Alessia Amighini

Prof.ssa Alessia Amighini, Lei è autrice del libro Finanza e potere lungo le Nuove Vie della Seta edito da Egea – Bocconi Editore: quale ruolo svolge la Belt and Road Initiative per la strategia di internazionalizzazione della Cina?
Finanza e potere lungo le Nuove Vie della Seta, Alessia AmighiniLa BRI (il nome proprio delle cd Nuove Vie della Seta) è diventata in breve tempo, dal suo lancio nel 2013, il fulcro di tutta la diplomazia economica cinese, se non della diplomazia cinese tout court. Il suo obiettivo è quello di promuovere l’integrazione della Cina nell’economia globale lungo vie molto più profonde di quanto non sia mai stato fatto prima, cioè ben oltre i flussi di commercio internazionale e degli investimenti all’estero. Sebbene il governo cinese preferisca ufficialmente definirla un’Iniziativa, essa dovrebbe essere considerata come un vero e proprio programma di apertura del Paese, sviluppato in risposta alle mutate circostanze interne e internazionali. Infatti, Ben oltre le infrastrutture di trasporto, la BRI è un’ambiziosa strategia di potenziamento della connettività tra Asia ed Europa: sono cinque i tipi di connettività promossi – non solo fisica, ma anche commerciale, digitale, finanziaria e culturale. la BRI si fonda su cinque pilastri: coordinamento delle politiche, connettività infrastrutturale, aumento degli scambi commerciali, integrazione finanziaria, scambi culturali. Dall’ottobre del 2016, la BRI è diventata un obiettivo di Stato della RPC, inserito a pieno titolo nella sua Costituzione, a riprova dell’enorme importanza che l’Iniziativa riveste tra gli obiettivi politici del paese.

Quale importanza riveste la finanza nella Belt and Road Initiative?
Una parte importante della realizzazione della BRI è l’integrazione finanziaria tra i paesi coinvolti. Ci sono almeno tre motivi per questo: innanzitutto, sebbene la BRI sia un’iniziativa del governo cinese, essa coinvolge numerosi paesi, ormai oltre un centinaio, e richiede ingenti risorse finanziarie, per cui è impensabile che il suo finanziamento sia limitato ai capitali cinesi. Inoltre, poiché il renminbi non è una valuta internazionale, sebbene circoli in una certa misura al di fuori della Cina, ciò implica che i progetti BRI debbano essere finanziati con risorse finanziarie denominate principalmente in valuta estera (in particolare in dollari). Ciò crea una «dipendenza dal dollaro» che riduce la possibilità che i progetti siano finanziati dalla Cina. In questa prospettiva, l’internazionalizzazione del renminbi favorisce il completamento della BRI, contribuendo alla realizzazione dei cinque tipi di connettività.

Tre sono i canali principali attraverso i quali una maggior circolazione internazionale del renminbi favorirebbe la realizzazione della BRI.

Innanzitutto, l’internazionalizzazione del renminbi fornisce sostegno finanziario al completamento della BRI, che consiste di molti progetti, tra i quali la costruzione di infrastrutture rappresenta la principale voce di fabbisogno finanziario. In secondo luogo, una maggior circolazione internazionale del renminbi fornisce un apporto di liquidità sufficiente per il finanziamento degli scambi commerciali. Il commercio tra la Cina e i paesi lungo la BRI è in rapida crescita. Il terzo aspetto da considerare è che l’internazionalizzazione del renminbi riduce il rischio di cambio che si corre utilizzando una valuta terza, cioè il dollaro. Un ultimo aspetto particolarmente importante e attuale riguarda il commercio elettronico internazionale tra la Cina e un numero crescente di partner commerciali. Poiché quest’ultimo è in rapido aumento, soprattutto lungo la BRI, il miglioramento della cooperazione finanziaria gioverebbe molto agli scambi di merci transfrontalieri, in particolare una maggior circolazione internazionalizzazione del renminbi accelererebbe notevolmente il commercio elettronico. L’aumento del commercio elettronico transfrontaliero della Cina promuove infatti la funzione di pricing internazionale della sua valuta: fino al 2004 la quota dei prezzi espressi in valuta nazionale era molto inferiore a quella in valute dei paesi sviluppati, ma negli anni più recenti è aumentata, perché i consumatori cinesi sono la più grande piazza di e-commerce al mondo, e le imprese di e-commerce straniere sono sempre più disposte a quotare i propri prodotti in renminbi per favorire i clienti cinesi. Al crescere del commercio elettronico transfrontaliero con prezzi in renminbi, aumenta a sua volta la necessità che il renminbi diventi anche una valuta di regolamento internazionale riconosciuta e accettata.

