“Filosofia per i prossimi umani. Come sarà la nostra vita tra vent’anni secondo letterati, storici, antropologi e climatologi” di Francesco De Filippo e Maria Frega

Dott. Francesco De Filippo, Lei è autore con Maria Frega del libro Filosofia per i prossimi umani. Come sarà la nostra vita tra vent’anni secondo letterati, storici, antropologi e climatologi edito da Giunti. Le chiediamo innanzitutto: l’attuale pandemia da Coronavirus era stata prevista?
Filosofia per i prossimi umani. Come sarà la nostra vita tra vent'anni secondo letterati, storici, antropologi e climatologi, Francesco De Filippo, Maria FregaLa pandemia da Covid-19 si è abbattuta sull’intero genere umano con la violenza e la forza di un meteorite non intercettato da sistemi visivi e di controllo. Per la quasi totalità delle persone è stata una inaspettata e terribile – divina per qualcuno – improvvisa disgrazia. Quella minima quota di persone che non sono rimaste sorprese dall’evento è costituita dagli epidemiologi che studiano i virus e il loro propagarsi sin da quando nel 1997 un bimbo di tre anni morì a Hong Kong di una strana polmonite, era l’influenza aviaria, H5N1. Poi è stata la volta della Sars, dell’influenza suina, dell’aviaria.

Dunque, da un punto di vista medico, la risposta alla domanda è sì. Gli epidemiologi si aspettavano la deflagrazione di un virus di questa portata ma, ovviamente, non ne conoscevano i tempi, le modalità, la forza. Né le autorità sanitarie mondiali, tantomeno quelle politiche, hanno ascoltato i (sommessi) allarmi lanciati dalla categoria.

Anche da un altro punto di vista, direi di buon senso, si attendeva un grande evento negativo. Nel nostro precedente libro, ‘Prossimi umani’, la comunità scientifica era sufficientemente convinta che qualcosa di terribile sarebbe accaduto a breve, ma, ragionevolmente, le previsioni erano concentrate su una tragedia causata dall’uomo: una guerra. Scontata conclusione analizzando l’impennata demografica planetaria, il ridimensionamento delle risorse naturali, le diseguaglianze sociali, l’arretramento di molte democrazie verso forme di limitato autoritarismo, nazionalismi, sovranismi.

Ma, in fin dei conti, cos’è questa lotta al virus se non una guerra non convenzionale?

Tra vent’anni, a Suo avviso, la nostra vita sarà migliore o peggiore?
Come acutamente sostiene il filosofo Giulio Giorello in una delle interviste che compongono il libro “Filosofia dei prossimi umani”, scritto insieme con Maria Frega, le previsioni hanno la drammatica caratteristica di essere spesso duramente smentite. Se questa domanda mi fosse stata posta soltanto un mese fa, la risposta avrebbe risentito di una certa sicurezza fondata su plausibili analisi; ora, inevitabilmente, è faticoso staccarsi dal set di questo film catastrophe e guardare oltre la quotidiana conta dei morti.

Gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump hanno già rinunciato al ruolo di leader mondiale ma – ipotizziamo – cosa accadrebbe se uscissero fortemente ridimensionati dalle conseguenze del Coronavirus e da un governo centrale inadeguato, nonché danneggiati dall’incredibile prezzo del petrolio a venti dollari al barile? La pragmatica e lungimirante Cina, vincitrice nella guerra al virus come già ampiamente dimostrato – che il numero delle vittime sia di poco superiore a tremila oppure sia di varie decine di migliaia – non dovrebbe fare altro che occupare con discrezione e cautela i territori geografici ed economici abbandonati dagli Stati Uniti, con alleanze ed aiuti.

Un accresciuto ruolo sulla scena internazionale potrebbe occuparlo anche la Russia, se la sua economia non dovesse subire grossi traumi dal Coronavirus. Questo per quanto riguarda un orizzonte geopolitico. Fattore non secondario per le nostre vite.