Come si articola la rete finanziaria cinese?
Negli ultimi due decenni la Cina è diventata un attore dominante nel sistema finanziario internazionale, poiché la Cina è emersa come potenza economica globale non solo nel commercio ma anche sul fronte delle esportazioni di capitale. Probabilmente tra tutte le forme di prestiti cinesi all’estero lo strumento meno noto è costituito dalle linee di swap su larga scala disposte tra la PBoC e alcune banche centrali straniere. Le linee di swap sono linee di credito permanenti tra le banche centrali e quindi un’altra forma di finanziamento ufficiale. Naturalmente ciò non modifica i flussi transfrontalieri, a meno che la linea non venga attivata.

Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 la PBoC ha fortemente esteso la sua rete di linee di currency swap, prima con le banche centrali dei paesi avanzati per poi includere anche selezionati paesi emergenti e in via di sviluppo. In totale, a partire dal 2018, la Cina ha firmato accordi di swap con oltre quaranta banche centrali straniere per un totale di 550 miliardi di dollari USA. In termini di portata geografica, questa è di gran lunga la più grande rete di swap di qualsiasi banca centrale al mondo. Dalla firma del primo accordo bilaterale di linee di currency swap nel dicembre 2008, ne sono stati aperti 32. Questi swap mirano a sostenere il commercio e gli investimenti e a promuovere l’uso internazionale del renminbi. Poiché la Cina limita la quantità di renminbi disponibile per regolare gli scambi, gli swap sono stati utilizzati per ottenere renminbi una volta raggiunto il tetto massimo. La PBoC non pubblica dati dettagliati sull’utilizzo delle sue linee di swap, ma dalle informazioni elaborate dal Currency Swap Agreement Tracker a cura del Council for Foreign Relations è possibile ricostruire una panoramica geografica della rete di linee di swap della Cina a partire dal 2018. Inoltre è possibile dedurre i crediti in essere delle linee di swap ispezionando i bilanci delle banche centrali destinatarie. Questo esercizio indica che dal 2013 Pakistan, Argentina, Mongolia e Russia hanno utilizzato le loro linee permanenti con la PBoC per frenare le pressioni del mercato e per rafforzare le riserve valutarie. I dati più recenti segnalano invece che la Cina attualmente ha crediti in essere verso un solo paese: l’Argentina che inizialmente aveva attinto dalla PBoC circa 10,5 miliardi di dollari. Dopo un accordo per espandere la linea di swap a 18,7 miliardi di dollari alla fine del 2018, il debito della banca centrale argentina nei confronti della Cina probabilmente è aumentato ulteriormente.

In che modo il renminbi si sta imponendo come strumento di soft power?
La Cina da tempo persegue l’obiettivo di aumentare la circolazione della propria valuta fuori confine fino a creare un’area parallela a quella del dollaro. Tale obiettivo è da intendersi non tanto come liberalizzazione del mercato valutario cinese, cioè un progressivo allentamento dei controlli sul tasso di cambio e sui movimenti di capitale, quanto piuttosto come un aumento della circolazione internazionale del renminbi, fermi restando i controlli sul cambio e sui flussi di capitale. A questo scopo la Cina ha congegnato una rete molto sofisticata di accordi, istituzioni e transazioni finanziarie con un gran numero di paesi e attraverso di essa il renminbi viene usato come strumento per persuadere, convincere, attrarre e cooptare altri paesi a usare la valuta cinese, che in tal modo diventa un vero e proprio veicolo di soft power non solo finanziario ma anche politico. Oggi sono due gli sviluppi che avranno un effetto positivo sull’uso del renminbi come valuta nel commercio internazionale: attraverso la BRI la Cina esercita pressioni affinché sia utilizzato 1) per il commercio transfrontaliero con i paesi partner attraverso la gestione del contante, e 2) per scopi di finanziamento e investimento in tutte le diverse fasi dei progetti. Uno degli altri mercati più importanti in cui la Cina sta cercando di aumentare l’uso del renminbi è quello delle materie prime.

Quali prospettive per l’internazionalizzazione del renminbi?
Quali sono in conclusione le prospettive per l’internazionalizzazione del renminbi? Nel 2020 i controlli di capitale sono aumentati piuttosto che rallentati, e ciò mostra quanto prudente sia tuttora il governo cinese nel perseguire la strada dell’internazionalizzazione attraverso un allentamento del controllo. Ciò dipende in parte da fattori tecnici, ma anche da aspetti politici.

Un decennio fa, quando la leadership cinese ha iniziato ad attuare piani straordinari per internazionalizzare il renminbi, la motivazione di Pechino era la reazione disillusa alla crisi finanziaria del 2008, che aveva mostrato la debolezza del sistema basato sul dollaro. A quel tempo, la Cina era pericolosamente esposta alla volatilità del dollaro, poiché la maggior parte delle sue passività erano in dollari, mentre la maggior parte dei suoi attivi erano in renminbi. Se la valuta cinese avesse raggiunto un ampio uso internazionale, questo squilibrio avrebbe potuto essere mitigato. Perciò influenti economisti e funzionari hanno proposto la liberalizzazione della valuta locale per stimolare la liberalizzazione finanziaria interna, come quella attuata da altri grandi paesi in passato.

Da allora la Cina ha creato un renminbi offshore guidato dal mercato, ha avviato centri di scambio in tutto il mondo con le banche designate a condurre l’attività, e ha compiuto uno sforzo particolare per costruire centri di negoziazione del renminbi a Hong Kong e Londra. In tre anni il numero di banche che conducono operazioni in renminbi è salito da 900 a 10.000. Pechino ha promosso il renminbi come valuta di regolamento per gli scambi commerciali della Cina, portando a notevoli risparmi per aziende come Samsung che non avevano più bisogno di scambiare renminbi con dollari.

I leader cinesi hanno reso più facile per le aziende con più filiali consolidare i loro conti. Hanno creato una zona di libero scambio internazionale a Shanghai come precursore di una più ampia liberalizzazione nazionale in cui il commercio di valuta e le transazioni in valuta erano le componenti principali. Hanno annunciato una graduale liberalizzazione dell’accesso da parte degli altri paesi ai mercati azionari e obbligazionari nazionali e una graduale liberalizzazione degli investimenti diretti esteri. Hanno deciso di liberalizzare i tassi d’interesse interni. Hanno promosso il renminbi come moneta di riserva e hanno convinto molti paesi ad accettarla come parte delle loro riserve e il FMI ad accogliere la moneta cinese come componente dei DSP.

Perciò nel 2015 le tendenze nell’uso del renminbi sono state particolarmente positive, anche se muovevano da un livello iniziale basso. Questo trend però non ha tenuto, per diversi motivi. Il mercato obbligazionario continua a essere frammentato sotto quattro diverse autorità di regolamentazione (la PBoC, la Chinese Securities Regulatory Commission (l’ente di supervisione del mercato azionario) la China Banking and Insurance Regulatory Commission (l’ente a supervisione dei settori bancario e assicurativo) e la State Administration of Foreign Exchange), che hanno mostrato spesso di essere molto interventiste. Forti interventi dell’autorità di vigilanza, come nel caso del mercato azionario nel 2015, impediscono agli investitori di stimare i risultati del mercato. Inoltre, il fabbisogno di credito della Cina è ancora servito principalmente dalle banche piuttosto che dalle obbligazioni, quindi il mercato obbligazionario rimane meno sviluppato di quanto potrebbe essere.

È vero che gli interventi delle banche centrali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea influenzano i mercati più di quanto non facessero un tempo, ma la componente politica in Cina rimane molto più grande. Come a Tokyo, il mercato per il controllo delle imprese è estremamente limitato e ciò costituisce un ostacolo a un importante flusso di capitale. Il recente rafforzamento del sostegno al controllo centrale delle imprese statali e al consolidamento dei campioni nazionali va ulteriormente in questa direzione. Il sistema legale è ora sotto un controllo politico ancora più stretto, per cui gli operatori del mercato non sono sicuri di come verranno risolte le controversie. Sono soprattutto i controlli sul capitale a essersi rafforzati piuttosto che allentati come ci si aspettava.

Il problema dell’apertura del mercato non è però solo tecnico. C’è un diffuso desiderio da parte delle imprese e delle famiglie di trasferire il loro denaro fuori dalla Cina a causa dell’incertezza sulle condizioni in cui i loro fondi possono essere sottratti. La campagna anti-corruzione rende nervose le imprese e le persone facoltose: mentre il duro autoritarismo è spesso visto in Occidente come un simbolo di stabilità, in Cina le famiglie lo vedono come un segnale di paura e di incertezza. Vorrebbero quindi i loro soldi in un posto più sicuro. Questo problema si è fatto molto più serio rispetto a pochi anni fa, e le cose non sembrano avviate a un cambiamento in tempi rapidi.

Infine, il livello del debito, il rallentamento della crescita precedentemente rapida su cui si basava gran parte dei prestiti, e la possibile diminuzione dell’efficienza nell’uso del debito creano rischi per le banche rendendo necessari controlli finanziari più severi a scopo prudenziale.

Tutto ciò significa che le aspirazioni del renminbi a diventare una valuta internazionale di riferimento sono, nel migliore dei casi, rimandate per molti anni. Il risultato finisce per essere paradossale: quanto più la Cina riesce a far circolare la sua valuta all’estero senza ridurre i controlli di capitale e la stretta regolamentazione del mercato finanziario, tanto meno ha bisogno di liberalizzare il mercato valutario per internazionalizzare il renminbi.

Alessia Amighini è Co-Direttore del Programma Asia e Senior Associate Research Fellow presso l’ISPI. È Professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Studi per l’Economia e l’Impresa (DiSEI) dell’Università del Piemonte Orientale. Ha lavorato come Economista Associato alla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD, Ginevra). Alessia ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia dello Sviluppo presso l’Università di Firenze e un Master in Economics, nonché una laurea in Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano.

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