Da un’ottica più squisitamente sociale, qualunque cosa accada, credo che lo stile di vita che le technocorporations californiane hanno modellato nelle comunità di tutto il mondo non abbia rivali. Pechino ha sbarrato le frontiere informatiche ai giganti statunitensi ma soltanto per realizzare omologhi colossi, e nemmeno dagli occhi a mandorla: Wechat, Tiktok, Alibaba. Il sistema non ha rivali: dono di felicità artificiale in cambio dell’impossessamento (non soltanto il controllo) totale dell’individuo. Il sogno di ogni autorità. La passiva e inconsapevole omologazione associata a servizi efficienti, garanzie previdenziali, assistenza sanitaria, lavori dignitosi, premurosi robot che ci sosterranno in ogni azione, insomma, un alto livello di benessere, sembra essere il futuro che ci attende. Animati da minor spirito critico, da pulsioni meno grintose. Un po’ più sciocchi ma più sereni.

Voglio usare al proposito un paragone provocatoriamente forte: è migliore la vita dei gatti di strada, sempre vigili per i continui pericoli, riconoscibili dalle vistose cicatrici, testimonianza di cruenti scontri con i propri simili, spesso affamati per il cibo che devono procurarsi, o i gatti che vivono nelle case, sterilizzati e comodamente acciambellati sulle poltrone, oziosi e viziati da attenzioni e costosi cibi proteici?

Quali cambiamenti è destinata a introdurre nelle nostre vite la rivoluzione tecnologica?
Distinguerei progresso tecnologico da rivoluzione scientifica. Gli sviluppi di discipline scientifiche come la genetica, le neuroscienze cambieranno il nostro modo di essere “dal di dentro”. Forse sarà davvero possibile, quando si affinerà la tecnica già ben in uso del ‘cut and sew’, il ‘gene editing’ modificare la personalità di un individuo attraverso un intervento sul suo patrimonio genetico. Quando le neuroscienze faranno la tara a tutto il complesso filosofico-metafisico sviluppatosi intorno alla nostra “testa” ridimensionando a una complessa serie di pulsioni elettriche cervello, mente, coscienza, libero arbitrio, la percezione che l’essere umano ha di se stesso e del contesto nel quale vive cambierà radicalmente. La presenza e l’assistenza di sempre più sofisticati robot e macchine nella nostra quotidianità renderà l’esistenza dell’essere umano diversa, più confortevole, meno dispendiosa, forse meno stressante. Ma non sarà lo scenario incompleto che tratteggiava una certa produzione cinematografica e letteraria fantascientifica: ci sarà un prezzo da pagare. Affidare tante nostre incombenze alle macchine, ai dispositivi che indosseremo o impianteremo sotto la cute non sarà solo uno scaricarci di tante preoccupazioni ma probabilmente significherà anche cedere parte della sovranità dei nostri corpi, delle nostre menti.

Il mondo è destinato a essere controllato dalle technocorporations?
Già prima del 2010 la Cia e la Nsa avevano sviluppato sistemi per cui potevano sorvegliare (ed eventualmente interferire) tutte le informazioni immagazzinate nella Rete e quelle in transito per il mondo. Tutte.

I social sanno più cose di vostra moglie e di vostro marito di quante non ne sappiate voi. La Rete è come un gigantesco confessionale e chi ne governa il funzionamento è il prete che raccoglie le informazioni dei fedeli.

Non so immaginare quale sia oggi il potere di controllo di queste agenzie e technocorporations, probabilmente ci saranno intelligence e organizzazioni di altri paesi che avranno raggiunto analoghe competenze, ma c’è da precisare che la maggior parte delle infrastrutture di internet – cavi, satelliti, server, ripetitori e altre apparecchiature – sono di proprietà degli Stati Uniti.

Quando queste realtà, oltre ad aspirazioni, esperienze e ai numeri dei conti correnti bancari possiederanno anche tutti i nostri dati clinici e genetici e saranno in grado di elaborare la percentuale di rischio che abbiamo di ammalarci di gravi patologie, le organizzazioni sociali muteranno. Immagino pacchetti di dati ceduti ad assicurazioni, a enti previdenziali o a grandi aziende. Forse già avviene tutto questo ma non lo vediamo, dunque non ce ne rendiamo conto.

Quale ruolo per gli esseri umani in un mondo di macchine e robot?
L’utilizzo delle macchine ha consentito nei millenni all’uomo di misurare il tempo, di spostarsi più velocemente, sollevare pesi inimmaginabili, scendere a migliaia di metri sotto il livello del mare, calcolare in una frazione di secondo cifre per le quali un tempo occorrevano giorni interi. Hanno insomma svolto il lavoro pesante e reso più leggere le condizioni di vita. Da qualche tempo, però, anche sotto la spinta consumistica, ho l’impressione che le macchine vengano impiegate per coccolarci, viziarci, un po’ come se fosse sempre a nostra disposizione una entità che ci propone una soluzione all’idea di vacanza risparmiandoci la “fatica” di cercare una meta e analizzare le offerte, che memorizza per noi i numeri di telefono. Insomma, dal divano di casa potremmo comodamente gestire la nostra esistenza, con il rischio che le nostre scelte le prenda in realtà chi c’è “dietro” la macchina e ha interessi a indirizzare i nostri desideri, se non addirittura le macchine stesse, quando l’Internet of Things si svilupperà ancora. E se un giorno davvero nel moltiplicarsi delle generazioni di macchine che producono altre macchine, venissero fabbricati calcolatori di una particolare sensibilità che potrebbe ricollegarsi all’idea di senso o di volontà, allora il ruolo degli umani potrebbe davvero rivelarsi marginale. Ma è un tempo lontano e per il momento l’uomo ancora domina le macchine.

Quali effetti produrrà il cambiamento climatico?
Beh, le previsioni degli scienziati e degli esperti sono incontrovertibili. Ho letto proprio ieri che la temperatura in alcune aree dell’Antartide rilevata nel gennaio scorso ha raggiunto quasi venti gradi! Se non poniamo rimedi quanto prima l’equilibrio ambientale del pianeta subirà tali di quei danni che le conseguenze saranno terribili per le creature che sul pianeta ci vivono. Se la temperatura dovesse aumentare mediamente di altri due gradi le ripercussioni non si limiteranno alla desertificazione del Meridione d’Italia e alle coltivazioni di pompelmi in Stiria ma provocheranno un rivoluzionario cambiamento del sistema climatico. Potremmo tornare alle condizioni meteorologiche di decine di milioni di anni fa quando sulla Terra non c’era né ghiaccio né neve e il livello del mare era molto più alto. Ma quale sarebbe il contraccolpo sulle società? Quante città scomparirebbero sommerse dall’acqua? Quasi disastri economici avverrebbero?

La Terra ha conosciuto tante e diverse ere, caratterizzate da temperature glaciali o da interminabili periodi di pioggia o di caldo intenso. Ma i cambiamenti sono avvenuti nell’arco di migliaia di anni – mentre ora con l’antropizzazione sta avvenendo una modifica radicale in pochi decenni – e non c’era traccia di esseri umani, con tutto ciò che comporta.

Sebbene la quantità di plastica che inonda gli oceani sia impressionante, io non sono catastrofista. La Terra non esploderà e non soffocherà nei rifiuti che produciamo: è più forte di quanto riteniamo; piuttosto, è il genere umano che rischia di passarsela male, di scoprirsi vulnerabile e caduco, proprio come sta accadendo in queste settimane. Personalmente, mi dispiacerebbe se gli umani scomparissero, soprattutto se tra questi ci fossi ancora io, ma credo che nessun altro essere vivente né la stessa Natura si dorrebbero della nostra fine o sentirebbero la nostra mancanza.

Però, di fronte al pericolo imminente e palese l’uomo sa tirare fuori l’ingegno e l’audacia: chissà che non riesca a prendere consapevolezza del destino cui sta correndo incontro e di escogitare una soluzione.

Quando si tratta di futurologia, è facile cedere a visioni distopiche che si rivelano poi errate; così è stato, ad esempio, per molte previsioni catastrofiche fatte nel passato che poi non si sono realizzate. A Suo avviso, ciò è frutto di facile allarmismo o si deve alla capacità dell’uomo di trovare sempre il modo di evitare il peggio?
Non ho la competenza per rispondere a questa domanda con fondatezza scientifica, posso dunque soltanto azzardare qualche ipotesi come uomo della strada.

A memoria, soltanto da pochi decenni l’uomo ha raggiunto un tale livello di conoscenza da poter escogitare soluzioni e rimedi capaci di modificare una situazione pericolosa se non letale per il genere umano. In precedenza gli eventi erano tanto smisuratamente grandi e incomprensibili che l’uomo era completamente in balia degli eventi ambientali. La pandemia cosiddetta ‘spagnola’ degli anni 1918-1919, sterminò dai 10 ai 50 milioni di persone anche perché le conoscenze e gli strumenti a disposizione della comunità scientifica non erano così forti come oggi; tuttavia, non estinse il genere umano. Diversa è la situazione oggi: le strutture sanitarie frenano e in qualche modo contengono la tragedia del Covid-19.

Questo concetto ha anche un altro lato della medaglia: è soltanto da meno di un secolo che l’umanità ha rischiato di estinguersi per cause legate al comportamento dell’uomo stesso; è dall’invenzione della bomba atomica che più volte l’uomo ha avuto la potenza per distruggere se stesso e il pianeta sul quale vive.

Tuttavia, credo che il genere umano sia in grado di risolvere problemi anche di grande portata. Per quanto riguarda i gas serra, le emissioni di CO2, ad esempio, c’è stato un processo di grande consapevolezza da parte di tutti, sono fiducioso che l’uomo sarà in grado di scongiurare questo pericolo in breve tempo.

Voglio anche dire che un ruolo importante, è vero come dice lei, lo gioca l’allarmismo. Deve essere un retaggio della sensazione di impotenza dei nostri progenitori, chissà, a creare stati di profonda quanto immotivata apprensione. Nel 999 i popoli erano molto inquieti se non terrorizzati al pensiero che lo scoccare dell’anno 1000 avrebbe causato eventi catastrofici, come se quei numeri non fossero semplicemente una convenzione. E, con le dovute differenze, uno stato di agitazione c’era anche nel 1999. In quel caso non c’era alcun castigo divino o congiunzione astrale che stava abbattersi sul genere umano, ma una catastrofe informatica quando si sarebbe manifestato il famoso ‘bug’.

Cosa può fare la politica per regolare e dirigere il futuro dell’umanità?
La forza economica e finanziaria delle grandi multinazionali e ancor più quella pervasiva dei social hanno ridimensionato i margini di manovra della politica. Soprattutto quella dei piccoli Stati. Se le lobby, le aziende, i fenomeni sono sempre più globalizzati e uniformati, un Paese da solo è sempre meno rilevante, inefficace nelle risposte, negli ordinamenti in materia ad esempio, di migrazioni, cybersicurezza, fiscalità delle technocorporation. È dunque inevitabile che si vada nella direzione di un accorpamento, di confederazioni, di unioni, di strette alleanze. Il non completamento del processo che ha portato all’Unione europea mostra in questi anni e con la pandemia in corso i suoi limiti.

Tuttavia, la politica ha ancora tanto appeal, capacità di indirizzo e guida, quando si assume responsabilità e non fa del conteggio dei consensi la propria strategia di mero potere.

Mi piace immaginare un mondo più solidale, unito, con una umanità che prenda finalmente consapevolezza della realtà: siamo tutti sulla stessa barca. Siamo miliardi di esemplari di una specie che, per quanto molto evoluta, un meteorite può distruggere in un istante, così come un disastro ambientale. O, nella migliore delle ipotesi, restiamo una folla di primati senza scopo bloccati su uno splendido sassolino azzurro, in un universo senza confini.

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